Uno sbuffo di aria calda giunse al viso di Art. infastidito, aprì gli occhi. Riconobbe il suo cavallo da guerra. D'istinto, fece per sollevare la mano dominante, ma questa non rispondeva più alla sua volontà. Levò quindi l'altra fino ad arrivare ad accarezzargli il muso.
«Ce la siamo vista brutta io e te.»
Il cavallo rispose con una nuova sbuffata. Si scostò poi dal suo viso e gli annusò l'incavo tra la spalla sinistra e il collo, lì dove Eribert lo aveva colpito. L'armatura si era sbriciolata sotto la potenza del suo fendente arrivando fino alla carne e procurandogli un dolore che mai aveva provato prima. Il fatto che il braccio sinistro si comportasse come un peso morto fu sufficiente per constatare l'entità della ferita.
«Farà male, molto male, ma se non ce ne andiamo da qui moriremo di stenti.» Strinse i denti e si risollevò. Attorno a lui, una distesa di cadaveri e voci soffocate dal sangue che imploravano aiuto. Alcuni corvi famelici avevano già iniziato a banchettare con alcuni cadaveri. Vide il suo arco accanto a lui, se lo caricò sul braccio destro e si aggrappò a una briglia. Si rimise in piedi, ma il dolore alla spalla sinistra gli tolse il respiro. Le gambe gli cedettero e cadde sulle ginocchia. Si tolse l'elmo e lo gettò a terra. «Così non va affatto bene. Non posso morire qui. Non prima di averla fatta pagare a quella puttana.» Si morse le labbra rispondendo al dolore con altro dolore.
Puntò un piede, poi l'altro. Fece infine appello a quel poco di forza che gli era rimasta e salì in groppa al suo cavallo. Lo spronò al trotto. Non ebbe idea di come ci riuscì.
Non seppe quanto tempo trascorse a cavallo ne ebbe idea di dove fosse diretto. I suoni erano coperti da un forte e continuo ronzio alle orecchie e la vista gli si era offuscata. Rimase in equilibrio sulla sella fino a quando non si lasciò completamente andare finendo esanime a terra.
***
Un odore pungente e un dolore che non gli dava tregua. Gli occhi si aprirono in strette fessure, ma gli fu sufficiente per distinguere la figura di una donna accanto a lui. Li richiuse perdendo di nuovo conoscenza.
***
L'aria fresca del mattino profumava di sottobosco. Quell'insopportabile tanfo di viscere e sangue era scomparso. Socchiuse gli occhi. Una brezza leggera s'insinuò tra le tende del capanno. Si sentì solleticare la fronte da alcuni riccioli castani. Vagò con lo sguardo constatando di trovarsi all'interno di una dimora umile, fatta di terra e legno e ricolma di pensili di ogni forma e utilità. Provò a sollevare il capo, ma fu tutto inutile. La testa era pesante e qualcosa gli premeva tra il collo e la spalla. Il braccio sinistro era stato appoggiato sul ventre. Quello destro, invece, era stato adagiato accanto al fianco. Sollevò quest'ultimo e si pizzicò una guancia. Provò dolore. Non stava sognando.
«Sei sveglio.» Esordì una voce femminile.
Art rivolse lo sguardo verso la donna che gli si avvicinò. Sorreggeva una cesta con alcuni panni, riconobbe alcuni dei suoi. La posò accanto al giaciglio di Art e prese una veste alla volta ripiegandola in modo che occupasse meno spazio possibile. Infine, li mise da parte e si sedette accanto ad Art.
«Come ti senti? Provi ancora dolore?» Senza attendere una risposta prese una ciotola, la riempì d'acqua e la avvicinò alle labbra di Art.
Bevve qualche sorso e fece cenno di diniego con il capo. «Non provo dolore. Posso dire che il merito è vostro?»
La donna abbozzò un sorriso. «Puoi abbandonare le formalità con me. Ti ho trovato privo di sensi e gravemente ferito sulla strada per la Valle, insieme al tuo cavallo. Non è stato semplice portarti qui. La strada per la Valle è poco affollata in questo periodo dell'anno, ma se fossi incappato in una ronda dell'esercito, forse a quest'ora non saresti nella condizione di poter parlare.»
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La figlia dell'imperatore
Fantasy[high | medieval fantasy, grimdark] Nulla è per sempre. Anno quattromiladuecentotrentanove dell'Impero di Valesia. Art Gunther è un giovane scapestrato, figlio cadetto del potente nobile Daniem Gunther. Insieme a dieci coetanei frequenta il primo an...