Codice Deontologico

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Insoddisfazione cronica

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Insoddisfazione cronica.

Già, così l'aveva definita più volte la mia psicologa durante una delle mie sedute di psicoanalisi. Più semplicemente, quella sensazione che si prova quando desideri qualcosa, ma non sai cosa. Diciamo pure, che per certi versi, ci aveva anche preso. Nella mia vita, pur avendo tutto, non avevo niente. Soldi, donne e lusso non avevano mai completamente soddisfatto quel' io dentro di me. Un segnale di qualcosa di profondamente irrisolto nella mia psiche che si tramutava sempre in difficoltà nel raggiungimento dell'appagamento. Anche in questo ci aveva preso. La mia psicoanalista aveva anche azzardato l'ipotesi, che dietro questo "malessere" potevano esserci le seconde nozze di mio padre con mia madre e il senso di inadeguatezza verso la prima moglie e il figlio avuto da lei. Cose da strizzacervelli che non avevo mai avuto il coraggio di contestare, ma che in un certo qual modo, aveva il suo senso logico. Non avevo mai sopportato quella donna dagli occhi di ghiaccio e il portamento da prima donna, come non avevo mai sopportato il mio fratellastro e il rapporto idilliaco con nostro padre. Lui, uomo di mondo e con un talento naturale per tutto quello che gli proponeva nostro padre, riusciva sempre ad abbracciare e fare sua ogni operazione finanziaria o gioco ludico. Io, dal profondo disprezzo per quel loro rapporto e per quel gioco di prestigio che non mi era mai riuscito, mi ero sempre distinto per la pecora nera della famiglia. Quel insetto fastidioso pronto da schiacciare e far sparire sotto il tappeto. Diciamo che i soldi spesi per la mia salute mentale non erano andati totalmente sprecati e che quella santa donna ci aveva visto giusto.

Ma cosa si poteva fare per esprimere a pieno le mie potenzialità ed emergere spodestando quell'arpia e il suo figlio prediletto ma soprattutto lasciare il passato alle spalle vivendo il futuro in tutto il suo splendore?

Detto fatto. O per meglio dire, fatto e detto. Si, perché mi era sempre piaciuto "fare" le cose prima di dirle. Avevo investito valanghe di soldi in azioni contro mio padre, avevo licenziato tutto l'entourage che si occupava di casa nostra senza un reale motivo e avevo acquistato quella casa editrice senza speranza e dimenticata da Dio, solo per il gusto di dimostrare di saper addomesticare gente comune a mio piacimento, ma soprattutto, per farli incazzare. Tutte azioni deplorevoli, per carità, ma che solleticavano il mio ego in modo gradevole e innalzavano l'asta del mio godimento ai massimi livelli. Proprio come quella bambinetta dagli occhi azzurri e dalle labbra carnose. Lei aveva alzato l'asta del mio piacere e del mio cazzo con un solo sguardo. Aveva innescato in me una sorta di reazione a catena difficile da fermare e che avrei sfogato e affondato su di lei più e più volte. La scenetta visionata in chiesa aveva già delineato il suo temperamento forte e il suo culo da strizzare senza ripensamenti, ma la scena seguente in ufficio aveva fugato ogni sorta di incertezza: volevo scoparla senza pietà.

C'era solo un piccolo e insignificante problemino che bloccava il mio insediamento dentro di lei: la sua età.
Classe novantotto, laureata a pieni voti e subito accolta da quel bonaccione di Wilson, che ne aveva visto subito le potenzialità. Wilson era un tremendo affarista, ma con lei, ci aveva visto sicuramente lungo. Molto lungo. Così lungo, che l'avevo visto pure io, nonostante la sua dipartita. Non era mio costume scoparmi le ragazzine appena uscite dal liceo. Erano tutte timorate di Dio e con la lacrimuccia facile. Non ero certo tipo da fazzoletto dopo una scopata o da messaggini del giorno dopo con i cuoricini. I miei standard erano da sempre molto alti, e le donne che mi portavo a letto avevano l'età della menopausa precoce. Chiamiamolo pure codice deontologico o codice etico, quella sorta di accordo con me stesso che mi obbligava a non infilarmi tra le gambe delle ragazzine. Un codice che avevo da sempre usato e che mi aveva evitato piagnistei e preghiere non richieste. Ma da quella sera in chiesa e nei giorni a seguire, non avevo fatto altro che pensarla a novanta sul tavolo in cristallo che la mia interior design aveva scelto elegantemente per me e per l'attico acquistato con i soldi di paparino. Non riuscivo a togliermi dalla testa il suo corpo morbido e i suoi occhi azzurri. Avevo da sempre un debole per quel cazzo di colore, ma su di lei, aveva un richiamo irresistibile. Così irresistibile da perderci la vista in seghe se fossi stato uno straccione. Ed era proprio in quei momenti che i soldi di papà ripagavano tutto il mio malcontento passato regalandomi un sorriso compiaciuto e un appagamento senza vincoli e senza freni.

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