21. Limite

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«Lucas! Lucas, aspetta!»

Cercare di correre con quei maledetti tacchi e il lungo strascico del vestito blu che indossava era una vera e propria impresa. Considerando poi che Moya faceva finta di non sentirla e continuava imperterrito per la sua strada con passo spedito, la difficoltà aumentava esponenzialmente.

«Oh, al diavolo!» bofonchiò Caterina, sempre più nel panico.

Si fermò un solo istante per sfilarsi i sandali dai piedi e, senza nemmeno raccoglierli, si tirò su la gonna e riprese a correre dietro al ragazzo che stava fuggendo via neanche fosse inseguito da un terrificante mostro bavoso.

«Ehi! Aspetta... MOYA!» gridò ancora, allungando il passo e riuscendo finalmente a raggiungerlo. Lo prese per un braccio, costringendolo a fermarsi, e gli si parò davanti, il fiato corto e la gonna del vestito tirata su a scoprire le belle gambe.

Lucas nemmeno la guardò, i suoi occhi lontani su un orizzonte immaginario alle sue spalle.

«Non... non è come pensi che sia» disse Cat, tra un'ampia boccata d'aria e l'altra.

«E cosa pensi che io pensi che sia?» ribatté lui impassibile, solo il guizzo di un nervo sulla guancia a denotare quanto stesse in realtà contraendo la mascella.

«Lascia... lascia che ti spieghi.»

«Spiegare cosa, Caterina?»

«Che non è come sembra» disse lei, riuscendo a prendere l'ultimo respiro che le restituì un battito regolare.

Tirò su le spalle e lasciò andare il vestito, che si adagiò morbidamente lungo le sue gambe, arrivando ad arricciarsi sul pavimento dato che, senza tacchi, non era abbastanza alta da indossarlo con la stessa disinvoltura di poco prima.

Lucas ancora non la guardava, come se lei fosse solo una fantasma e lui riuscisse a vederle attraverso. «E come sembra?» domandò ancora, atono.

Caterina deglutì, sentendo la gola secca: quel suo rispondere alle sue affermazioni con delle domande solo velatamente ironiche stava cominciando a farle venire il nervoso. Si torse le mani in grembo. «Quello che hai visto... e quello che ti ha detto quella vipera di Melania... è tutto un malinteso. Io e Valerio siamo solo amici, okay? Non c'è nient'altro tra di noi.»

Finalmente, Lucas abbassò lo sguardo per osservarla, ma i suoi occhi verdi avevano una sfumatura così scura che lei quasi preferì non l'avesse fatto. La stava fulminando, pur riuscendo a rimanere dolorosamente impassibile, come se tutta quella conversazione non lo tangesse proprio. «E lui lo sa?» frecciò, il tono di voce gelido.

Cat corrugò la fronte, presa in contropiede. «Certo che lo sa.»

«Dalla canciòn de amor che ti ha dedicado non direi.» Lucas incrociò le braccia al petto e fece un piccolo passo indietro, come a voler mettere le distanze tra di loro e contemporaneamente avere modo di studiarla meglio.

«Lui non mi ha...» cercò di protestare Cat, abbassando lo sguardo.

«No insultes mi inteligencia.»

Caterina rialzò lo sguardo su di lui. «Non lo sto facendo.» Fece un nuovo passo in avanti, per eliminare ancora la distanza che lui aveva creato. «Ma quello che lui fa o non fa non conta, non per me» aggiunse, portandosi una mano all'altezza del cuore.

«Ma conta per me.»

Cat corrugò di nuovo la fronte, senza capire.

Lucas non le diede modo di aggiungere altro. Scosse il capo con uno sbuffo strano, un sorriso amaro sulle labbra, e alzò le mani in segno di resa, approfittandone per allontanarsi nuovamente da lei. «Sono stanco... stanco di questa festa, stanco dei teatrini di Toscano, stanco di tutto» disse, senza più guardarla. «Me ne torno a casa e per un po' è meglio se non ci sentiamo, non sono sicuro che tutto questo...» sospirò, lasciando la frase in sospeso, e si passò una mano sul viso.

𝐓𝐮𝐭𝐭𝐚 𝐂𝐨𝐥𝐩𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐒𝐜𝐨𝐦𝐦𝐞𝐬𝐬𝐚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora