Caterina (Cat per gli amici) vive una vita tranquilla e ordinaria a Milano. Dopo aver abbandonato l'università, sbarca il lunario lavorando in una pizzeria vicino al centro. La sua vita scorre senza intoppi, con un'unica eccezione: il suo migliore a...
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La serata era appena cominciata: dopo aver passeggiato per le vie caotiche del centro di Mashiko, aver mangiato, aver bevuto (e aver cantato!), Caterina pensava che Lucas avrebbe guidato fino al circuito di Motegi, ma parcheggiò invece la macchina dopo neanche cinque minuti, al limitare di una stradina adombrata da alte fronde ancora rigogliose di foglie dai colori autunnali.
«Dove siamo?» domandò curiosa, mentre il motore dell'ennesima macchina da corsa, sicuramente noleggiata, si spegneva docile, facendoli calare in un silenzio quasi inquietante, soprattutto a quell'ora tarda della notte.
«Al Saimyo Ji Temple» rispose Lucas. «È un antico tempio della zona: pensavo sarebbe stato carino approfittare della nostra visita per dare un'occhiata a una struttura così caratteristica del Giappone.»
«Oh. Sì, mi sembra un'idea carina» concordò Cat con un sorriso, mentre lo seguiva fuori dalla macchina. Ringraziò di aver portato con sé il giacchetto, perché ora cominciava a esserci una leggera brezza più fredda, che le aveva fatto salire i brividi lungo le braccia.
Quando lo indossò, Lucas la adocchiò con un sorriso. «¿No es aquella mi campera?» L'occhiata stralunata che lei gli rivolse, oltre a farlo ridacchiare, lo costrinse a tradurre la sua domanda. «Quello non è il mio giacchetto?»
Cat si guardò le spalle, come se potesse davvero vedere il grosso 21 rosso coi bordi bianchi che era stampato sul retro della giacca di pelle. Ammiccò malandrina, per poi precederlo lungo il marciapiede costeggiato da basse statue di qualche divinità locale, probabilmente protettrice del luogo sacro che stavano per visitare. Lucas scosse il capo e la seguì.
Il Saimyo Ji Temple era una struttura bassa, col tetto spiovente, che si ergeva sopra una breve scalinata bianca, immerso nel verde... o nel nulla, avrebbe più correttamente detto Cat, dato che il tempio era a diversi chilometri da Mashiko, situato su una montagna e circondato solo da quella che sembrava essere una distesa infinita di alberi e vegetazione. Di notte, poi, aveva un nonsoché di inquietante, soprattutto la grossa statua, illuminata solo dalla tremula luce delle candele, che c'era al centro.
«Quello è Laughing En'ma, il Giudice dell'Inferno» spiegò Lucas, indicandole il demone di pietra.
Caterina lo fissò di sottecchi, quasi avesse paura a guardarlo apertamente: Laughing En'ma era seduto con le gambe incrociate, portava un antico copricapo giapponese con alcuni ideogrammi, aveva occhi bianchi e cattivi, e labbra spalancate in una silenziosa risata demoniaca sul viso appuntito e rosso. Teneva in mano una specie di bastone e l'altra l'aveva aperta a mostrare le grosse dita tozze.
«Carino» commentò, un pizzico di ironia nelle sue corde vocali.
Lucas ridacchiò piano. «Vieni, avviciniamoci.»
«Quasi quasi starei meglio qui, sai? Dove posso ancora scorgere la macchina e darmela a gambe levate non appena qualcosa di losco si manifesta» rispose Cat, stringendo le braccia al petto per proteggersi dai brividi che, ora, poco avevano a che fare con l'aria fredda della notte.