3. TUTTI I DENTI DELLA TEMPESTA

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La tempesta aveva i denti. E la tempesta mordeva.

Celeste e Franco rimasero a guardarla attraverso il finestrone del salotto, seduti su due poltrone che avevano girato verso l'esterno per l'occasione; lei avvolta nella sua coperta a quadrettini colorati, lui con un sigaro in bocca, ed entrambi con una tazza di cioccolata calda in mano.

Aveva iniziato a piovere alle tre del pomeriggio: erano le sei, e ancora non aveva smesso. Anzi, le cose erano peggiorate. Il vento ululava, nuvole nere si accalcavano le une addosso alle altre come se avessero fretta di scaricare la loro dose di pioggia, di vento e di grandine, e le strade erano ormai allagate. Dalla cima della collina si riusciva a vedere tutto lo spettacolo: la tempesta azzannava case e alberi, si scatenava sulle auto parcheggiate, sui lampioni che saltavano uno dopo l'altro, sui fili della corrente, sulle siepi, sul campanile della chiesa, che a meno un quarto alle cinque andò giù. Celeste e Franco sentirono un sordo suono di campana e la videro rotolare lungo la via, illuminata dalla luce dei lampi.

– È il diluvio universale – commentò Celeste. – Vuoi un'altra tazza di cioccolata?

Franco scosse la testa. La sua tazza gialla a forma di testa di mostro fumava ancora. Prese un piccolo sorso, senza staccare gli occhi dalla vetrata. Lassù in collina la grandine non era ancora arrivata, ma avrebbe potuto farlo da un momento all'altro. Forse avrebbero fatto bene a chiudere le serrande e a sistemarsi in un posto più sicuro. La tempesta aveva ancora fame. Ma a Celeste i temporali, la grandine, le nuvole, erano sempre piaciute.

– Mi fa venire in mente quando siamo andati in Irlanda – disse infatti Celeste. Era perfettamente tranquilla, come se fossero al cinema o a teatro, a guardare uno spettacolo. – Ti ricordi quanta acqua era venuta giù? Pensavo che non saremmo mai tornati a casa.

Franco annuì. Se lo ricordava bene quel viaggio, perché era il primo che avevano fatto insieme. Due settimane in giro per paesi e città, cercando di capire dove andare, con a disposizione solo una vecchia mappa, l'incoscienza della gioventù e un sacco d'amore da dimostrare l'uno all'altra. Ogni dieci minuti un bacio, era andata più o meno così. E le notti sempre abbracciati, e le visite ai paesi e alle chiese e a tutto, fatte sempre tenendosi per mano o abbracciati.

– O quando siamo andati a trovare tua zia in Germania. Ti ricordi sull'aereo?

Franco ricordava anche quello. Un fulmine aveva colpito l'ala, e il temporale non li aveva lasciati atterrare. Andavano a trovare la zia, l'ultimo parente di lui rimasto in vita, per annunciarle che si sarebbero sposati. Celeste aveva al dito il suo anello di fidanzamento nuovo di zecca, stringeva la mano di lui e rideva mentre l'aereo ballava in mezzo alle raffiche di vento. Alla fine li avevano fatti scendere in un altro aeroporto, e da lì avevano proseguito coi pullman. Zia Helga era stata felicissima della notizia. Loro ancora di più.

– Comunque anche quando ci siamo conosciuti pioveva – disse Celeste.

Esatto, già. Aveva appena smesso di piovere, e Franco era stato invitato a fare un giro da certi amici. Erano andati in un bosco vicino, dove scorreva un piccolo fiume con un sentiero accanto, e lì avevano trovato Celeste, che nessuno a quel tempo conosceva. Lei aveva raccontato di essersi appena trasferita, era socievole e carina, e l'avevano presa con loro. Poi, a metà del giro, era scoppiato di nuovo il finimondo. Bagnati fradici, erano andati a ripararsi in un vecchio fienile. Celeste aveva i lunghi capelli bagnati, gli occhi brillanti di eccitazione, e rideva senza riuscire a fermarsi. Franco aveva sempre pensato che era stato proprio in quel momento che si era innamorato perdutamente di lei.

Fuori, intanto, la tempesta non dava segno di voler cedere. Lampi multicolori illuminavano le nuvole e il paesaggio, e gli schianti dei tuoni erano così forti che pareva che il mondo stesse per stracciarsi in due come un foglio di carta strappato da un bambino capriccioso. Guardando con attenzione, a Franco sembrò addirittura di vedere delle sagome dietro le nuvole. Esseri enormi, senza forma, che si agitavano e mulinavano appendici enormi, simili a tentacoli. A voler fare uno sforzo di immaginazione, uno pareva avere le ali; un altro, una grande testa a forma di stella, o di piovra. Ma doveva essere solo la sua impressione.

QUARANTASEIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora