31. L'UOMO DAL VESTITO SPORCO

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Dorotea, cinque anni, tiene tra le braccia il suo orso di peluche. Guarda fuori dalla finestra della camera, che dà sul giardino. Lì, barcollante e infangato, illuminato dalle luci basse e calde del tardo pomeriggio, il cadavere rianimato di un uomo sta tendendo le braccia verso di lei mentre si sposta dondolando sul prato. Indossa un completo da funerale nero, con la camicia bianca e una cravatta blu che pende storta sul petto. La stoffa della giacca e dei pantaloni è strappata, la manica sinistra è andata persa. L'uomo è magrissimo, tiene la bocca spalancata, mette in mostra denti gialli e gengive nere, e geme lentamente mentre la sua lingua gonfia si muove da un lato all'altro delle labbra screpolate e bluastre.

Dorotea rimane a guardarlo per un po'. Poi scende dalla sedia e esce dalla stanza. È la stanza di una bambina, ma non è la sua, così come quella non è la loro casa. Lei e i suoi genitori ci si sono rifugiati dentro quando la macchina di papà è rimasta senza benzina.

In salotto, sua madre sta piantando gli ultimi chiodi sulle assi di legno che hanno strappato dal pavimento e inchiodato alle finestre. Suo padre, fucile in mano, sta sparando attraverso una feritoia. Beccato!, dice ogni volta che centra uno dei cadaveri che stanno vagando per il paese. A Dorotea sembra contento come quando guarda il calcio alla televisione, e la sua squadra segna un gol.

Si avvicina a sua madre, rimane a guardarla per qualche momento – è sudata, e si è legata i capelli perché non le diano fastidio mentre lavora – poi si fa avanti e la tira per una manica della camicia sporca di polvere, sangue secco e sudore. Sua madre, presa dal suo lavoro e dalla fretta, non si era accorta di lei. Quando si sente toccare lancia un urlo e fa cadere il martello. Suo padre, spaventato, ritira subito il fucile dalla feritoia e lo punta a caso davanti a sé.

– Dora! – dice sua madre. – Mamma mia, per poco non mi fai prendere un colpo. Madonna, ho perso un anno di vita! La prossima volta chiama, batti le mani, fatti sentire.

Si guarda intorno, recupera il martello e riprende a inchiodare. Dorotea rimane a guardarla, seria. Poi alza il suo orso e lo agita davanti alla faccia per farsi notare.

– Che c'è? – dice sua madre.

– C'è un uomo –

Sua madre ride. – Oh, se è per quello ce n'è più di uno! E dov'è quest'uomo?

Dorotea indica la sua camera da letto.

– Dietro la casa? Nel giardino?

La bambina fa segno di sì.

– La porta di dietro è chiusa, no? Comunque dopo dobbiamo andare a inchiodare anche di là – commenta suo padre. Poi spara un altro colpo. – Beccato anche questo! – urla.

– Va bene, Dora, stai tranquilla, quell'uomo non può farti niente, qui sei al sicuro – commenta sua madre, e le sorride per un secondo. Dorotea però scuote la testa.

– Ma è triste. Vuole entrare.

Sua madre abbassa il martello. – Chi?

– L'uomo che c'è fuori. È triste perché non può entrare.

Sua madre schiocca le labbra, contrariata. Deve continuare a barricare la casa, non ha tempo da perdere, mettere al sicuro la famiglia è la sua priorità. Ma alla fine sospira, si mette in ginocchio e prende Dorotea per le spalle.

– Senti, Dora: quell'uomo la fuori... non è più triste, ne felice, ne allegro, ne annoiato né niente. Anzi, non è più nemmeno un uomo. È solo una creatura... confusa e malata, che vuole entrare per... per farci del male. Tu non tornare di là, non pensarci, non guardarlo. Qui dentro siamo al sicuro. Vai a leggere uno dei libri che hai trovato dì là intanto che io finisco, va bene?

QUARANTASEIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora