13. BIBLIOFILIA

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L'avevo guardata tanto, tantissimo, giorno dopo giorno, da lontano. Lei seduta sempre dietro allo stesso tavolo della biblioteca, l'ultimo in fondo, vicino alla finestra, e io quasi sempre di fronte a lei, a tre o quattro tavoli di distanza. Due, quando mi sentivo abbastanza coraggioso. O disperato.

"Che poi a che servono ormai le biblioteche?", mi diceva sempre Kitty, mia sorella minore. "Adesso per fare le ricerche si va su internet. Possibile che c'è ancora gente che non l'ha capito?". Di solito, mentre pronunciava quelle parole, era impegnata a fare una delle sue cose preferite tipo mettersi lo smalto alle unghie dei piedi, o controllarsi la forma della bocca usando il telefono con la funzione specchio.

Ma servivano, le biblioteche, servivano eccome.

Quando arrivavo lei di solito era già lì. Avevo provato qualche volta ad arrivare in anticipo, ma in quel periodo non avevo la macchina, e il primo autobus passava sempre e comunque mezz'ora dopo l'apertura. Chiedere un passaggio ai miei non mi passava nemmeno per la testa, e tra l'altro il più delle volte nemmeno sapevano che andavo in biblioteca. Anche loro, probabilmente, mi avrebbero fatto la stessa domanda di Kitty.

Lei non aveva nome. O meglio, sicuramente lo aveva, ma io non avevo mai avuto modo di saperlo. Era solo una ragazza dai capelli lunghi e rossi, gli occhi verdi, con la testa china quasi tutto il tempo su grossi volumi scritti fitti-fitti. Quando non li consultava, cioè molto raramente, osservava il mondo fuori dalla finestra, con il mento poggiato su una mano; oppure si alzava per andare in bagno o per prendere un caffè alla macchinetta. Avevo pensato molte volte a un piano per parlarle davanti a quella macchinetta: nei miei sogni lei ci arrivava e si accorgeva che le mancavano le monete; io allora mi facevo avanti e le porgevo una manciata di spiccioli dicendole qualcosa tipo "ecco: prendi quello che ti serve, baby!". Ma la mia fantasia non era mai arrivata più lontano di così. E l'unico giorno in cui mi ero deciso, e l'avevo tenuta d'occhio finché non si era alzata, e avevo fatto lo stesso, e l'avevo seguita... lei all'ultimo momento aveva deviato ed era andata al bagno. Alla macchinetta dei caffè ci ero andato da solo, allora; e quando mi ci ero trovato davanti avevo scoperto che la persona senza monetine in tasca in realtà ero io.

Avevo passato in quel modo quasi tre mesi, durante i quali lei non mi aveva guardato nemmeno una volta. L'ultimo autobus passava un'ora prima della chiusura; quindi, se non volevo farmela a piedi fino a casa ero sempre io quello che se ne doveva andare prima. Certi giorni, col pensiero, la pregavo di alzarsi prima di me, ma non succedeva mai. La mia paura era che un giorno avrebbe semplicemente smesso di venire. La sua ricerca del resto non poteva durare all'infinito. Prima o poi sarebbe terminata. O sarebbero terminati i libri da consultare. Che cosa avrei fatto a quel punto? Mah. A saperlo.

Poi però successe quella cosa del fantasma.

Iniziò a spargersi la voce che in uno dei corridoi più lontani avesse iniziato ad apparire lo spettro di una signora. Chi l'aveva vista – prima due ragazzi, poi una ragazza, poi un altro ragazzo, poi altri tre, poi troppi per contarli – dicevano che era pallida, aveva i capelli raccolti in una crocchia, indossava un abito grigio lungo fino ai piedi e fluttuava sopra il pavimento a più o meno dieci centimetri. In realtà qualcuno diceva che i centimetri erano almeno venti, se non trenta; ma non era questo il punto. Il punto era che la donna si spostava fluttuando e guardando i libri, ma non appena qualcuno posava gli occhi su di lei spariva prima che le si potesse scattare una foto. Nemmeno i video funzionavano, neanche se la telecamera era già accesa: quella figura fluttuante si poteva vedere, dicevano i testimoni, solamente per un secondo, e solo a occhio nudo.

Si sarebbe potuto pensare che la presenza di un fantasma avrebbe tenuto ancora più alla larga le persone; invece da quando si sparse la notizia prese a venire un sacco di gente divisa suppergiù in due categorie: ragazzi e ragazze avventurosi alla ricerca di un video sensazionale da condividere in rete, oppure cinquantenni dall'aria trasandata, vecchi paranoici e complottisti amanti dell'occulto, o creduloni o fanatici del paranormale o degli alieni, e cose così. Si aggiravano tutti con la bocca aperta e gli occhi spalancati ficcando il naso dappertutto, infilandosi tra i banchi e lungo i corridoi. All'inizio fingevano di essere lì per qualcosa, poi nemmeno quello. Qualcuno, per darsi un tono, girava con dei libri presi a caso da uno scaffale e tenuti sotto braccio; ma la maggior parte dopo un po' smise di far finta. Girava e basta.

QUARANTASEIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora