9. OGNI 19 NOVEMBRE

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Anche se ero solo una segretaria, e non potevo aspirare a essere altro, ho sempre amato il dottor Markovitz, fin da quando ho iniziato a lavorare per lui vent'anni fa. Amavo il suo modo di muoversi come se fosse sempre in bilico sopra una corda tesa, e amavo il suo essere impulsivo e goffo. Amavo il modo in cui si vestiva, il pizzo curato, i baffi, i cappelli che indossava sempre, i modi gentili, la sua voce e l'aroma del tabacco della sua pipa. Amavo anche il modo in cui pronunciava il mio nome all'interfono quando aveva bisogno di me – Marrrthe, diceva, arrotando la lettera R, può venirrre nel mio studio, per favorrre? – e soprattutto amavo il suo essere costantemente dedito al lavoro, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno.

Il dottor Markovitz era sposato, ovviamente. Con una donna che in studio non si presentava mai ma che lo tiranneggiava costantemente al telefono. Ascoltando la sua voce durante le chiamate – sempre per motivi futili, ovviamente – ne avevo ricavato l'impressione di una donna acida, sempre arrabbiata, gelida e attaccata al denaro, indisponente e incapace di dare amore. E ogni volta in cui riceveva una delle sue telefonate il dottor Markovitz si faceva piccolo e triste, come un fiore lasciato troppo tempo al sole. A volte, se era nel laboratorio del seminterrato, usciva slacciandosi il grembiule e andava nel suo ufficio a bere, il bel viso distorto da un'espressione di triste rassegnazione. Se c'era una persona in grado di fargli perdere la concentrazione e la fiducia, quella era proprio la signora Markovitz. Ma credo che sia il destino di tanti uomini geniali, quello di essere tormentati da donne che non ne riconoscono la grandezza. Sono rari quelli che hanno al loro fianco una moglie che li rispetta e li sprona, e in quel caso ne nascono frutti meravigliosi. In tutti gli altri casi, quell'oro si trasforma in polvere.

Se ero a conoscenza degli esperimenti del dottor Markovitz? Sì, certo. E li ho sempre considerati meravigliosi. In fondo, anche se i suoi studi potevano apparire assurdi o pericolosi – uno suo collega un giorno li definì addirittura "degni di uno scienziato pazzo" – i suoi obiettivi erano il bene delle persone e il miglioramento della società. Il dottore era un uomo di grande bontà, troppo spesso trascurato dal mondo e dalla vita: se non avessi sempre pensato questo di lui non avrei mai potuto amarlo così tanto. È vero, da giovane ero appassionata di film di fantascienza e di storie di scienziati geniali e misteriosi, e questo ha sicuramente influenzato il mio giudizio, lo ammetto. Ma in tutta onestà mi pare impossibile che qualcuno possa trovare orrendi, eretici, o disumani gli eccezionali risultati conseguiti dal dottore. Si sa che spesso le grandi innovazioni si ottengono con il dolore e il sacrificio, e che molti di quelli che erano creduti pazzi sono stati poi rivalutati. Penso che sia proprio il caso del dottore, e niente mi farà cambiare idea.

Lui non pensava che sapessi, ovvio. Mi riteneva una brava segretaria – almeno lo spero – e aveva per me dei moti d'affetto e piccole attenzioni; ma credeva che non fossi all'altezza di comprendere il suo lavoro. Di questo non lo biasimo, e nemmeno la cosa mi offende: ognuno di noi occupava il suo ruolo nel mondo, e io occupavo il mio con un po' di tristezza (perché sapevo che la nostra storia d'amore non sarebbe mai potuta nascere) ma nello stesso tempo con orgoglio, cercando di aiutarlo in tutti i modi. Gli portavo il caffè; d'inverno appendevo il suo cappotto, i guanti e il cappello vicino al termosifone perché li trovasse caldi al momento di uscire; gli compravo i giornali del mattino selezionando per lui gli articoli più interessanti; rispondevo rapidamente al telefono in modo che gli squilli non rompessero la sua concentrazione (e spesso mentivo a sua moglie dicendole che suo marito non era in studio); gli preparavo piccoli spuntini e profumavo gli ambienti che condivideva con me. Ah, e ovviamente avevo massima cura della mia persona e sorridevo sempre. Volevo essere per lui una visione positiva, familiare, piacevole e dolce. Qualcuno su cui contare, e che poteva fornirgli la pace di cui aveva bisogno.

Oh, certo: ho conosciuto anche il signor Hevil, e non mi è mai piaciuto. Quello che faceva, lo faceva senza amore, solo per guadagnare. Non ho mai gradito il modo in cui mi parlava o mi guardava le volte in cui capitava in studio. E veniva spesso, per incassare i soldi che il povero dottor Markovitz gli doveva. Tanti, tantissimi soldi, perché Hevil era un uomo esoso. Ma non c'era altro modo per il dottore per procurarsi i campioni di tessuto umano e gli organi di cui aveva bisogno, e Hevil era l'unico disposto a procurarglieli.

QUARANTASEIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora