16. E' LA FINE DEL MONDO E TU SEI QUI

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Il ristorante era deserto, le luci spente, ma su ogni tavolo ardeva una candela. Le tende rosse davanti ai finestroni erano aperte. Trenta piani più in basso, la città semibuia era rischiarata da luci elettriche, fari di automobili e incendi. Nuvole di fumo si alzavano verso il cielo buio, oscurando le stelle. Di tanto in tanto si sentivano urla, schianti, esplosioni e colpi di pistola.

Adam uscì dalla cucina spingendo un carrello carico di vassoi coperti. Sopra lo smoking aveva messo un grembiule bianco, in testa un cappello da cuoco: quando lo vide Antonia scoppiò in una forte risata. Lei indossava un lungo vestito da sera di color verde, preso da un negozio che avevano trovato abbandonato, la porta aperta, nessuno all'interno. Intorno alla gola aveva la collana di sua madre. I capelli erano acconciati sulla nuca. La mano ferita era fasciata con lunghi giri di benda elastica.

Adam raggiunse il loro tavolo, che aveva preparato davanti al finestrone centrale, il più grande di tutti, dove la vista era migliore. Prese una bottiglia di champagne e reggendola dal fondo con una mano la fece ruotare fino a che il tappo venne via, senza saltare, in silenzio.

– Blanc de Blancs, cento per cento Chardonnay – annunciò. Le riempì il bicchiere e glielo servì tenendolo dallo stelo, per non aumentare la temperatura del vino.

Antonia annuì e sorrise. Le luci delle candele le facevano brillare gli occhi, e proiettavano sul suo viso ombre morbide e seducenti. Antonio rimase a guardarla per qualche secondo, affascinato. Poi riempì anche il suo calice e lo avvicinò a quello di lei.

– A noi. Alla nostra serata – disse.

– A noi – rispose Antonia.

Dall'esterno venne il suono di una sirena; poi una forte frenata e uno scoppio. In lontananza, oltre le colline, si intravedeva una luce arancione diffusa. Qualcosa di grosso doveva aver iniziato a bruciare. Forse il bosco, forse la città vicina. Antonia rivolse il viso verso la finestra: il suo sorriso vacillò e si spense. Adam si fece subito avanti con il carrello.

– Tartare di manzo, tartufo e nocciole – disse. Scoperchiò il primo vassoio, si avvicinò al tavolo e servì una porzione abbondante.

– Mmm! – disse Antonia. Prese una forchetta, assaggiò e riprese a sorridere. – Buonissimo... Ma quanta roba hai preparato?

– Ma niente, sai... E poi sono tutte cose piccole.

– Troppe!

– Vedrai di no.

– Però poi...

Dalla parte opposta del salone, fuori dalle doppie porte chiuse a chiave, oltre l'ingresso del ristorante, venne, improvviso e rude, un forte bussare. Qualcuno, forse una sola persona, forse più di una, stava battendo entrambi i pugni contro il legno. Si udirono grida e parole indistinguibili, emesse da voci alte e roche. Più persone, dunque.

Adam posò il vassoio. Dal tavolo accanto prese il fucile a canne mozze, lo imbracciò e alzò il cane.

– Faccio in un attimo – sussurrò. – Tu continua a mangiare.

– No! – disse Antonia. Allungò una mano per fermarlo, ma Adam si era già allontanato. Lo vide avvicinarsi alle porte, fermarsi un momento ad ascoltare, far scattare la serratura e scomparire oltre la soglia, il fucile puntato dritto davanti a sé. Antonia restò seduta, la schiena rigida e la mano che stringeva forte il manico della forchetta. Sospirò, nervosa. Poi se la portò alla bocca e iniziò a masticare.

Delizioso.

Dall'esterno del salone vennero delle urla frenetiche. Poi due colpi di fucile che rimbombarono tra le alte pareti. Antonia sobbalzò. Sentì un ultimo grido, forse di dolore, forse di rabbia. Poi tornò il silenzio. Voltò la testa verso la porta, pallida in viso. Quando vide Adam rientrare, il fucile buttato sopra una spalla come se niente fosse successo, lasciò andare l'aria che aveva trattenuto nel petto.

QUARANTASEIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora