11. ANNA

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Piove. Il cimitero è deserto. Dieci persone sono riunite davanti alla tomba di Bartolomeo Draghi, notaio, scavata di fresco. I visi sono seminascosti dai cappelli, dagli ombrelli aperti, dai baveri dei cappotti. Fa freddo, e un vento gelido fa fremere i rami degli alberi e soffia forte, rendendo la loro presenza ancora più penosa. Nessuno, a quel che si intuisce, ha voglia di essere lì. Nemmeno il prete, che infatti accelera le preghiere, salta alcune parti della cerimonia e dedica al defunto solo un banale pensiero.

In disparte stanno due necrofori con le vanghe. Sono avvolti in pesanti mantelle impermeabili, una verde e una arancione, e ai piedi hanno stivali di gomma. Uno mastica tra le labbra un corto sigaro. L'altro sbadiglia. Nemmeno loro hanno voglia di essere lì. Il freddo li fa rabbrividire. È Febbraio, dopo tutto. A un certo punto inizia anche a nevicare. Il prete, contrariato, alza gli occhi al cielo. Ha un'altra cerimonia che lo aspetta, deve spostarsi all'altro lato della città. Continua a recitare le sue preghiere, ma intanto i suoi pensieri vanno alla strada statale. Spera di non trovare ingorghi. E subito dopo aver pronunciato l'ultima frase di rito prende e se ne va senza salutare. I partecipanti lo seguono in fretta. Era un uomo solo, dicono del defunto. Persona particolare, sì, molto chiusa. Inquadrata, anche troppo. In fondo, col lavoro che faceva... Ma mai una donna, mai sposato, mai figli. Non è un peccato, vivere così?

I necrofori si fanno avanti. Iniziano a gettare palate di terra bagnata sopra la bara di mogano. Mentre precipita, la terra fa un rumore molle, umido, fradicio. I necrofori lavorano in fretta, sperando che riempire la fossa li riscaldi un po'. Il fumo del sigaro si disperde nell'aria. La neve, ora non più mista a pioggia, inizia a cadere più forte, in larghi fiocchi silenziosi. Basta guardarla per capire che attaccherà subito. Le lapidi di marmo iniziano già a ricoprirsi di un sottile strato bianco.

Quando la fossa è piena, i necrofori ci buttano sopra le corone di fiori, spingendole coi piedi o coi manici delle vanghe. Non fanno un buon lavoro: hanno visto la cerimonia quasi deserta, i visi annoiati dei presenti. Sono certi che nessuno tornerà a lamentarsi se qualche stelo o qualche fiocco si rovina. O daranno la colpa alla pioggia. Ma ecco che dal fondo del cimitero appare una figuretta nera e sottile che si fa avanti. È una donna, chiusa in un impermeabile grigio, fuori moda. Tra le mani tiene un mazzo di fiori. Si avvicina a passi corti e rapidi: è chiaro che vuole raggiungere i due lavoratori prima che se ne vadano. E quelli capiscono, e sbuffando la aspettano. Si stringono nelle spalle, rabbrividiscono.

– È questa la tomba di Bartolomeo Draghi? – chiede la donna. È una signora di mezza età con occhiali a fondo di bottiglia, un viso rotondo e anonimo, capelli lunghi e fragili che le ricadono ai lati del viso. C'è qualcosa che non va in lei, qualcosa che sembra fuori posto, ma non si riesce a capire cosa. Il necroforo col sigaro la guarda, cercando di capire; poi annuisce. Lei sembra contenta: – Ho fatto in tempo – dice. Si avvicina alla fossa e posa i suoi fiori tra gli altri mazzi. Anche quelli sembrano strani, particolari come lei. Per prima cosa hanno un colore difficile da decifrare, forse rosso o forse verde o forse viola; e poi non si riesce proprio a capire di che tipo siano. Non sono rose, non sono gigli, non sono ciclamini, non sono gerbere, non sono niente.

– Era un grande uomo – aggiunge la donna. I necrofori però non sono molto interessati. Anzi per niente. Quello col sigaro fa un cenno di saluto toccandosi con le punte delle dita l'estremità del cappuccio intriso d'acqua e neve, e fa per allontanarsi.

– Era una persona molto particolare, anche! – dice allora la signora, alzando il tono come se volesse trattenerlo lì, lui e il suo compagno. I due lavoratori si scambiano uno sguardo annoiato e insofferente. Pensano a un'amante segreta con una storia da raccontare, con tanta voglia di scambiare due parole. È freddo, però. E nevica. Nessuno dei due ha voglia di starla a sentire.

– L'ho conosciuto quando è venuto a casa del mio precedente padrone – continua la donna. Allora è la cameriera, pensano i necrofori. Una servetta, una stiratrice, una cuoca, cose così. Forse segretamente innamorata del suo padrone. Niente di nuovo sotto il sole. Anzi: sotto la neve. Di storie così ne avrebbero da raccontare a decine. – Mi ha vista, gli sono piaciuta, mi ha voluto con sé. Mi ha pagata anche tanto, se volete saperlo.

(no, non vogliono)

Trentasei milioni, sapete? Ma io non valevo così tanto. Chissà cosa ha visto in me, non lo so. Però mi ha voluto portare subito a casa sua. Ha tirato fuori il libretto degli assegni, ha firmato senza guardare, fissando negli occhi il mio padrone, e gli ha chiesto di tirarmi giù subito.

Uno dei necrofori aggrotta le sopracciglia. L'altro mastica il sigaro, dubbioso. Tirata giù da dove?

– Mi ha portata a casa sua e mi ha messa nel suo studio, vicino a una finestra. E tutte le sere si sedeva su una poltrona di fronte a me e mi guardava, bevendo un bicchiere di vino. Mi parlava, anche, ma a voce così bassa che non sono mai riuscita a distinguere le parole. Giuro che avrei tanto voluto sapere il motivo del suo comportamento, ma non l'ho mai capito. Secondo me gli ricordavo qualcuno. O forse ero davvero qualcuno che lui ha conosciuto. Ma chissà, come faccio a saperlo? Io ignoro tutto quello che è stato prima di me. Conosco il mondo solo dal momento in cui ho aperto gli occhi. Comunque mi ha fissata così tanto, per giorni e settimane e mesi e anni, che alla fine... – la donna si indica. – Beh, eccomi qui. Non credevo neppure che fosse possibile. E lo vedete anche voi: non sono niente di speciale. Però adesso ci sono.

I due necrofori si guardano. Arrivati a quel punto, dopo aver sentito tutte quelle stupidaggini, pensano di avere a che fare con una pazza, e tra quello e la neve non vedono l'ora di andare via. Quello col sigaro annuisce come se avesse capito tutto, anche se non ha capito proprio niente, e fa di nuovo il gesto di salutare e andare, toccandosi il cappuccio.

- Ma ovviamente solo adesso sono libera. Solo ora che lui non c'è più, che mi ha lasciata andare. Prima ero... un suo sogno, o un suo ricordo, fissato nell'immagine che lui aveva di me. Ma invece adesso sono... beh, adesso sono io. Davvero io. Mi dispiace, però: avrei voluto che mi vedesse prima di morire. Che vedesse cosa è riuscito a fare. Penso che ne sarebbe stato contento. Ma chissà. Nemmeno io l'ho mai capito molto. Ma credo che sarebbe stato soddisfatto, sì.

A questo punto i due necrofori ne hanno avuto abbastanza. Si caricano le pale su una spalla e si allontanano. Anche loro hanno una casa a cui tornare prima che la neve blocchi le strade. La donna rimane a guardarli allontanarsi con un po' di dispiacere; poi si rimette a fissare la tomba. Erano tante le cose che avrebbe voluto sapere, ma ormai è convinta che non le conoscerà mai. Si sente un po' sperduta, ma anche fiduciosa. Forse riuscirà a cavarsela bene. Forse troverà un posto in cui stare. Forse potrà essere solo se stessa, e non l'immagine, il sogno, il ricordo di un altro. Comunque, al signor Draghi ha voluto bene. Non pensa che ci esistano al mondo tante donne che siano state fissate da un uomo tanto quanto lo è stata lei. Si china un attimo ad aggiustare il mazzo di fiori senza forma. Poi si rialza e si allontana.

Svanisce in lontananza, confondendosi tra i fiocchi di neve.

E noi, se ora potessimo entrare nella casa ormai deserta del signor Bartolomeo Draghi, vedremmo al centro del suo studio, appeso a una parete, un quadro dalla grossa cornice dorata.

RITRATTO DI ANNA, c'è scritto sulla targhetta.

Ma la tela è vuota.

Come se la figura dipinta l'avesse abbandonata.

FINE

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NOTE

Questo racconto è nato... dal nulla. Mi sono seduto davanti al PC, mi sono chiesto cosa scrivere, mi sono guardato intorno in cerca di ispirazione. Quando mi sono voltato in direzione del finestrone del salotto, mi sono accorto che fuori si era messo a piovere. "Piove", ho scritto. La pioggia mi ha fatto venire in mente un cimitero. Cimitero vuol dire funerale. Un funerale interessante è quello di una persona che ha qualcosa di misterioso. E perché è misterioso? Cosa può aver fatto, visto, vissuto?

E il racconto è nato così. Improvvisando. Non capita spesso, ma quando funziona è sempre una soddisfazione. 

Vi aspetto alla prossima puntata.

QUARANTASEIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora