7. SE C'E' UNA COSA CHE ODIO

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Se c'è una cosa che odio è alzarmi presto la mattina. Se c'è una cosa che odio è dover aspettare il mio turno per il bagno perché mio fratello minore per farmi dispetto si chiude dentro e non esce più. Se c'è una cosa che odio è dover fare colazione appena sveglia mentre quel cretino di mio fratello (sempre lui) guarda i cartoni animati a tutto volume. Se c'è una cosa che odio è mia madre che mi dice di sbrigarmi e si lamenta per come sono vestita. Se c'è una cosa che odio è dover andare a scuola tutte le mattine. Se c'è una cosa che odio è dover uscire sempre di fretta perché per colpa dei capricci di mio fratello finiamo per essere sempre in ritardo. Se c'è una cosa che odio è dover portare uno zaino pieno di libri che pesa tantissimo e mi rovina i vestiti.  Se c'è una cosa che odio è trovare l'ascensore sempre occupato. Se c'è una cosa che odio è questo condominio vecchio e puzzolente. Se c'è una cosa che odio, e lo ripeto e lo ripeterò sempre, è dover scendere le scale, scendere le scale, scendere le scale, scendere le scale, scendere le scale, scendere le scale...

Ma quando finiscono queste benedette scale?

Guardo il display del telefono e non riesco a credere ai miei occhi: sono uscita di casa alle sette e venti. Sono le sette e quaranta e sono ancora sulle scale. Mi affaccio al corrimano e guardo giù. Poi su. I gradini sembrano continuare all'infinito. Questo non è normale, proprio per niente. Comincio a sentirmi nervosa e preoccupata.

– C'è qualcuno? – chiamo. Nessuno risponde. Sono su un pianerottolo, e ho davanti a me le porte di tre appartamenti. Mi avvicino ai campanelli, ma i nomi non hanno alcun senso. GROMBREL, c'è scritto sul primo. Sul secondo BROMED-GPRODA, e sul terzo NYTEAZ C. Sicuramente non sono persone che conosco, e l'idea di suonare e chiedere aiuto mi spaventa. Non riesco a immaginare che faccia potrebbe avere il signor NYTEAZ, o i suoi vicini. Decido di scendere ancora, contando i piani. Ne conto uno, due, tre, dieci, venti; poi smetto. Ora davanti a me ci sono altri tre appartamenti con le stesse porte uguali. I nomi sono sempre incomprensibili. Che faccio, suono? No, non ne ho il coraggio. Poso lo zaino e mi siedo sul primo scalino. Provo a guardare il telefono, ma non c'è linea. Mi sta venendo da piangere, e ho paura. Cosa sta succedendo? Perché le scale non finiscono mai? Come ci sono finita qui dentro? Come esco? E perché sono sola? Se c'è una cosa che odio sono...

– EHI! – grida qualcuno.

– EHI! – urlo. Mi alzo e guardo in su. C'è un ragazzo a sei piani da me. È Marcello, quello del terzo. Ha due anni più di me, di solito non mi guarda mai, non mi ha mai rivolto la parola, ma a me piace tantissimo. Mi è sempre piaciuto, dalla prima volta che l'ho visto.

– Scendo subito, resta lì! – mi dice. E infatti in pochi secondi arriva, contento di vedermi, anche lui col suo zaino sulle spalle. – Cioè, che roba, eh? – mi dice. – Sarà un'ora che scendo, ma uscite non ce ne sono. Pure tu?

Io faccio segno di sì con la testa. Vorrei dire qualcosa di interessante, ma avere Marcello vicino mi imbarazza e ho paura di parlare. L'ho già detto che se c'è una cosa che odio è la mia timidezza? Beh, è così. Però adesso questa situazione non mi sembra più così terribile.

– Hai provato a suonare a qualcuno? – mi chiede. Faccio segno di no.

– Io sì – dice, gonfiando il petto. – Ho suonato a tutti i campanelli che ho trovato. Ai Bruzrgegb, ai Grgorgorog e ai Feredaderefa.

Ride. E a quel punto non riesco a resistere alla curiosità.

– E che è successo? –  Dio, non posso credere che sto finalmente parlando con lui!

Marcello alza le spalle. – Niente. Non ha aperto nessuno. Secondo te che dobbiamo fare?

Spalanco le palpebre. Marcello che chiede A ME cosa fare? L'ansia sale, cerco disperatamente qualcosa di intelligente da dire. Potremmo... continuare a scendere? Salire? Sederci e aspettare che qualcuno ci venga a prendere? Del resto qualcuno si accorgerà prima o poi che siamo rimasti intrappolati in questo... in questa... COSA... e ci verranno a cercare, giusto? Allora sarebbe meglio non allontanarci troppo. Lo dico a Marcello, arrossendo ma cercando di non balbettare. E lui, miracolo dei miracoli, sembra d'accordo con me.

QUARANTASEIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora