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Clarke

Resto ancora per un po’ seduta lì, cercando di raccogliere i miei pensieri.
Mi alzo lentamente, cercando di scacciare la sensazione di disagio che mi attanaglia.
Mentre mi incammino verso il resto dei membri, noto qualcosa che cattura la mia attenzione.
Scuoto la testa, cercando di respingere il senso d'inquietudine che mi pervade.
Forse sto solo sovraccaricando la mia mente con le parole d'Indra, forse ho immaginato qualche presenza
estranea oltre le nostre difese.
Eppure, non posso ignorare questa strana sensazione che mi accompagna.
Cosa potrebbe significare?
Se la mia mente mi dice di raggiungere velocemente la mia stanza, il mio corpo sembra avere altri piani.
Senza attirare l’attenzione di nessuno, mi avventuro fuori dal campo.
Cammino guardandomi attorno con sospetto, ma quanto accade dopo avviene troppo in fretta.
Improvvisamente, sento dei passi dietro di me e poi tutto diventa buio.
Quando riprendo coscienza, mi rendo conto che qualcuno mi sta trascinando.
Sotto di me, sento il terreno roccioso.
Pieno di sassi.
La paura mi attraversa mentre cerco di capire cosa sta succedendo.
Sento il suono dell’acqua, probabilmente siamo vicino al fiume.
Decido di fingere di cadere e svenire, sperando che il rapinatore mi togliesse la sacca dalla testa.
Quando lo fa, apro un occhio e lo guardo allontanarsi per raccogliere dell’acqua.
Aspetto qualche secondo prima di tentare di attaccarlo, ma i miei sforzi sono vani.
Guardo meglio il viso del mio rapinatore, cercando di capire chi sia.
«Tu fai parte della nazione del Ghiaccio».
Lui annuisci solamente. Poi, senza alcuna esitazione, mi colpisce con uno schiaffo, lasciandomi attonita.
Non ho paura per me stessa, ma per il piccolo che porto in grembo.
Oh Bellamy, dove sei?
Penso con ansia.
Riprendiamo a camminare, e noto che il terreno sta cambiando.
Ora c’è dell’erba sotto i miei piedi.
Deve esserci un campo o qualcosa del genere qui intorno.
Il rapinatore mi trascina verso un masso e mi toglie la sacca dalla testa.
«Ora sta zitta».
Mi intima.
Ma non posso tacere.
Urlando, cerco di far sentire la mia voce, ma lui mi tappa la bocca con la mano.
«Molte morti verranno a causa tua».
Mi minaccia con voce sinistra.
Poi mi rimette il sacco sulla testa.
Usciamo dal nostro nascondiglio, e sento i guerrieri del popolo del ghiaccio parlare tra loro.
Uno di loro mi togliere la sacca e mi riconosce.
«Lei è Wanheda».
Dice.
Quello che segue accade tutto velocemente: mentre uno dei guerrieri si prepara a lottare, io inizio a
correre più velocemente possibile, seguita dal terzo.
Ma presto uno sparo risuona nell’aria, e il mio inseguitore cade a terra, morto.
Mi fermo e afferro il pugnale che aveva nelle mani.
Dopo un istante di esitazione, mi giro e affondo la lama nel fianco del mio rapinatore.
Ma prima che possa fare altro, lui mi sottomette.
Proseguiamo il cammino fino a raggiungere una stazione della metropolitana abbandonata. Mi lega ad un
palo e, mentre si prepara a curare la sua ferita, mi sussurra:
«Se avessi colpito un pollice più a fondo, sarei morto. Forse non sei il comandate della morte dopo tutto».
«Come ti chiami?»
«Roan».
Lo guardo, il suo sguardo severo non mi dà speranza.
«Perché ti nascondi dal tuo popolo?»
«Sono stato bandito, e no, non posso portarti a casa dalla tua gente perché sei la via di ritorno per la mia».
Poi si allontana, lasciandomi sola con la mia disperazione.
Passano alcuni minuti e sento dei passi avvicinarsi.
È Bellamy.
Ci guardiamo negli occhi per un istante, e sento un senso di sollievo pervadermi.
«Sono qui ora, ti libero».
Mi sussurra, ma prima che possa reagire, Roan lo colpisce.
«No!»
Grido disperata.
«Farò tutto quello che vuoi, ma non fargli male!»
Supplico con tutta me stessa, ma Roan mi guarda con freddezza mentre ferisce Bellamy alla gamba.
Le lacrime mi bruciano gli occhi, ma rimango impotente, incapace di fare altro che guardare.

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