3. CMU

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Un fiore appassito sbircia da dietro la tenda
caldo fuori e freddo dentro.


Non appena riesco a vedere il campus in modo nitido, mi rendo conto che è molto più grande di quanto mi fossi immaginata dalla descrizione di Leda. All'esterno è circondato da mura bianche, interrotte solo da un grande cancello sulla facciata principale, davanti al quale si sviluppa una grande piazzale costellato di macchine e moto, quest'ultime parcheggiate a raggiera attorno alle mura.

«Eccoci» esclama Leda entusiasta «siamo fortunate perché è sabato e molti non hanno lezione, quindi ci sono un sacco di posti liberi».

Mi slaccio la cintura e scendo dall'auto, guardandomi intorno. Avrei da obbiettare sul fatto dei parcheggio liberi, perché non ne vedo altri oltre a quello in cui ci siamo appena infilate.

«È una città in miniatura» dice Leda quando ci avviciniamo al cancello, socchiuso abbastanza da lasciar passare una persona, ma non i mezzi. Sbircio oltre le spalle di Leda: le pareti esterne di ogni edificio sono bianche, costituite da grandi lastroni che conferiscono al campus un senso di ordine rinascimentale.

«E ora dritte al punto» esordisce allungando il passo.

«E qual è il punto?» chiedo disorientata, ma Leda si è già avviata lungo un sentiero formato da tante piccole mattonelle circolari, che si ramifica sull'intero giardino. Quest'ultimo sembra essere il fulcro del campus, perché vi si affacciano tutti gli edifici. Il sentiero si biforca appena dopo l'entrata e, se a sinistra taglia il giardino e si ramifica verso gli ingressi di vari edifici, a destra costeggia la facciata di tutte le strutture, lasciando che le singole entrate vi si affaccino. Poi le mattonelle si perdono dietro a quell'unico blocco centrale di fronte a noi.

Leda prende la sinistra e io la seguo, continuando a crearmi una mappa mentale di quel posto.

Alla mia sinistra, una terrazza separa l'ennesimo edificio bianco, da un altro costruito in mattoncini piccoli rosso creta.

«Bianca?» mi esorta Leda, che si è fermata ad un nuovo svincolo del sentiero.

«Arrivo» dico accelerando il passo.

«La biblioteca» indica l'edificio alla nostra sinistra «e le residenze» continua accennando alla struttura in mattoni costellata da tante piccole finestrelle.

«Quante stanze ci sono?» chiedo sorpresa.

«Uhm, forse duecento per piano, e calcola che in ognuno ci stanno due studenti e che sono quattro piani» dice con voce trasognante.

«Wow» mi lascio sfuggire continuando a scorrere lo sguardo per tutta l'altezza dell'edificio.

Non vado forte in matematica, ma la quantità di studenti che alloggiano lì dentro è strabiliante.

«Magari se ottieni una borsa di studio potrai vivere qua»

«Non succederà mai. È più probabile che si asciughi il mare» rispondo ritornando alla realtà «tu, invece, ci riuscirai».

«Magari, davvero» dice guardandomi speranzosa «è che stare qua, sentirsi parte di un gruppo, vivere in modo completo il campus, deve essere davvero fico»

«Immagino proprio di sì» rispondo sognando di far parte di questo mondo irraggiungibile «Quando saprai se l'hai ottenuta?»

«Ad anno nuovo, di sicuro» risponde con tono impaziente, poi si volta verso l'edificio centrale alla nostra destra.

«Ed ora la mia area preferita» dice sorridente cambiando argomento.

Mi volto seguendo il suo sguardo, al contrario della parete che si vede dall'ingresso, di lato è completamente ricoperto da una grande facciata a vetri, che lascia vedere un ampio spazio interno, pullulante di persone che si accalcano ad un banco sul fondo.

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