21. TRENTA MARZO

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Mi ricordo la sera, la luna,
la primavera alle porte
e le anime incorrotte.


Quanto può far male rendersi conto che ad ogni anno che passa si è sempre più lontani dalle persone che amiamo e che ci hanno lasciato? Crescere e continuare a vivere sapendo che loro sono rimasti in stand-by, congelati all'età in cui hanno smesso di esistere.

Una fitta allo stomaco mi fa quasi cadere dalle mani lo shampoo alla vaniglia che sto spremendo con tutte le mie forze.

Quando alzo gli occhi dalla mia mano su cui una noce di shampoo si sta sciogliendo, la boccetta cade con un tonfo sordo ai miei piedi. Il getto d'acqua continua a scorrere sulla plastica producendo un rumore sgradevole.

Ma io sono paralizzata.

Davanti a me due occhi azzurri mi guardano luminosi.

Livia mi guarda e sorride. Le sue labbra fini e delicate disegnano una dolce U.

Guardo mia sorella e sento la mia fronte incresparsi, mentre un dolore insostenibile si propaga dal petto lungo tutto il mio corpo.

Le pareti della doccia sfumano e io mi trovo nel salotto della mia casa in Italia. Il divano blu di tessuto morbido è al centro della stanza con una piccola Livia di dieci anni che se ne sta seduta con la nostra coperta fucsia tirata su fino al collo, mentre mi guarda implorante con i suoi occhi grandi.

Io ricambio lo sguardo dal piccolo tavolo di vetro dove faccio i compiti. Abbiamo già cenato, è mercoledì e sono appena tornata da pattinaggio. Sono felice, perché domani è il mio dodicesimo compleanno e finalmente mi potrò proporre per iniziare a fare pattinaggio di coppia. Mamma e papà si sono imposti affinché, prima dei dodici anni, non iniziassi questo progetto, il motivo è che i ragazzi sono tutti più grandi di me. Ma finalmente domani avrò una possibilità. Potrò dimostrare che riesco a volteggiare in aria come una libellula. Voglio che qualcuno mi lanci e mi riprenda, che danzi insieme a me su quella pista. Voglio far emozionare le persone e non vedo l'ora.

«Dai, passami il telecomando Bianca!»

«Ma ho appena iniziato a fare i compiti, Lily, uffa»

«Per favore? Voglio guardare la Dottoressa Peluche!»

«Sei una noia, Lily, me ne vado in camera»

Ritorno al presente con uno scatto repentino. Lo shampoo è ormai scivolato tra le mie dita e io sto osservando il vuoto.

Livia non è qui.

Guardo il braccialetto sul lavandino e ho la conferma che sono di nuovo nel presente: lei non me l'avrebbe mai dato di sua spontanea volontà.

Se avessi saputo che quelle sarebbero state le ultime parole che avrei rivolto a mia sorella, avrei detto altro, qualcosa che adesso vorrei urlare: ti prego non odiarmi, vieni con me nella casetta-biblioteca, non rimanere nel tuo letto stanotte.

Ti voglio bene.

Non te ne andare. Non lasciarmi sola.

Non ho mai voluto che questo succedesse a te e al papà.

Ti prego svegliati e corri lontano, vattene e vivi, vivi ancora.

Un urlo straziante risuona dentro al bagno e le mie lacrime calde iniziano a mescolarsi con l'acqua della doccia.

Mi concentro cercando di vedere di nuovo il suo volto. Ma non c'è, non c'è più.

«No», dico cercando di afferrare l'aria davanti a me «no, no. Non andartene, ti prego, Lily, non di nuovo»

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