23. BAKERSFIELD

17 1 0
                                    


Brucia nel mio petto una fiamma ghiacciata.
Mi corrode il cuore e infine mi annienta.


Una luce flebile mi accarezza le palpebre e sento un odore di caffè invadere l'aria. Per un secondo mi illudo che quello potrebbe essere il mio buongiorno per tutta la vita.
Poi come un fulmine a ciel sereno la realtà mi schiaffeggia: Nik partirà oggi.
Voglio essere ottimista, voglio credere con tutto il cuore che quest'occasione sia per lui un lasciapassare per il futuro che costruiremo insieme. Ho bisogno di crederlo, altrimenti, se non lo faccio, corro il rischio di ripiegarmi su me stessa di nuovo. Se penso che potrei non vederlo più, il mondo mi crolla addosso. Sapere che esiste anche questa remota possibilità, mi strazia.
No. Lui ha detto che tornerà, me l'ha promesso e sarà così.
Sì, ma quando?
Posso raccontarmi qualsiasi cosa voglia, ma in fondo covo una piccola e maligna speranza che possa dirmi 'stavo scherzando, non parto davvero'.
È terribilmente sbagliato pensarlo. Come posso volergli tarpare le ali?
Mi vergogno di me stessa.
Apro gli occhi. Una strana sensazione di quiete sospesa mi avvolge e lo stomaco si contorce: Nik non è accanto a me. Scatto in piedi e mi rivesto in fretta e furia. Poi spalanco la porta che dà sulla saletta comune del dormitorio e lo trovo lì, piegato sulla sua tazza di caffellatte così assorto dai suoi pensieri che neanche mi sente arrivare.
Sorrido, eppure dentro vorrei piangere come una bambina a cui è stato strappato di mano lo zucchero filato.
«Buongiorno» sussurro al suo orecchio e mi appoggio alla sua schiena per abbracciarlo.
«Hey» dice voltando la testa.
«A che cosa pensi?»
Sospira e mi fa sedere sulle sue gambe, allontanando la tazza ancora piena.
Mi sporgo verso di lui e lo osservo corrucciata.
«Vedo i criceti affannarsi nel tuo cervello»
«Come?» risponde sfoggiando un sorriso divertito.
Lo guardo come un'artista guarderebbe la propria opera d'arte esposta al museo. Come se avessi dipinto io il suo sorriso, le sue fossette, i suoi occhi profondi, le ciocche scure che gli ricadono sulla fronte, le labbra carnose. Un'opera d'arte, ecco cos'è Nik. Un'opera meravigliosa che pizzica le corde del mio cuore.
«Ti ho fatto sorridere» dico orgogliosa facendo toccare le punte dei nostri nasi.
Nik sospira di nuovo.
«Stai tremando» sussurra mentre sfiora la mia guancia col dorso della mano.
«Ho paura»
«Anche io» dice all'improvviso e quando lo guardo, tutto quello che riesco a vedere è afflizione.
«Che succede? C'è qualcosa che dovrei sapere?»
Il mio stomaco si sta contorcendo su se stesso ed è come se mi mancasse l'aria.
«Io...» inizia. Ma guarda oltre di me e afferra una sigaretta dal pacchetto sul tavolo.
Il mio cuore perde qualche battito, ne sono sicura.
«È che per la prima volta nella mia vita il cambiamento significa lasciarsi alle spalle qualcosa di bello»
Scatto in piedi, con le orecchie che fischiano.
«Cosa, cosa significa che ti lasci alle spalle?» farfuglio.
«Tu»
«Io cosa?» lo sgomento lascia spazio alla rabbia.
Vuole lasciarmi alle spalle? Che cosa sta blaterando?
«Non ho mai avuto nessuno per cui avessi voglia di restare in un luogo»
«Ma non mi stai dicendo addio, Nik»
«No, non lo sto facendo, ma sto partendo e non so quando tornerò»
«Ci vedremo nei weekend, e in videochiamata, non sarai mica così impegnato, no?»
Più che una rassicurazione la mia è una ricerca di conferma e di conforto.
«Sì, lo so» dice accendendo la sigaretta.
«E allora cosa, Nik? Cosa non mi stai dicendo?»
Quando mi guarda negli occhi, per la prima volta dopo mesi, ha lo stesso sguardo distaccato che mi riservava i primi tempi.
«Non ti nascondo niente» dice facendosi serio.
«Invece sì» ribatto ferma, anche se dentro sto tremando come una foglia e temo di svenire.
Sbuffa e si alza in piedi passandosi una mano tra i capelli.
«Che cosa ti rende così nervoso?»
Si volta di nuovo e si avvicina torreggiando su di me. Poi mi afferra il volto tra le mani e vedo la sua corazza farsi sempre più spessa.
«Mi rende nervoso perderti» butta fuori con voce strozzata.
«Non succederà»
«Chi te lo dice?»
«Io lo dico!» esordisco togliendomi le sue mani di dosso.
«Non allontanarti, ti prego»
«Sta a noi decidere cosa farne di... di noi»
«Non sempre siamo in controllo di tutto, lo sai questo?»
È rassegnazione quella che avverto nella sua voce?
«Ma che cosa stai blaterando, Nik?» dico arretrando sempre di più «Se sai già che non riuscirai a resistere a una relazione a distanza per qualche settimana, o qualche mese, insomma quanti diavolo di giorni starai a Bakersfield, allora partiamo già male, tanto vale che mi lasci adesso!»
Sono su di giri. Ma che cavolo gli è preso?
«Io so che resisterò» dice a pugni stretti «e che tornerò»
«E io sarò qua ad aspettarti» lo interrompo decisa.
«Come fai a saperlo? Tu hai iniziato adesso a vivere, stai ripartendo, e io me ne sto andando, che razza di ragazzo sono?»
«Nik, davvero, stai delirando, te lo dico» dichiaro confusa.
«Bianca, tu sei l'unica cosa che mi tiene in piedi»
Il modo in cui pronuncia il mio nome, quasi come se gli bruciassero le corde vocali nel dirlo, mi allarma. Che cos'è cambiato da ieri sera?
«E sarà così per sempre, se me ne darai modo»
Nik si avvicina e poggia la sua fronte sulla mia. Averlo così vicino mi mancherà.
Mi mancherà correre in questo dormitorio e passare le serate a guardare film con popcorn schifosi fatti nel microonde. Mi mancherà sentirlo sgusciare in camera mia e nel mio letto alle tre di notte quando stacca da lavoro. Mi mancherà voltarmi per i corridoi per cercarlo e trovarlo a guardarmi. Mi mancherà essere gelosa di Maddie o di Lexi. Mi mancherà abbracciarlo, sentire il suo odore di... casa. Mi mancherà tutto. E vederlo nei weekend non mi basterà, ma almeno non sarà una relazione totalmente a distanza. Mi mancherà come l'aria, ma lui deve spiccare il volo e io non voglio impedirglielo.
«Dimmi che non sono un egoista ad andarmene»
«Non lo sei» dichiaro sicura «ma sei un pazzo se pensi che io non sarò più qui al tuo ritorno. Io ti chiamerò, ti manderò messaggi e foto e ti renderò partecipe di questa vita che finalmente sto riprendendo in mano grazie a te. Te lo prometto».
«Dio, che tempismo...» dice con un riso amaro.
«Le occasioni della vita sono improvvise ed è per questo che sono uniche: perché o le cogli o non torneranno più. E io sono fiera della tua decisione» dico tutto d'un fiato.
Dopo un silenzio straziante, è lui a parlare.
«Ti ho mai detto che profumi di camomilla?»
Sorrido e scuoto la testa.
«E che è molto eccitante?»
Scuoto la testa di nuovo, arrossendo stavolta.
«In teoria la camomilla è un calmante»
«Allora sei solo tu che sei eccitante»
Detto ciò, si scaglia sulle mie labbra con un bacio deciso.
«Mi mancherà poterti baciare ogni volta che ne ho voglia» dice per poi riprendere a baciarmi.
«E mi mancherà sentirti su di me» aggiunge attirandomi a sé.
Poi si blocca e prima di fare qualsiasi altra cosa, fa un gesto che non aveva mai fatto prima: solleva la manica della mia maglia e traccia le piccole cicatrici bianche che avvolgono il mio avambraccio. E poi le bacia, una ad una, come se fosse una scia di stelle e non di sbagli.
Così, sotto il suo tocco delicato, sento che posso anche perdonarmi, che posso anche accettare di essermi odiata tanto. Sento che posso iniziare ad amarmi per lui, accettare che il mio corpo, come il suo, è una mappa che racconta qualcosa che siamo riusciti a superare. Qualcosa che, in un modo o nell'altro, ci unisce e ci allontana al tempo stesso l'uno dall'altra.
Sono fermamente convinta che i nostri passati possano davvero guarirsi a vicenda, tanto quanto possono annientarsi.
Con cautela faccio scorrere la mano libera sulla sua schiena. Lo sento irrigidirsi, ma quando appoggio le mie labbra sul suo collo e con la mano continuo a percorrere le sue cicatrici, che risaltano sulla pelle tatuata, si rilassa.
Nella mia mente mi figuro tutti i suoi tatuaggi e immagino quanto deve essere stato difficile volerli usare per nascondersi, e più ci provava, più le cicatrici risaltavano. Me lo immagino bene perché per me è stato l'opposto, ho cercato di tirar fuori le mie urla interiori in qualsiasi modo, come se potessero scorrere fuori insieme al sangue, e invece rimanevano lì, annidati nel profondo della mia psiche a guardarmi provare invano.
«Promettimi che tornerai sempre da me» dico a mezza voce.
«Te lo prometto.» sussurra dopo qualche minuto «Non c'è altro posto in cui vorrei essere che non sia con te»
E così ci salutiamo. Lo facciamo nel modo migliore di tutti: curando le ferite l'uno dell'altra, le sue fisiche, le mie psicologiche. Che poi non sono tanto diverse, alla fine una tira l'altra in un vortice infinito di dolore.
Vorrei urlare al mondo: guardateci, ce la stiamo facendo!
E ce la faremo, perché l'anima è talmente ancorata alla vita che, anche quando vorremmo strapparcela di dosso, essa grida sempre per rimanere. Grida alla luce, al futuro.
E quindi ora ci credo davvero che possa averne uno, lo vedo talmente concreto che potrei arrivare in capo al mondo e urlare a tutto l'universo di guardarmi mentre mi riapproprio di me, della felicità che mi merito e del futuro che mi aspetta con la persona che amo.
Vorrei tornare nel mio paesino, spalancare la porta di casa e urlare a mia madre che lei non mi ha uccisa. Che nonostante le sue parole affilate come lame, io sono viva.
Sono viva e, soprattutto, sto vivendo.

PHOENIX - Edelweiss Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora