9. GOLDEN GATE

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Paura è realizzare che ciò che ti rende felice
ha anche il potere di ferirti.


Quando Leda e Clary sono tornate in città, ho dovuto fare i conti con loro per quello che è successo con Nik. Inutile dire che sono state circa due ore a spiegarmi tutti i possibili scenari futuri conseguenti alle mie azioni e il fatto che non devo fidarmi di lui. Conclusione: in pratica sono un'incosciente.

Dopo le preoccupazioni sono arrivate le curiosità e mi sono trovata a ripercorrere tutto quello che è successo, gli ho raccontato tutto, eccetto dei suoi occhi e di come ci ho visto una scintilla, di come ho avuto paura di perdermi, di come ce l'ho tutt'ora. Perché io sono instabile e lui più di me.

Non va affatto bene quello che è successo.

Ho mentito sul fatto di non nutrire un senso di profonda speranza, sul fatto che forse non è stato proprio niente come mi ostino a voler credere. Mi ripeto che è stato solo un momento di debolezza, nonostante in fondo so bene dove sta la verità e persino le capriole che fa il mio cuore quando lo vedo, la delusione che provo vedendo che si comporta ancora una volta come se non esistessi affatto, accompagnata dalla consapevolezza che è solo colpa mia, che lui mi aveva avvertita.

Oggi ho deciso di passare il pomeriggio in biblioteca, perché negli ultimi cinque giorni, a partire dalla notte di Natale, non ho fatto altro che piangere al buio nella mia camera, tornarci anche oggi che posso stare al campus, sarebbe una tortura.

E non ho pianto per Nik. Ho pianto perché ogni singolo istante del giorno di Natale mi sono sentita sola al mondo. Perché ogni notte ho dovuto dire a Mike che stavo bene, anche quando gli chiedevo di restare a dormire con me perché avevo gli incubi, o meglio, sempre lo stesso incubo: sempre la stessa notte, sempre lo stesso evento, sempre lo stesso dolore. Un loop infernale, come una condanna che non mi darà mai tregua.

Ho pianto perché sono lontana dalla mia terra, lontana da un posto che non era più casa mia. Ho pianto perché mi sento in ritardo, come se la vita scorresse senza di me, come se ogni attimo fosse un treno perso. Per la prima volta da che sono a San Francisco mi sono sentita uno schifo e mi sono odiata con tutta me stessa.

Oggi ho deciso che per uscire da questo circolo vizioso in cui mi hanno trascinato le feste natalizie, dovevo uscire e tornare alla normalità, come un qualsiasi altro giorno, come se Natale non fosse mai passato. Come se non fossi mai stata nella stessa stanza con Nik.

Adesso sono già due ore che me ne sto isolata con i volumi di critica letteraria, immersa nelle parole di coloro che, prima di me, si sono cimentati in questo lavoro, nella speranza, un giorno, di poter seguire le loro orme. Scavare nelle menti degli autori di secoli passati, scomporre e ricomporre i puzzle delle loro opere per trovare i significati che vi hanno nascosto, come una caccia al tesoro, sono queste le sfide mi piacciono. Inoltre, adoro l'idea di proporre le mie intuizioni affinché le parole criptiche degli autori possano arrivare al cuore di più persone possibili. Voglio provare a regalare ad altri le emozioni che scopro ogni volta che leggo un testo, coloro che non riescono a leggere dalla sola superficie e hanno bisogno di una guida per vedere cosa si cela dietro di essa.

E sembrerò pazza, ma leggere criticamente qualcosa è un modo per ricordarmi quella che è stata la mia passione più grande prima che anch'essa mi venisse strappata via: il pattinaggio. Studiare un testo e fornirne una personale interpretazione equivale ad ascoltare una melodia e darne un'interpretazione propria, attraverso i mezzi che padroneggi meglio, che sia una penna, o un paio di pattini, non importa. Il fine è lo stesso: affascinare il pubblico, fargli dimenticare della realtà e catapultarlo in un mondo effimero, eppure tanto reale quanto lo sono i sogni.

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