E se è vuoto ciò che sento, ho paura di urlare
perché renderebbe reale ciò che ho dentro.«Pattina, pattina!» urlo dalla parte opposta della pista rispetto ai miei allievi.
«Vai, Becky, spingi e hop» seguo la loro traiettoria «Jay, sei fuori tempo»
Becky e James coprono la pista in parquet con pattinate ampie, coordinando i loro passi e le loro espressioni come se fossero una cosa sola.
Sono bravi. Ma non abbastanza per il podio al quale ambiscono, per questo sono esigente. Perché, se vuoi conquistare qualcosa, l'unica strada è che qualcuno ti spinga a non mollare quando le cose si complicano.
«E un, due, tre. Chassé, open stroke. Sei, sette, otto» li seguo schioccando le dita a tempo «Swing, mohawk e vai con l'axel»
Il salto è perfetto, ma c'è qualcosa che stride.
Interrompo la musica con il telecomandino che mi porto appresso.
«Ragazzi non ci siamo» dico dirigendomi verso di loro.
«Cosa non va?» si lamenta Rebekah passandosi una mano sulla fronte lucida.
«Il tempo, sono in anticipo io» le risponde James frustrato.
Becky si morde il labbro scuotendo la testa.
Stiamo provando il disco da un'ora ormai, questo weekend hanno una gara importante in cui si giocano la classificazione ai campionati nazionali. Ma io non potrò seguirli per star dietro all'università, visto che ho cercato di mettermi al passo e fare due anni in uno. Una speranza ambiziosa, ma non irraggiungibile. Così come lo è quella di questi due ragazzi di appena diciotto anni.
«Come siamo messi, a parte questo?» mi chiede James speranzoso.
Lui e Becky non sono una coppia solo in pista, ma anche fuori. Se da un lato è meraviglioso vedere l'intesa che c'è tra i due, dall'altro, proprio in funzione di questo legame, il livello di pretesa che hanno l'uno dall'altra è un ostacolo.
«È okay» rispondo rassicurandoli.
Da quando ho iniziato a seguire il loro programma, i miglioramenti ci sono stati. Sarah dice che la mia esperienza nel pattinaggio di coppia dà quel qualcosa in più che lei, avendo gareggiato solo in singolo, non è mai riuscita a trasmettergli.
Sono felice che la cosa funzioni, tanto che ho lasciato il lavoro in caffetteria per dedicarmi solo e soltanto allo studio e ad allenare. Chi lo sa che in futuro io non possa conciliare le mie ricerche filologiche e di critica letteraria con questo lavoro.
Comunico ai ragazzi di fare un'ultima prova e poi terminiamo l'allenamento.
«A domani, Bi» mi salutano mentre escono di pista.
«A domani, ragazzi»
Non appena stacco il cervello dal pattinaggio, i miei pensieri tornano e, come di routine, controllo la chat con Nik.
Quel giorno in treno, dopo aver letto la sua lettera, gli ho scritto un messaggio, ma ancora non l'ha visualizzato e, anche se mi costa ammetterlo, mi sto arrendendo al fatto che non lo farà.
'Me lo avevi promesso, Nik'.
Questo è quello che gli ho scritto, perché è la verità, è tutto quello che ho da fargli sapere.
Sono arrabbiata? Sì. Ho il cuore spezzato? Sì. Ma più di tutti è la delusione che mi distrugge, la consapevolezza di aver riposto in lui ogni speranza e di averci creduto talmente tanto da non accorgermi che c'era qualcosa che non andava. O meglio, sotto sotto sentivo che qualcosa non girava nel verso giusto, ma mai e poi mai avrei pensato che si sarebbe cancellato così dalla mia vita, senza nemmeno dirmi addio o darmi una giustificazione decente. Dopo tutte le belle parole che mi ha detto, una spiegazione sarebbe stato il minimo.
Mi aveva promesso che sarebbe tornato. Adesso dov'è?
Sono arrivata a pensare che forse aveva ragione quando mesi fa mi disse che lui non fa mai promesse. E forse, avrei fatto meglio a ricordarmelo prima di credere alla sua promessa.
Amareggiata e nervosa, lancio i pattini nella borsa.
Per la prima volta nella mia vita, il dolore che sento di fronte all'assenza è diverso: sapere che qualcuno ha scelto di andarsene è un altro tipo di perdita, è un rifiuto che ti marchia dentro in modo indelebile. E questo non è un rifiuto qualsiasi, è Nik, il mio Nik.
Una fitta allo stomaco mi costringe a realizzare una brutta verità: non è mai stato mio, o non se ne sarebbe mai andato.
«Bianca» mi richiama Alex dall'ingresso del palazzetto.
Lo saluto con un cenno e mi affretto a raggiungerlo.
«Com'è andata?» chiede una volta saliti in auto.
«Bene, ma mi dispiace non poterli accompagnare alla gara»
Guardo il mio riflesso nel finestrino. Sono uno straccio.
«Non fartene una colpa, stai dando priorità al tuo futuro»
«Non credi che anche questo potrebbe essere parte del mio futuro?» gli chiedo continuando a guardare fuori.
È bello parlare con Alex quasi quanto parlare con Mike. Entrambi mi capiscono: Mike è più tipo da darti una risposta rincuorante, Alex invece è più schietto, mi dà un riscontro brutalmente onesto e, il più delle volte, ci azzecca.
«Io credo che tu possa fare qualsiasi cosa, ma tutti scegliamo a cosa, o a chi, dare priorità» dice fermandosi ad un fast food.
'Scegliamo a chi dare priorità'.
Ultimamente le mie scelte sono discutibili, non mi fido molto di me stessa.
Mentre scendo dall'auto, la lettera di Nik, che mi porto sempre dietro, scivola a terra.
«Hai perso qualcosa» dice Alex raccogliendola.
La guardo come se mi repellesse.
«Decisamente» commento.
Ho perso lui. E anche me stessa.
Dentro a quella busta ci sono le ultime parole di Nik per me. La afferro gelosamente, come se contenesse anche i pezzi di cuore che mi ha distrutto e seguo Alex dentro al ristorante.
«Cosa vuoi?» mi chiede dopo aver dettato il suo ordine al ragazzo alla cassa.
«Un toast» rispondo distratta.
«E basta?»
Annuisco.
Alex aggiunge anche delle patatine fritte, che non toccherò, e uno yogurt alla vaniglia, che amo e di cui probabilmente mangerò due cucchiaini per poi lasciarlo.
Il mio senso dell'appetito è perennemente guastato. Mangio quanto mi serve per sopravvivere, ma non ho piacere nel farlo. Non riesco a desiderare niente, neanche i pancakes al cioccolato di Clary, o la pizza di Alex, o i frullati di frutta di Leda.
Mi siedo ad un tavolo libero dalla parte opposta della stanza e guardo Alex aspettare il nostro ordine. Gli sono immensamente grata per far parte della mia vita. Da quando Nik se n'è andato mi è stato vicino, non che Mike e gli altri non lo siano stati, anzi. È che con Alex sento di avere un legame speciale, come se venire entrambi dalla stessa parte di mondo ci avvicinasse ancora di più. È una sensazione strana. È piacevole.
«Mangia, Bi» mi dice Alex, dopo che ho lasciato mezzo toast nel vassoio.
Ormai sono venti minuti buoni che lui ha finito il suo hamburger e io sono ancora qui.
Mi sento sempre in colpa per fargli perdere tempo di continuo.
«Non ho granché fame» rispondo allontanando il vassoio, poi vedendo il suo sguardo preoccupato aggiungo «magari posso incartarlo e mangiarlo più tardi»
Alex scuote la testa. «Per favore»
Vedere lui e gli altri preoccupati per me è la cosa peggiore che abbia mai provato. So di deluderli ogni volta che mi guardano.
Tutto questo non ha niente a che fare con quello che nonno mi ha insegnato. Niente. Non basta pensare di vivere per qualcun altro per ritenere la mia vita degna di esistere. Stavolta è diverso, io non odio me stessa, non voglio vedermi sparire, al contrario: vorrei andare avanti più di qualunque altra cosa, ma non ci riesco, non riesco a muovermi. Ed è terribile non poter controllare quello che ti accade. La cosa è ben diversa dal perdere volontariamente il controllo per poter staccare la mente.
Alex incarta il toast e, insieme allo yogurt, lo fa scivolare nel mio zaino.
Quando saliamo in auto, anziché mettere in moto, si volta verso di me.
Incastro i miei occhi nei suoi, che sono seri e determinati. E quando parla la sua voce lo è ancora di più.
«Non mi importa»
Lo guardo interrogativa.
«Non mi importa se ci vorranno anni prima che tu torni ad essere la Bianca che conosco, ti prometto che sarò al tuo fianco»
Io sono la stessa Bianca.Vorrei dirgli, ma so benissimo che non è così. Per cui mi limito a farfugliare qualcosa di estremamente ingiusto nei suoi confronti: «Dovete smettere di farmi promesse inutili»
Lui mi guarda afflitto. Ultimamente continuo a ferire le persone che si preoccupano per me, senza neanche volerlo.
Non appena arriviamo al campus, mi precipito alle residenze e mi chiudo nella mia stanza senza toccare il cibo, che resta sul fondo dello zaino.
A volte vorrei essere ancora al Foreigners', chiamare Mike e chiedergli di dormire con me. Ma non sarebbe giusto. Anche se Clary non ha mai detto di essere gelosa, o accennato al fatto che poteva dargli fastidio, io mi sentivo sempre in colpa. Mike è pur sempre un ragazzo e io pur sempre una ragazza, e dormire abbracciata a lui così spesso, era diventata una cosa troppo intima, soprattutto dopo che avevo iniziato a passare le notti con Nik. Mi sentivo in dovere verso di lui, che comunque non ha mai saputo di quest'abitudine, o avrebbe fatto una scenata di gelosia. E poi c'era Clary: ogni notte che Mike passava con me era una in meno con lei, e mi sentivo troppo in colpa.
Nel silenzio totale, mi rendo conto che la mia compagna di dormitorio, Nancy, stasera è in giro a qualche festa, quindi posso bearmi della mia solitudine senza essere disturbata dalla sua esuberanza.
Mi guardo nello specchio del bagno con indosso solo il reggiseno. Gli occhi mi scivolano sulle braccia e i ricordi della sera del mio compleanno mi investono in pieno petto.
Rimango così, immobile a guardare il mio riflesso tremare.
Mi sento così insignificante: ho perso altri chili. Non credo di avere alcun disturbo alimentare, il mio rapporto col cibo non è di conflitto, piuttosto di indifferenza, è come se mi dimenticassi che devo mangiare. La mia mente viaggia a tremila giri al secondo e spesso dimentica cose. Qualche volta sono persino arrivata in aula senza zaino. Oppure entro in pista senza pattini. Ho la testa sconnessa e dimagrire è solo un danno collaterale di ciò, credo.
I lunghi capelli marroni che ho sempre amato e curato, ora mi sembrano fuori luogo, appaiono pesanti e spenti. La pelle chiara, a volte livida, somiglia ad una tela che un pittore insoddisfatto ha dimenticato nel suo atelier.
E poi ho un'idea. Un'idea folle. Mi rivesto in fretta e furia e cerco un numero che non pensavo avrei mai chiamato.
«Che mi venga un colpo!» sento dire dall'altra parte del cellulare.
«Ho bisogno di voi due» dico secca.
«Ma noi non abbiamo bisogno di te». La sua voce tagliente non mi ferisce più ormai.
«Il negozio è aperto, sì o no?» la ignoro.
«Chiude tra un'ora»
«Allora aspettatemi»
Quando riattacco sto già correndo fuori per prendere un autobus per North Beach.
Quando passiamo vicino alla fermata del Velvet il mio stomaco fa una capriola. Chissà se Nik ci è più tornato lui per rassegnare le dimissioni. Chissà se ha più messo piede a San Francisco senza che io lo sia venuta a sapere.
Scendo alla fermata successiva ed entro nel negozio più lontano dalla mia personalità possibile.
Le pareti sono coperte di foto di tatuaggi e piercing e l'odore di disinfettante mi pizzica le narici.
«Bene bene» dice Trish sbucando da una porta sulla sinistra.
La guardo annoiata. Se c'è qualcosa che la lontananza di Nik mi ha insegnato, è che a volte fingersi indifferenti torna comodo per evitare che ogni pugnalata arrivi al cuore.
Lei continua a guardarmi come se volesse scoppiare a ridere da un momento all'altro, ma al tempo stesso muore dalla curiosità di sapere cosa ci faccio qui. È così lei, ingenua e maligna allo stesso tempo. L'unico in grado di tenerla al suo posto sembra essere Dan.
«Ti lanci nelle fauci del leone, novellina. Hai fegato» mi dice una voce proveniente dalla stanza accanto. Maddie fa capolino, i capelli ricci legati in un ciuffo disordinato. I tatuaggi colorati che le riempiono le braccia si interrompono sui polsi, dove due guanti neri in lattice le fasciano le mani.
«Immagino tu non sia qui per un caffè» dice indicandomi un blocco di fogli precompilati sul bancone al centro della stanza.
Mi avvicino e leggo. È una liberatoria per sollevare lo studio da responsabilità varie.
Barro una serie di caselle e firmo il modulo.
Trish mi guarda affascinata e inserisce il foglio in una cartellina, facendomi cenno di raggiungere Maddie.
La stanza in cui entro è anch'essa coperta da foto, disegni e aforismi vari.
Mi siedo sulla poltrona nera che sta al centro.
«Che cosa facciamo?» mi chiede Maddie avvicinandosi su un panchetto con le ruote.
«Voglio mascherare questi» dico mostrandole le cicatrici sul braccio.
Mi importa poco se userà questa cosa contro di me in futuro. Adesso voglio solo che mi tatui.
La vedo storcere il labbro e fare spallucce. Quando torna a guardarmi, nei suoi occhi non c'è cattiveria, ma indifferenza.
«Non dirmi che ti faccio pena». È un modo velatamente minaccioso per dirle di non fare commenti. Conosco il suo carattere, conosco la sua arroganza e non sono più una sprovveduta che sta ai suoi giochetti.
«Stai serena dolcezza, ho visto di peggio» commenta ironica.
«Intendi la sua schiena?» ringhio. So benissimo che intendeva quello e il solo fatto che abbia pensato a Nik mi dà sui nervi. Non deve parlare di lui, non deve nominarlo, non deve averci niente a che fare.
«L'hai detto tu» risponde soddisfatta. Le ho dato quello che voleva: che mi mettessi sulla difensiva per le sue parole.
Per un secondo vengo invasa dal panico. E se lei l'avesse visto, o sentito?
Ho l'impulso di chiederglielo, ma l'idea che possa crogiolarsi nella sua soddisfazione nel vedermi così fragile, vince sulla curiosità e decido di tagliare corto.
«Pensavo a una scala»
«Come?» dice trattenendo una risata.
«Dammi un foglio, ti faccio il disegno, poi lo sistemi come vuoi. Basta che il tratto sia sottile» spiego tranquilla.
Al di là di tutto mi fido del suo lavoro, ho visto i suoi tatuaggi e sono davvero delle opere d'arte.
«Posso migliorare quello che voglio?» dice aprendo l'ago e scrutando il mio disegno.
Annuisco.
Il dolore è moderato, mi immaginavo qualcosa di peggiore. In realtà la cosa che mi turba di più è vedere le sottili cicatrici bianche diventare pioli di una scala fatta di edera e fusti di piccole stelle alpine. I fiori crescono e si diramano dalla scala avvolgendomi il braccio e rendendo il disegno vistoso e modesto allo stesso tempo.
In cima alla scala, sputano due fiori, e su di essi una piccola fata sembra volersi librare e tendere verso un cielo stellato.
A lavoro finito, lo osservo, rosso e ancora sporco di inchiostro. Mi piace, e non parlo solo del disegno. Mi piace l'idea che esso costituisca un cerotto permanente.
Osservo l'altro braccio: qua i segni sono meno evidenti, più leggeri, ma mi riprometto di disegnare qualcosa anche lì.
L'obiettivo di coprire questi segni non è dimenticarmi che ci sono, sarebbe è impossibile, è solo per ricordarmi che anche dalle cose peggiori possono venir fuori capolavori. E in questo momento ho un disperato bisogno di crederci davvero. Credere che anche stavolta riuscirò a riemergere, nonostante sembri così difficile.
In questi giorni ho come l'impressione di essere caduta in un vortice infinito ed aver esaurito le opzioni di fuga: fuggire dai problemi è fuori discussione, a San Francisco ho degli amici ora, ho dei ricordi, sto costruendo qualcosa. E poi, c'è anche la paura che, se dovessi sparire e lui dovesse tornare, non riuscirebbe a trovarmi.
Mi ammonisco mentalmente: lui non tornerà.
«Vuoi anche qualche piercing, pasticcino?» dice Trish spuntando nella stanza.
Maddie sta sistemando il tavolo da lavoro. Oltre a chiedermi se il tatuaggio mi sia piaciuto, non ha proferito parola. Credevo si sarebbe messa a sghignazzare come al suo solito. Pensavo avrebbe fatto commenti aspri su di me. Invece si è limitata a fare il suo lavoro. Ho persino creduto di vedere un debole sorriso quando le ho detto che ero soddisfatta di com'era venuto. Forse me lo sono immaginato, ma è come se avessi scorto qualcosa di nuovo di lei. No, non nuovo, piuttosto nascosto, ben celato dai suoi modi di fare velenosi.
Possibile che voglia sempre vedere qualcosa dentro alle persone? Dovrei ricordarmi più spesso di quello che è successo l'ultima volta che ho creduto di vedere del buono in qualcuno di marcio.
Gli occhi scuri di Nik illuminati dal dolore quella sera in camera mia, quando mi ha raccontato dell'orfanotrofio, mi saltano in mente e si fanno spazio con violenza tra i miei pensieri.
Possibile che lui sia rotto per sempre? Che quello che ha passato l'abbia ridotto per sempre a un ragazzo incapace di amare?
Se prima mi rifiutavo di credere a questa ipotesi, adesso devo necessariamente prenderla in considerazione, perché l'alternativa fa troppo male. Pensare che se ne sia andato solo perché non sa amare me è straziante, immaginare che possa toccare, baciare, guardare altre come faceva con me, mi annienta.
Lui se n'è andato. Questa è la realtà dei fatti. Qualunque sia il motivo, resta che se n'è andato e mi ha abbandonata.
«No, sono a posto per ora» rispondo dopo un attimo di esitazione.
«Però, avrei bisogno di una parrucchiera, conoscete qualcuno?» chiedo senza speranza di ricevere una risposta seria.
Trish mette su un ghigno.
«Che devi fare?»
Afferro le estremità dei miei lunghi capelli castani e salgo fino alle spalle.
«Posso accontentarti io, se quello che cerchi è un taglio» dice «prima di lavorare al Velvet pensavo di avere una vocazione come parrucchiera, e ho fatto qualche corso. Mi servirai come cavia per rispolverare le mie abilità»
Faccio spallucce.
Mi fido? No, ma tanto i capelli ricrescono.
«Non voglio vedere nemmeno un capello in giro per lo studio, intese?» la redarguisce Maddie.
«Non fare la guastafeste» Trish in tutta risposta le fa una linguaccia.
«Trish»
«Ho capito, ho capito» si arrende alzando le mani.
Trish mi invita a seguirla nella stanza privata dello studio, dove si trovano qualche sedia e un tavolino e mi piazza davanti ad uno specchio tondo.
Trish cerca un paio di forbici in un cassetto. Sembra più felice di tagliarmi i capelli che di fare piercing.
«Vuoi fare un taglio con quelle?» indico delle forbici da cucina molto poco adatte al caso.
«Te lo faccio gratis, accontentati di quello che offro»
Scuoto la testa divertita.
Fare un taglio a San Francisco mi costerebbe almeno cinquanta dollari e considerando che ne ho spesi già duecento per il tatuaggio, mi accontento di Trish come parrucchiera.
Cerco qualche idea su internet, finché non ne trovo una che mi soddisfa. Si tratta di un taglio facile che ricade pari sopra alle spalle, così che i capelli lisci mi avvolgano il volto senza apparire smorti.
Ed è proprio quando inizia a tagliare, che ho la conferma che sono impazzita davvero.
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PHOENIX - Edelweiss
Romance[COMPLETA] Hai mai visto un ponte spezzato portare da qualche parte che non sia il vuoto? San Francisco. Una città pulsante e frenetica come i giovani che la popolano. Ed è qui che Bianca sceglie di ricominciare. Un Campus, una metropoli dai mille c...