IV.LEO

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LEO avrebbe passato la notte a combattere con un'Atena di dodici metri, se non poteva sfogarsi con Daphne almeno quella statua si sarebbe beccata la sua frustrazione.

Da quando avevano portato la statua a bordo, aveva un'ossessione: doveva capire a tutti i costi come funzionava. Era certo che avesse poteri grandissimi. Doveva esserci un interruttore segreto o uno spingidisco o qualcosa del genere.

Avrebbe dovuto dormire, ma non ci riusciva, la sua mente era divisa tra troppi problemi che lo tenevano attivo. Percy e Annabeth che li aspettavano dall'altra parte delle porte della morte. La statua che faceva da faro per mostri e attacchi che di conseguenza li rallentavano. E una certa figlia di Somnus che lo stava facendo impazzire, ignorandolo per chissà quale ragione e dandogli ancora più filo da torcere.

Quando avevano lasciato Nuova Roma, nelle prime ore dopo aver conosciuto Daphne Rosier, Leo pensava che non ci fosse cosa più frustrante e fastidiosa del modo accondiscendente in cui lo trattava la ragazza, ma adesso sembra volergli mostrare che si stava sbagliando. Che c'era definitivamente un modo peggiore per trattarlo: il silenzio.

E la cosa peggiore di non sapere perché lo stesse ignorando?

Perché proprio ora?

Leo tirò un calcio alla statua, magari la dea della saggezza in persona si sarebbe presentata a consigliarlo, o a infondere un pò di saggezza in Daphne così da lasciarlo finalmente riposare. Leo era sicuro che se si fosse addormentato avrebbe sognato o lei o Gea, e al momento non voleva vedere nessuna delle due.

Aveva quindi trascorso ore a strisciare sopra la statua, che occupava quasi tutta la stiva. I piedi di Atena erano incastrati nell'infermeria, perciò bisognava infilarsi fra i suoi ditoni d'avorio se serviva una pillola.

Il corpo occupava tutto il corridoio di babordo, la mano tesa si infilava nella sala motori, porgendo la statua di Nike a grandezza naturale nel palmo, come a dire: "Tieni, prendi un pò di vittoria!" O più che altro a sventolargliela davanti agli occhi sapendo che stavano costantemente strisciando per fare un'altro passo avanti in quell'impresa.

Il volto sereno di Atena occupava gran parte delle stalle dei pegasi a poppa, che per fortuna erano vuote. Se Leo fosse stato un cavallo magico, non avrebbe voluto abitare in una stalla con una dea della saggezza extralarge che ti fissa di continuo. Sinceramente non voleva vedere quel volto nemmeno da umano.

La statua era incastrata così stretta che Leo dovette arrampicarvisi sopra e insinuarsi fra le varie parti del corpo per cercare eventuali leve e pulsanti. Di nuovo, non trovò nulla.

Aveva fatto ricerche. Sapeva che la statua era ricavata da un telaio di legno cavo coperto di avorio e oro, il che spiegava perché fosse così leggera. Era in ottima forma, considerato che aveva più di duemila anni; era stata rubata ad Atene, trasferita a Roma e custodita in gran segreto nella caverna di un ragno per secoli. La magia l'aveva conservata, pensò il figlio di Efesto, oltre al fatto che era un'opera di grande maestria artigianale.

VIDI | leo valdezDove le storie prendono vita. Scoprilo ora