18 Alexander

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Mi svegliai e al mio fianco trovai Lea con le mani tra i miei capelli. Girava tranquilla le mie ciocche di capelli tra le dita ma un attimo dopo si rese conto che fossi sveglio.

Sapevo cosa fosse successo quella notte. Avevo sbagliato a tenerla li, avrebbe scoperto qualcos'altro in più su di me e questa cosa mi terrorizzava. Non volevo rivelarle il mio passato. Avevo paura che avrebbe pensato che fossi come mio padre o peggio ancora.

Quando alzai leggermente la testa verso di lei accennò un lieve sorriso. I nostri occhi entrarono in contatto per una manciata di secondi e poi riabbassai la testa sul suo petto morbido. Non mi fece domande. Andò avanti con ciò che stava facendo.

Rimasi lì cullato del battito tranquillo del suo cuore. Mi stava calmando.

Quella notte avevo fatto il solito incubo, quello di tutte le notti, mio padre che picchiava mia madre e poi picchiava me. Mi vennero i brividi al solo pensiero di quella scena. 

Avvertì che Lea mi guardava preoccupata.

<<Va tutto bene?>> chiese scostandomi i capelli dalla fronte.

Ero ancora sdraiato sui sul suo petto e il mio braccio le avvolgeva il basso ventre. Mi sentivo un idiota. Un idiota al sicuro.

Lea non poteva guardarmi in volto, ma quella ragazza sapeva leggere nel pensiero qualsiasi essere vivente.

<<Si tranquilla>> mentì spudoratamente e lei se ne accorse.

<<Alexander so che non va tutto bene, stanotte ti ho visto, eri spaventato>> lo aveva capito, erano state le sue mani calde e delicate a calmarmi quella notte.

Se non ci fosse stata lei sarei rimasto a stringere le coperte per almeno un'altra ora. Gli incubi mi causavano attacchi d'ansia che spesso erano impossibili da controllare. Rabbrividì nuovamente all'idea che mia sorella avesse potuto sentirmi urlare. Lei non sapeva degli incubi.

Prima di morire, nostra nonna, le raccontò tutta la storia. Ero contrario ma lo aveva fatto. Però era giusto così. Era giusto che lei conoscesse l'amara verità. Era giusto che lei sapesse che uomo di merda fosse nostro padre.

<<Solo un incubo nulla di grave>> risposi mentendo nuovamente.

Sentivo il suo sguardo puntato sul mio petto che si alzava e si abbassava più velocemente rispetto a prima.

<<Non ti voglio forzare>> mi alzò leggermente e si sedette sul bordo del letto guardando fuori dalle ampie vetrate. Il sole cominciava a illuminare la città.

Mi sedetti di fianco a lei guardando fuori anche io dalla vetrata.

<<Più avanti te ne parlerò>> la guardai e lei ricambiò con occhi preoccupati.

<<Ci sarà un più avanti?>> chiese.

Stavo per risponderle quando mia sorella apparve sulla soglia con un sorrisetto malizioso.

<<Non dovevi dormire sul divano tu?>> chiese con un ghigno divertito in volto.

<<Farti i cazzi tuoi?>> la squadrai e notai Lea ridere sotto i baffi.

<<Linguaggio Samantha, il linguaggio>> mi prese in giro imitandomi. Piccola peste.

Posò gli occhi su Lea osservandola.

<<Vieni a fare colazione?>> le chiese e lei annuì allontanandosi da me.

Ogni volta che avevo la possibilità di parlare con lei c'era sempre qualcosa o qualcuno che ci interrompeva.

Secretly From The WorldDove le storie prendono vita. Scoprilo ora