15 Alexander

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Era giunto il momento di spedire mia sorella a scuola. Ero preoccupato. Avevo paura che il suo vero cognome sarebbe uscito fuori. Non volevo renderla una nuova fonte di guadagno per paparazzi e giornalisti.

Non l'avrei mai mandata a scuola con la scorta ma l'avrei fatta seguire da numero 4, 5 e 6, numero 1, 2 e 3 erano impegnati con Lea per il momento.

Sapevo che mia sorella aveva bisogno di una vita da sedicenne come tutte le sedicenni, lei partiva già con il vantaggio di non avere paparazzi alle calcagna.

Quando avevo la sua età mi era impossibile uscire dal palazzo senza essere fotografato. Ero sempre scortato da un gruppo di cinque o sei uomini. Dovevo partecipare a tutti gli eventi ma soprattutto, non potevo fare la vita da sedicenne che avrei sempre voluto fare.

Quando cominciai a sgattaiolare fuori di casa la mia vita prese una svolta, scoprì il sesso, le donne, l'alcool e le sigarette.

Quando mio padre però mi scoprì per me non finì bene, di fatti mi ritrovai chiuso in camera senza pasto per tre giorni. Penso che aver cambiato il cognome a Samantha sia stata la migliore delle idee. Non avevo intenzione di farle passare un'adolescenza sotto i riflettori.

Il problema era che mia sorella era ingenua. Si sarebbe fidata subito del primo ragazzo o della prima ragazza che si fosse messa al suo fianco. Avevo cercato di prepararla a quello a cui andava in contro, ma non aveva voluto ascoltarmi, anzi, mi aveva sbattuto la porta di camera sua in faccia.

Catalina credeva che io fossi troppo severo e protettivo nei suoi confronti, ma mia sorella era un diavolo sotto forma umana, bella come un angelo ma ribelle come il diavolo. 

Inizialmente pensavo che lei non fosse nemmeno mia sorella ma che fosse stata adottata, non somigliava né a mio padre né a mia madre. Era completamente diversa da noi. Solo gli occhi azzurri mi facevano credere fosse mia sorella. Se ci fosse stata qui Lea le avrei chiesto a che quadro l'avrebbe associata.

Avevo scoperto che Lea adorava associare le persone a dei quadri. Era un passatempo particolare. Non mi sarei mai immaginato che un passatempo simile esistesse.

Vidi Samantha scendere le scale, la divisa composta da una gonna a scacchi blu e una camicia bianca le stava divinamente. Avevo 26 anni, sarei potuto sembrare un pedofilo, ma dovevo ammettere che mia sorella era proprio bella.

Era una di quelle bellezze naturali, stava meglio senza trucco. Samantha era semplice, proprio come lo era Lea. Se non fosse stato per l'aspetto esteriore avrei detto che fossero state la stessa identica persona.

<<Davvero devo mettermi sta roba? Credevo che qui potessi vestirmi normalmente>> sbuffò lei guardandomi affranta.

Era stata abituata a mettere divise da quando aveva lasciato la casa della nonna. Tutte le scuole in cui l'avevo mandata richiedevano una divisa adeguata.

<<Samantha qui tutti si vestono così, ora fila e stai attenta>> le diedi una carezza sulla spalla.

<<Guarda che non ho due anni>> si scansò dalla mia mano. Ero sicuro che mi odiasse. Era comprensibile.

L'avevo praticamente abbandonata perché non potevo occuparmi di lei e lei se ne era accorta.

<<Ma cerebralmente ne dimostri due>> dissi.

<<Ma vaffanculo>> Catalina le mise una mano sulla bocca prima di farle finire la parola, mi supplicò con lo sguardo e io sorrisi sarcastico.

<<Testa di cazzo>> mi allontanai.

<<Ricordati che il tuo cognome è Word e non Blake>> urlai mentre prendevo l'ascensore.

Sapevo che mia sorella sapeva cavarsela da sola, le avevo fatto prendere dei corsi di auto difesa mentre era nel collegio di suor Clementina. Uno dei servizi era l'auto difesa. Per sicurezza avevo anche piazzato delle telecamere all'esterno dell'edificio scolastico e nello zaino le avevo messo uno spray al peperoncino. Numero 4, 5 e 6 avrebbero fatto sicuramente da supporto.

Parlando dei miei fidati numero 1, 2, 3, 4, 5, e 6, sono tutti ex compagni dell'esercito, li pagavo una bella somma per stare dietro a mia sorella e a Lea, loro sapevano benissimo chi fossero quelle due donne ed ero sicuro che nessuno dei sei avrebbe aperto bocca, anche perché se lo avrebbero fatto non avrebbero avuto vita lunga.

Dovevo ammettere che le mie guardie mi monitoravano costantemente sui movimenti di mia sorella. Ora per ora. Minuto per minuto. Secondo per secondo.

A mia sorella tenevo tanto, non mi sarei mai perdonato se le sarebbe successo qualcosa.

Catalina mi diceva spesso che ero pensante ma lei non sa cosa vuol dire essere lo scapolo più ricco, giovane e ambito di tutta New York, la paura costante di essere ammazzato da qualche parte, che si venga a sapere dell'esistenza di mia sorella o di Lea, anche se la seconda sarebbe il meno dei mali. La mia vera preoccupazione era mia sorella.

Raggiunsi il mio ufficio dove mi aspettava Aroldo pronto per una riunione per il mio nuovo progetto per l'inaugurazione di una nuova banca.

Entrai in sala e ad aspettarmi c'erano una serie di architetti e amministratori. Vidi Aron proiettare un progetto sul muro di fronte a noi. Aron oltre che mio amico era un mio socio in affari.

Lo avevo visto tirare su la sua impresa edile partendo da zero. Aron era uno di quegli amici veri, non gli erano mai interessati i miei soldi, c'era sempre stato. Avevo deciso di coinvolgerlo nel progetto perché aveva grandi capacità di inventiva e aveva buon gusto in fatto di arredamento.

Per costruire la mia banca avevo già comprato un palazzo ormai disoccupato e tutti avevano approvato il progetto, serviva anche una banca al di fuori del centro in modo tale che anche le persone che abitavano nella periferia potessero raggiungere la banca con più facilità.

Mi sedetti e guardai il progetto. Colonne bianche e mobilio del medesimo colore, 24 sportelli d'ascolto e circa 30 uffici. Il progetto era semplice e raffinato. Mi piaceva. Ma mancava qualcosa. Mancava il tocco personale di Lea. Non so come mi saltò in mene e mi maledì.

<<Manca qualcosa, posso farlo vedere ad una persona?>> chiesi.

Aron annuì, sapeva che non avrei mai firmato se mi avesse detto di no. Quando un progetto non mi piaceva o non era perfetto non firmavo mai.

Qualsiasi cosa dovessi costruire o rimodernare doveva piacermi o avrei rischiato di spendere soldi per qualcosa che nemmeno mi avrebbe soddisfatto.

La riunione terminò e dovetti firmare per poter dare inizio alla ristrutturazione dell'edificio.

Presi l'ascensore e sbuffai appoggiandomi ad una delle pareti. Pensavo tra me e me realizzando che avevo bisogno di una scopata.

Entrai nel mio appartamento e chiamai uno dei molteplici numeri che alcuni amici mi avevano girato per una scopata occasionale.

Mezz'ora dopo una donna dai capelli biondo platino saltava come una pazza sul mio cazzo mentre la sua quinta di seno mi sbatteva in faccia. Non provai un minimo di piacere. Era diventato un incubo.

A differenza sua non arrivai nemmeno all'orgasmo. Non provai nulla, anzi, mi divenne persino molle. Non l'avevo nemmeno guardata in faccia perché nei miei pensieri c'era solo una ragazza.

Le diedi ottanta dollari e andai a finire il mio lavoro in bagno. Pensando a Lea mi venne duro, più di prima, per poco non venni nei pantaloni. Pensai all'ultima volta a casa sua, quando solo dei pantaloncini che le arrivavano sotto il sedere e un maglione bianco trasparente la coprivano.

Il mio cervello era andato in uno stato confusionale solo per un pantaloncino. Nessuna donna aveva mai svegliato queste reazioni all'interno di me. Ma Lea che cosa aveva di così speciale?

Forse mi intrigava fare le cose di nascosto o forse adoravo il fatto che fosse la figlia acquisita del mio bodyguard. Non lo so. So solo che avrei voluta averla sul mio letto un altra volta. Ma non mi sarei mai accontentato di quella volta. Avrei voluto sempre di più. Avrei voluto conoscerla. Scovare ogni suo punto sensibile al piacere. Viaggiare nella sua mente d'artista.

Mi bastava vederla per farmelo venire duro. Quella ragazza aveva un potere fenomenale su di me. Era diventata il mio incubo peggiore.

Un bellissimo e fantastico incubo peggiore.

Secretly From The WorldDove le storie prendono vita. Scoprilo ora