Mi svegliai portandomi subito le mani sugli occhi per il sole forte che oltrepassava le finestre.
« Ma che diavolo... » mormorai proprio quando la porta si spalancò e l'ultima persona che avrei pensato di trovare lì, entrò.
Mason entrò nella mia stanza con un bicchiere colmo di spremuta di arancia tra le mani ma non fu quello che mi destabilizzò, fu la tuta grigia ed il busto scoperto nonostante facesse un freddo non indifferente.
« Bevi. » me lo ritrovai improvvisamente accanto porgendomi il bicchiere. « È arancia, avevi solo quello nel frigo. »
Mantenni lo sguardo sul suo volto lasciandomi senza fiato per qualche secondo. « Diciamo che in questi giorni fare la spesa non è stato il mio primo pensiero. » borbottai come se stessi cercando di difendermi nonostante non mi avesse accusato di niente.
Inarcò il sopracciglio accentuando il cipiglio. « Sì... perché eri troppo impegnata a non fare niente. »
Le sue parole mi fecero infuriare. « Mi stai giudicando? »
I suoi occhi azzurri mi inchiodarono con il chiaro scopo di intimidirmi senza comprendere che nulla avrebbe potuto scalfirmi.
Si abbassò lentamente con la schiena per far sì che i nostri visi potessero allinearsi. « Ti interessa saperlo? » le pagliuzze verdi nei suoi occhi mi lasciarono senza fiato e la mia ira per un momento parve sfumare via.
« Non mi interessa il tuo parere. » sussurrai senza staccare lo sguardo dai suoi occhi.
Con mia grande sorpresa decise di non rispondere ma di continuare a guardarmi negli occhi con un tacito rimprovero che mi ricordò zio Noah.
Tornai improvvisamente alla realtà e il pensiero che zio Noah fosse morto tornò come un tornado in una giornata apparentemente felice e serena, distolsi subito lo sguardo dal suo volto e mi buttai di nuovo sotto le coperte.
Zio Noah è morto.
Il pensiero ronzava nella mente senza che io potessi fare nulla, era un tarlo che non avrei mai potuto togliere.
Io ero completamente sola ed il solo pensiero mi spaventò così tanto da farmi venire un terribile magone alla gola che a Mason non passò inosservato, tuttavia decise di non proferire parola ed andò via lasciandomi miei spazi.
Improvvisamente il mio telefono squillò facendomi sobbalzare, chiusi gli occhi e sperai che la suoneria smettesse di interferire con il mio silenzio ma invece non fece altro che avvicinarsi finché non lo sentì accanto a me.
« Credo sia la mamma di un bambino. » il sangue gelò nelle mie vene ed iniziai a tremare senza alcun precedente.
Non avevo minimamente pensato al mio lavoro e al dovere che covavo nei confronti dei bambini e delle loro famiglie, così oltre a sentirmi in colpa per averli abbandonati mi sentì tremendamente egoista, come non lo ero mai stata in vita mia.
Tirai fuori la testa dalle coperte e puntai i mio sguardo su Mason senza un valido motivo, forse in quel momento avrei voluto capire cosa fare, avrei soltanto voluto un consiglio su cosa fare ma non lo ottenni dato che rimase impassibile come sempre.
Sospirai lentamente e chiusi gli occhi proprio quando il cellulare smise di suonare, mi sentì in colpa pensando su quanto stessi sbagliando nel trascurare un bambino innocente che non aveva colpe.
Allungai il palmo della mia mano verso di lui facendogli capire che avrebbe dovuto darmi il telefono. « Devo richiamare. »
Nei suoi occhi balenò un palese stupore mentre posava il mio telefono nelle mie mani, richiamai il numero e aspettai che rispondesse.
« Pronto. » la signora rispose e la gola mi si seccò improvvisamente, come se d'un tratto avessi paura di interfacciarmi con qualcosa che non fosse doloroso.
Presi un respiro profondo. « Mi ha chiamata? »
La donna parve ristabilirsi. « Oh dottoressa Anderson! Volevo chiederle come stesse, a Samuel manca tanto e non fa altro che chiedermi di lei e di quando torna... ci hanno detto che ha una brutta influenza. »
Brutta influenza?
Spostai lo sguardo su Mason e lo guardai accigliata mentre lui parve disorientato dalla mia espressione. « Oh... » non sapevo bene cosa dire. « Sì...ehm...tornerò tra poco, credo. È una...una brutta influenza che sta girando, Samuel sta bene? Come sta andando la cura? » Pensare ai bambini mi faceva stare bene, mi rendeva incredibilmente felice senza una spiegazione ma in quel momento nemmeno quello riuscì a farmi sollevare un pò.
Restai un altro po' in chiamata con quella mamma finché non decisi di attaccare.
« Che succede? » si appoggiò sul mio letto continuando a guardarmi con quello sguardo magnetico e da perfetto scrutatore.
Puntai i miei occhi nei suoi osservando così quelle iridi perfette. « In ospedale credono che non stia andando perché non sto bene fisicamente... » non riuscivo a capire perché stesse circolando quella notizia fasulla.
« Sono stato io. » la confessione uscì dalle sue labbra carnose facendomi corrucciare le sopracciglia in chiaro segno di confusione.
In quelle iridi non riuscì a scorgere niente, in quel momento Mason alzò le sue solite difese e non pensò minimamente di togliere quella dannata maschera che si portava dietro da quando l'avevo conosciuto, nemmeno in quel momento decise di regalarmi un frangente della sua personalità.
A volte il forte desiderio di essere trattata come una donna qualunque pervadeva il mio animo ma sapevo che quello non sarebbe mai successo, sopratutto con la scomparsa di zio Noah.
« Perché? » gli chiesi mentre appoggiavo la schiena alla tastiera del letto per mantenere una posizione meno dormiente.
Mi mancò il respiro quando si avvicinò a me senza però essere eccessivamente invasivo e cercai di non spostare lo sguardo sul suo torace ancora scoperto con gli addominali scolpiti. « Perché me l'hai chiesto tu. » spostai lo sguardo sulle sue labbra carnose e riflettei su quello che era uscito da queste ultime.
Gliel'ho chiesto io?
« Quando te l'hanno detto sei entrata in un loop di incoscienza non indifferente, ti ho aiutata a rialzarti dal pavimento dell'ospedale e mentre ti prendevo in braccio mi hai mormorato lentamente che non avresti mai voluto vedere la compassione negli occhi degli altri, quello è stato un breve momento di lucidità e quello che mi hai detto l'ho preso come una richiesta che ho voluto accontentare. » lo guardai attentamente riflettendo su quello che avrei potuto dirgli dato che non ne avevo minimamente idea, mi aveva lasciato a bocca aperta.
Lo guardai profondamente negli occhi leggendo un tacito messaggio di solidarietà, come se volesse farmi comprendere quanto anche lui stesse soffrendo per la perdita di una persona così importante anche per lui.
Lo guardai ancora e l'unica cosa che mi venne in mente da fare fu quella di sorridergli leggermente, debolmente e dolorosamente. « Ti ringrazio. »
In quel frangente di tempo nel quale ebbi la sensazione di essere una sua amica pensai che forse lui sarebbe potuto diventare una spalla sulla quale appoggiarmi.
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SERENDIPITÀ
RomanceDolore, gioia, timore e amore, sono queste le componenti di questa storia il cui scopo è rimembrare quanto un solo ed unico evento possa cambiare le sorti della propria vita. Il termine Serendipità vuole esprimere la fortuna di fare scoperte per pu...