Capitolo 29

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Assimilalo, fallo tuo, fai la sua conoscenza e poi... accettalo.
Dinanzi alla casa di zio Noah quelle parole parvero vane, dinanzi al salone vuoto e freddo il mio mantra scomparì del tutto e con lui quella lieve serenità che ero riuscita a soggiogare. 
Osservai le foto sospese sul muro e mi toccai il petto per cercare di fermare il dolore.
Stai sbagliando di nuovo mi dissi, ma non feci nulla per redimermi.
Il mio volto sorridente mi sembrò così estraneo da provocare una sensazione di disagio, non mi riconoscevo proprio e non seppi comprendere quale delle due Allison fosse l'estranea.
Mi distesi sul tappeto ricolmo di polvere e puntai i miei occhi sul soffitto sentendomi in colpa per aver trascurato questa casa.
« Quante cose sto sbagliando... » sussurrai sentendo gli occhi lucidi.
Non avrei mai dovuto abbandonare la casa di mio zio per così tanto tempo, amava il nostro rifugio eppure io non ci avevo mai pensato a quanto anche queste quattro mura stessero soffrendo.
Osservai tutti i riquadri con le foto sospese sul muro e sorrisi ricordando quanto fosse ossessionato dalle fotografie. Sin da piccola mi aveva sempre riempita di foto, facevamo una foto insieme almeno una volta alla settimana immortalando attività come la serata cinema oppure il giardinaggio.
Mi alzai dal lugubre pavimento per dirigermi all'esterno della casa, in giardino, e quando vidi i fiori appassiti mi sentì male.
Mi avvicinai alle rose bianche sfiorando leggermente i petali contornati dal colore marrone, tastai i petali gialli e ripiegati su se stessi dei girasoli ed infine mi diressi verso la nostra amata pianta di lavanda.
Spalancai gli occhi quando sentì il suo forte profumo. « Ma... com'è possibile? » carezzai lo stelo per nulla malridotto ed inarcai le sopracciglia assumendo un'espressione confusa. « Non è morta... com'è possibile? »
Non sapevo bene quanto spesso andasse irrigata la pianta in questione eppure mi parve inconsueto il suo benestare nonostante i mesi di assenza.
« Sei sopravvissuta... » mormorai inspirando a pieno quel forte odore che fin da piccola mi aveva cullato, avevo sempre avuto un debole per quella fragranza e così zio Noah aveva deciso di coltivare una pianta.
Sentì un raggio di sole colpire repentinamente il mio volto, mi scostai dalla pianta e puntai i miei occhi sul cielo osservando quanto fosse nuvoloso.
« Ma... » il respiro si fermò e le mani iniziarono a tremare osservando quel raggio di sole valicare con sicurezza le grigie nuvole, mi beai di quella sensazione di calore finché non scomparì dietro i grigiore del cielo.
Forse era quella la morte, era il grigiore che aspettava ogni persona dopo il breve raggio di sole e proprio in quel momento, per l'ennesima volta, mi resi conto quanto dessimo per scontato il nostro soggiorno nella vita terrena.
Sarebbe stato sempre un vizio di noi comuni mortali, non avremmo mai realmente pensato a quanto prezioso fosse ogni giorno finché privati di quel beneficio; È nostra convinzione pensare che la vita sia infinita e che la morte non ci possa mai sfiorare, è un'illusione così proficua per ingannarci che la tramandiamo da generazioni senza renderci conto di quanto sia dannosa per la nostra psiche.
Nel bel mezzo del mio soliloquio sentì il cancello della casa aprirsi ed in un secondo mi ritrovai ad osservare la figura maschile di Mason richiudere il cancello con le proprie mani.
Mi rigirai subito verso la pianta di lavanda e feci finta di nulla, conscia che tra non molto si sarebbe trovato alle mie spalle.
Non appena sentì il suo torace premere sulla mia schiena esile le sopracciglia assumendo un'espressione confusa. « Non è morta... com'è possibile? »
Non sapevo bene quanto spesso andasse irrigata la pianta in questione eppure mi parve inconsueto il suo benestare nonostante i mesi di assenza.
« Sei sopravvissuta... » mormorai inspirando a pieno quel forte odore che fin da piccola mi aveva cullato, avevo sempre avuto un debole per quella fragranza e così zio Noah aveva deciso di coltivare una pianta.
Sentì un raggio di sole colpire repentinamente il mio volto, mi scostai dalla pianta e puntai i miei occhi sul cielo osservando quanto fosse nuvoloso.
« Ma... » il respiro si fermò e le mani iniziarono a tremare osservando quel raggio di sole valicare con sicurezza le grigie nuvole, mi beai di quella sensazione di calore finché non scomparì dietro i grigiore del cielo.
Forse era quella la morte, era il grigiore che aspettava ogni persona dopo il breve raggio di sole e proprio in quel momento, per l'ennesima volta, mi resi conto quanto dessimo per scontato il nostro soggiorno nella vita terrena.
Sarebbe stato sempre un vizio di noi comuni mortali, non avremmo mai realmente pensato a quanto prezioso fosse ogni giorno finché privati di quel beneficio; È nostra convinzione pensare che la vita sia infinita e che la morte non ci possa mai sfiorare, è un'illusione così proficua per ingannarci che la tramandiamo da generazioni senza renderci conto di quanto sia dannosa per la nostra psiche.
Nel bel mezzo del mio soliloquio sentì il cancello della casa aprirsi ed in un secondo mi ritrovai ad osservare la figura maschile di Mason richiudere il cancello con le proprie mani.
Mi rigirai subito verso la pianta di lavanda e feci finta di nulla, conscia che tra non molto si sarebbe trovato alle mie spalle.
Non appena sentì il suo torace premere sulla mia schiena esile pronunciai: « Com'è possibile che una pianta si sia mantenuta così bene dopo tutti questi mesi? »
Le lacrime si accumularono nei miei occhi ed il mio respiro profondo gli parve un input per cingermi con le proprie braccia, la mia schiena si attaccò al suo torace ed io chiusi gli occhi lasciando scivolare via quelle lacrime.
« Allison... » la sua voce mi portò a singhiozzare, era così bella la sensazione della sua vicinanza da trasformare quelle lacrime di dolore in lacrime di gioia.
Girai il mio corpo per trovarmi con il volto schiacciato nel suo torace ed inspirai a pieno il suo profumo rendendomi conto di quanto fosse diventato indispensabile.
« Calmati... va tutto bene. » cercò di rassicurarmi ma io scossi la testa continuando a piangere sul suo torace vestito da una felpa nera.
La sua mano finì tra i miei capelli ed iniziò a carezzarmi la cute con delicatezza. « Allison. »
« Mi dispiace. » mormorai tra i singhiozzi ed alzando lo sguardo sul suo volto. « Mi dispiace tanto. » 
La sua espressione si rilassò. « Non ci pensare adesso... »
« No, invece devo dirti che mi dispiace. » con un dito eliminai i residui di lacrime dai miei occhi e continuai a guardarlo.
Mason mi guardò severo. « Non voglio le tue scuse, voglio che inizi a comportarti come la grande donna che sei. » ascoltai con stupore le sue parole mantenendo i miei occhi nei suoi. « È arrivato il momento di riprendere la tua vita in mano, capisci? Non puoi continuare in questo modo. »
Abbassai lentamente lo sguardo sulle nostre scarpe e sospirai senza sapere cosa dire.
« Lo so quanto ti manca, lo percepisco come se fosse il mio dolore ma lui non potrebbe mai vederti in questo modo. » posò l'indice sotto il mio mento e con delicatezza mi alzò il volto. « Non ti permetterò di lasciarti andare, capisci? Se vuoi farlo devi cacciarmi dalla tua vita a calci perché Noah non l'avrebbe mai permesso. »
« Smettila di fare le sue veci. » mormorai infastidita.
I suoi occhi si riempirono di sicurezza. « È il mio dovere. »
Mi staccai dal suo corpo e scossi la testa. « Non è il tuo dovere! Il tuo dovere è lavorare nella sua officina, non farmi da babysitter! » ogni volta che lo sottolineava mi sentivo sminuita come poche volte era successo nella mia lunga vita da ventottenne. « Smettila di considerarmi come un dovere perché non lo sono! Io ti permetto di starmi accanto solo perché lo vuoi anche tu e non perché lui te l'ha imposto! » Sentì la rabbia ribollirmi nelle vene.
Mason si avvicinò al mio corpo con fare minaccioso. « E allora tu smettila di fare stronzate come se fossi una bambina piccola in cerca di attenzioni. »
La severità che lessi nei suoi occhi mi spiazzò ma decisi di non dargliela vinta. « Io non cerco le attenzioni di nessuno. » che grande bugia.
Il suo volto si distese in un'espressione divertita, come se si stesse burlando della sottoscritta. « Ah no? »
A quel punto persi quel barlume di sicurezza che aveva contraddistinto il nostro dialogo. « No. »
I suoi occhi si presero beffa delle mie bugie. « Ricorda che ormai ti conosco. »
Incrociai le braccia al petto. « Tu non conosci nulla di me. » non ne fui molto sicura.
Si abbassò con la schiena regalandomi la visuale ravvicinata del suo volto. « Ti stai mordendo il labbro inferiore. »
Spalancai gli occhi e mi resi conto di averlo iniziato a fare senza accorgermene. « E allora? »
Sorrise senza distaccare i suoi occhi dai miei e pregai di non crollare ai suoi piedi. « Lo fai sempre quando dici una bugia. »
Sussultai come se fossi stata colpita da acqua gelata e mi scostai dalla sua vicinanza. « Smettila, non è vero. »
Pensai avrebbe protratto l'argomento fino allo sfinimento eppure non lo fece, mi osservò attentamente e poi sorrise pronunciando una frase che non mi sarei aspettata di sentire: « Andiamo a casa? »

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