Ventitre

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L'odore forte e pungente di disinfettante mi impregnò le narici non appena varcai la soglia del St Thomas' Hospital, situato proprio sulle sponde del fiume Tamigi.
La vastità di quell'edificio e la moltitudine di persone che ci lavoravano dentro mi lasciò spiazzato, per non parlare del via vai di infermieri, barelle e visitatori: Odiavo gli ospedali.
Mi guardai intorno perplesso, indeciso su dove andare, poi l'aiuto sembrò piovere dal cielo, o meglio, dal corridoio infondo a destra.
Un uomo alto e robusto, che riconobbi essere Micheal, una delle guardie del corpo di Toto, mi scortò sino al terzo piano e poi nel reparto di terapia intensiva. Dall'uscita dell'ascensore cercai di ricordare il tragitto percorso, così da non perdermi quando sarei dovuto tornare indietro: primo corridoio a sinistra, dritto fino al distributore, poi a destra.
Nonostante non fosse orario da visite le infermiere ci lasciarono entrare e, mentre Micheal stava qualche passo più avanti di noi, il Dottor Moore mi disse che i parametri vitali di Isabella erano stabili e che rispondeva bene alla cura.
Ci scambiammo qualche altra parola prima che il medico mi lasciò da solo davanti all'entrata della stanza di Isabella, la numero 123.
La porta era socchiusa, ma riuscivo comunque a scorgere due sagome fare avanti e indietro nella stanza. La tentazione di entrare era forte, ma le mani cominciarono a sudarmi talmente tanto che pensai che se avessi afferrato la maniglia della porta, quella sarebbe potuta scivolarmi tranquillamente.
Il cuore mi martellava nel petto e la tentazione di girare i tacchi e fuggire da quella situazione cresceva a dismisura. La voce di Lewis bastò a farmi tornare con i piedi per terra. Da quando Bella era in coma il mio rapporto con il pilota britannico era a dir poco precipitato, dal momento che mi riteneva responsabile del suo incidente. Il fatto che non avessi avuto modo di dire la mia su quanto accaduto rese le cose ancor più complicate, dato che le uniche volte che io e Lewis ci trovavamo nella stessa stanza per discutere questioni che riguardavano tutt'altro che Isabella, quello in qualsiasi modo riusciva a riagganciare il discorso alla sua adorata rinfacciandomi di essere un idiota.
Mentre la mia mano faceva avanti e indietro tra la maniglia argentata della porta e la mia maglietta per asciugare il sudore in eccesso Eleonor, come se niente fosse, fece irruzione nella stanza muovendo passi veloci e decisi chiamando a gran voce la mamma. Quando mi ritrovai con la mano a mezz'aria e gli occhi sbarrati dinanzi i coniugi Wolff, anche loro abbastanza confusi, l'unica cosa che fui in grado di fare fu abbozzare un sorriso.
Quando azzardai a muovere cautamente i primi passi nella stanza avvertii una forte sensazione di vuoto nello stomaco, che svanì non appena posai gli occhi su Isabella. I suoi occhi si spalancarono all'istante ma non per la paura, bensì perché era sorpresa di vedermi.
Le sorrisi dolcemente, ma percepii lo sguardo di Lewis bruciarmi sulla pelle. Lui di certo non era contento di vedermi.
Toto si prese il carico di smorzare la tensione facendo sì che tutti uscissero dalla stanza per dare spazio a me e a Bella.
Il pilota inglese si alzò con riluttanza, mi squadrò con odio e trascinò con sé la bambina che, volendo stare con la mamma, puntò i piedi a terra piagnucolando.
Non appena notai il fastidio di Isabella nel sentire il frastuono degli strilli della piccola, la tranquillizzai promettendole che sarebbe potuta rientrare a breve e stare con la madre per tutto il tempo che desiderava.
Quando Lewis si chiuse la porta dietro mi presi qualche istante per studiare l'espressione indecifrabile di Bella e per guardarla meglio: il viso pallido, gli occhi lucidi, le labbra scure e screpolate.
Mi soffermai sullo zigomo violaceo e la grossa ferita sulla fronte nascosta sotto i capelli castani leggermente intrecciati e raccolti in una morbida coda bassa. Proseguii lungo il collo appena scorticato a causa dell'incidente, sulle sue mani magrissime quasi invisibili sulla candida coperta che la copriva dalla vita in giù.
Probabilmente si accorse che la stavo fissando perché abbassò lo sguardo e si coprì il volto con una mano. Insieme a lei, si mosse anche il filo della flebo che le dava nutrimento.
Mi sentii in colpa per averla messa in imbarazzo. Probabilmente pensava di essere un mostro, ma la verità è che io la vedevo bellissima anche con un sacco dell'immondizia addosso e i capelli sporchi.
La sua era una bellezza singolare: di lei amavo
particolarmente la delicatezza che traspariva in ogni suo aspetto, e in quel momento, semi stesa su un letto d'ospedale, era così tenera e soave.
Mi avvicinai cauto e presi posto sulla sedia per i visitatori accanto al suo letto, poi afferrai un braccialetto che si trovava sul comodino.
Cominciai a giocarci per alleviare la tensione che avevo addosso, ma presto mi accorsi che non serviva a nulla perciò lo rimisi dove lo avevo trovato e mi alzai girovagando per la stanza.
Di lì a poco le parole cominciarono a fuoriuscire dalla mia bocca con estrema naturalezza
«Ricordi la prima volta che siamo incontrati? Tu con una ferita enorme sulla gamba e io, che non ho mai tollerato più di tanto il sangue, lì pronto ad aiutarti.
Avevo previsto la tua caduta ancor prima che iniziassi a salire quelle scale» una lieve risata lasciò le mie labbra a quel ricordo
«Mi fermai a controllare che stessi bene solo perché Pierre non la smetteva di assillarmi, e non avrei potuto fare scelta migliore. Avevamo un'importante cena con tutti i piloti e i Team Principal a cui eravamo già in ritardo, perciò fosse stato per me avrei tirato dritto, ma quando ho incrociato il tuo sguardo, avrei voluto fermarmi cento volte ancora.
Eri così spaventata che quasi mi dispiaceva averti approcciata così su due piedi, senza neanche dirti il mio nome. Ciò che è successo dopo...beh, lo sai bene anche tu» avvampai appena e mi grattai la nuca imbarazzato continuando il mio discorso
«Se avessi saputo che le cose sarebbero andate così avrei preso scelte diverse, ma la verità è che ciò che mi aveva detto Arianna mi lasciò spiazzato.
Io ti amavo Bella, e sapere che tu non volevi saperne più di me mi ferì a tal punto da mettere una pietra sopra la nostra storia, imponendomi di dimenticarti.
Arianna mi aveva consolato e tenuto compagnia.
Siamo usciti qualche volta, ma lei non aveva neanche la metà delle tue qualità. Speravo di poterti dimenticare più facilmente uscendo con un'altra, ma ti vedevo ovunque: nei miei sogni, sulla galleria del telefono, il che mi costrinse ad eliminare tutte le nostre foto, e persino tra tutte le ragazze castane che incontravo. Arianna era stata una buona compagnia fin quando non ha iniziato a pretendere oltre da me.
Una sera siamo usciti a cena e poi siamo andati a casa sua. Abbiamo cominciato a baciarci e lei si era quasi tolta il vestitino nero che indossava quando io cominciai a farle domande su di te: volevo sapere che fine avessi fatto, dove vivessi e se ti frequentassi con qualcuno. Lei si infuriò e slacciò il bottone dei miei pantaloni con una tale foga che quasi lo strappò. La fermai immediatamente, non volevo andare a letto con lei, anzi tutt'altro.
Lei non mi interessava e mi ero sentito in colpa per averle fatto credere che tra noi sarebbe potuto nascere qualcosa. Mi rivestii in fretta e lasciai quella casa che cominciava a starmi stretta con lei che mi urlava contro di essere uno stronzo e un approfittatore. Da quel giorno non l'ho più rivista. Continuai la mia vita come se nulla fosse accaduto e pian piano accantonai anche i sentimenti che avevo per te. Avevo pensato più e più volte di telefonarti, di cercarti per avere delle spiegazioni, ma ormai avevo cominciato ad accettare la tua decisione di chiudere.
Rivederti anni dopo accanto a Lewis e con in braccio una bambina fu un duro colpo. Ero così sicuro che tra te e lui ci fosse qualcosa che avevo quasi cominciato ad odiarti, ma il tuo sorriso e quei maledetti occhi color nocciola avevano riacceso in me la scintilla: dovevo averti.
Mi ero ripromesso di farti innamorare di nuovo di me e la cosa funzionò, perché non credere che non mi sia mai accorto di come mi guardi» le scoccai una rapida occhiata e notai come le sue guance si colorarono spiccando sul pallido colorito del suo viso
«Quando mi hai detto che Eleonor era mia figlia non potevo crederci, mi sembrava surreale.
Tutte le convinzioni che avevo svanirono all'istante e mi sentii morire dentro per non essermi reso conto di avere la verità sotto al naso. Sei scappata via così in fretta che non sono riuscito neanche a dirti ciò che pensavo. Quando ho saputo del tuo incidente ero in macchina con tuo padre. Ricordo come si ammutolì e smise di respirare non appena schiacciò la cornetta verde sul display del suo cellulare. Il mio cuore aveva cominciato a battere all'impazzata e mi sentii mancare la terra sotto ai piedi quando Toto confermò i miei pensieri.
Appena arrivati in ospedale ci dissero che eri in coma e io sapevo che in parte era colpa mia.
Reagii d'impulso, senza neanche rendermi conto del dolore che avrei potuto causarti» sentivo io cuore martellarmi nel petto. Volevo dirle di quanto ero contento di avere Eleonor, di quanto le volessi bene nonostante l'avessi appena conosciuta e di quanto amavo lei. Mi fermai dinanzi alla pediera del suo letto cominciando a giocare con i tasti del telecomando che ne regolavano l'altezza e l'inclinazione quando finalmente mi decisi a snocciolare tutta la verità
«Io voglio un bene dell'anima a Eleonor. Ha portato così tanta gioia e amore in casa che tutti le si sono affezionati. Per quanto possa somigliarmi, ha il tuo stesso carattere forte e deciso.
Non ti biasimo per avermi tenuto all'oscuro di tutto, in fin dei conti hai sempre creduto che in qualche modo ti avessi tradita con Arianna, ma perché tenermi fuori dalla vita di mia figlia? Per così tanto tempo poi. Avrei potuto aiutarti, in tutto, ma tu non me l'hai permesso. L'unica cosa che mi fa rabbia è non esserci stato nei primi anni della sua vita, non averla sentita pronunciare le prime parole e non averla vista muovere i primi passi, ma poi penso a quanto deve essere stato difficile per te sopportare tutto questo da sola e mi sento uno schifo.
Se solo me lo avessi detto prima...avrei mollato tutto pur di starti accanto perché-» diglielo Arthur! Togliti questo sassolino dalla scarpa una volta per tutte, falla finita!
Secondi interminabili mi separavano da quello che sarebbe stato il mio destino: condivideva o no i miei sentimenti? Se mi avesse rifiutato il mio cuore sarebbe andato in frantumi e probabilmente mi sarei rinchiuso per sempre in qualche circuito da percorrere in eterno nella speranza di dimenticarla, mentre se avesse ricambiato i miei sentimenti sarei stato il ragazzo più felice del mondo. L'avrei fatta conoscere alla mamma e a Lorenzo, dal momento che Charles lo conosceva già, saremmo potuti rimanere a Monaco per un po' e avremmo potuto crescere Eleonor insieme, parlandole sia in francese sia in inglese e portandola in giro per il mondo.
Stavo fantasticando troppo forse...
Avevo lasciato che le parole da me pronunciate sia che istante prima si perdessero nel silenzio di quella stanza, un silenzio che ormai era diventato quasi soffocante, così capii che era giunto il momento di spezzarlo
«Perché ti amo, Isabella» quando finalmente alzai lo sguardo su di lei mi accorsi che stava piangendo.
Calde lacrime rigavano le sue guance e presto anche il suo cuore cominciò a battere all'impazzata, tanto che il macchinario debito al controllo della frequenza dei suoi battiti cominciò a emettere un "bip" sempre più velocemente. Il suo petto si alzava e si abbassava freneticamente e il suo respiro si fece sempre più pesante: stava avendo un attacco di panico.
Mi precipitai al capezzale del suo letto poggiando delicatamente una mano sul suo volto e l'altra sulla spalla, incitandola a respirare proprio come stavo facendo io, ma lei mi tirò tra le sue braccia schiacciando la testa nella piega del mio collo.
Quel gesto mi lasciò un po' spiazzato, ma presto mi raccapezzai e presi ad accarezzarle i capelli come quando facevo con Eleonor quando non riusciva a dormire «Va tutto bene, sono qui Bella, non ti lascio» le sussurravo nell'orecchio mentre lei aveva messo una mano all'altezza del mio cuore per tastarne il battito.
La strinsi tra le mie braccia annusando il suo profumo. Nonostante fosse stata per tutto quel tempo in ospedale riuscii a sentire una certa fragranza di vaniglia piuttosto familiare.
Tutto a un tratto si staccò da me per asciugarsi le lacrime ormai secche e bere un po' d'acqua dalla bottiglietta di plastica.
Da quando ero entrato nella stanza non aveva ancora spiccicato parola, il che mi deluse un po'.
Proprio mentre stavo per chiederle il perché del suo silenzio Eleonor fece capolino nella stanza, così la presi in braccio e la poggiai sul letto mentre lei scivolava sempre più vicina alla mamma, che ora aveva un sorriso stampato sul viso: non c'era più traccia della tristezza di prima.
Sarei rimasto lì a guardarle per ore ma fui presto richiamato da Toto, affiancato dal dottor Moore
«Come avete potuto notare, Isabella è stabile e risponde bene alla terapia. Se tutto procede per il verso giusto, potremo di dimetterla già tra un paio di settimane così che possa riprendere le normali attività quotidiane ed essere seguita da un fisioterapista in un ambiente più familiare» ascoltai con attenzione ciò che disse il medico immaginando come si sarebbe evoluta la situazione una volta che Bella sarebbe tornata a casa. Toto annuì in ogni istante della conversazione, per poi intervenire una volta che il dottore ebbe terminato di parlare
«E per la voce? Quando ricomincerà a parlare?» mi voltai di scatto verso di lui: Isabella aveva perso la voce? No, non era possibile
«È difficile dirlo, è una questione molto soggettiva, ma sono sicuro che se riuscite a creare un clima sereno e a farla sentire a suo agio presto tornerà anche a comunicare verbalmente.
In ogni caso faremo valutare la situazione da un logopedista e uno psicologo, per eventuali shock post traumatici. Se non c'è altro, avrei dei pazienti da visitare» il dottore ci sorrise e strinse la mano ad entrambi, poi entrò in un'altra stanza per non uscirne più.
Il tempo passò in fretta e in men che non si dica erano già le due di pomeriggio quando le infermiere ci dissero che Isabella doveva riposare.
Eleonor non oppose resistenza: sapeva che l'avrei riportata dalla mamma il giorno seguente.
Prima di uscire definitivamente dalla stanza mi voltai un ultima volta a guardare Bella per assicurarmi che stesse bene. Lei mi sorrise impacciata mentre un'infermiera le sostituiva la sacca della flebo, ormai vuota.
Uscii da quell'ospedale con mille pensieri per la testa e il cuore che mi batteva all'impazzata.
Isabella mi aveva dato un'altra possibilità e io non me la sarei mai fatta scappare

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