Venti

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Era trascorsa una settimana dal Gran Premio del Belgio, vinto da Max Verstappen, e Isabella era ancora in coma. Nessuno di noi rimase per l'inno del vincitore e per la premiazione, eccetto Lewis. Io tornai in hotel con Eleonor per preparare le valigie mentre Toto andò in ospedale per firmare i moduli per il trasferimento di Bella nell'ospedale St Thomas di Londra. Toto aveva perso la parola, era sconvolto, così come sua moglie. Rispondeva a monosillabi e spesso si fermava a fissare il vuoto per minuti interminabili finché non si passava una mano fra i capelli scuri accasciandosi sulla scrivania del suo studio. Si confinava lì, davanti al computer a leggere svogliatamente la posta e bere il suo solito caffè macchiato con un cucchiaino di zucchero, noncurante di ciò che accadeva intorno a lui. Aveva perso il sorriso da quando Bella era in coma: le sue labbra erano sempre ricurve e la sua fronte corrugata, per non parlare dei suoi occhi. Vuoti. Non trapelava alcuna emozione se non paura, angoscia e colpa, una colpa che ti logora e ti annebbia la mente. Solo Eleonor era in grado di dipingerli un sorriso sulle labbra, anche se per poco. Toto sarebbe tornato a Londra per stare con sua moglie e sua figlia, mentre io ed Eleonor saremmo tornati a Monaco, dalla mia famiglia. Avevamo stabilito che era meglio per tutti, e che, una volta uscita dal coma, avrei portato Eleonor a visitare la madre. Era solo questione di tempo, me lo sentivo, Bella si sarebbe ripresa. Salutai Toto e Lewis prima di imbarcarci per voli differenti, lasciandoli soli con El mentre io chiamavo mia madre per avvisarla che saremmo partiti a breve. La piccola non ci mise molto a capire che sarebbe stata lontana dal nonno e dal padrino, assordando tutti coloro a bordo del Jet della Ferrari con le sue urla e pianti. Tentai di calmarla e di rassicurarla, ma lei proprio non ne voleva sapere e si dimenava sul sedile accanto al mio buttando a terra l'album da colorare e i pennarelli. Ero disperato, quasi quanto lei, ma per fortuna la ragazza di Carlos si avvicinò poggiandomi una mano sulla spalla «Ti dispiace se provo a calmarla?» annuii non sapendo più a chi aggrapparmi e lei prontamente, prima che Eleonor potesse rovesciare la sua borraccia rosa stracolma d'acqua, gliela tolse dalle mani e la prese in braccio cullandola dolcemente. Isabel le cantó delle strofe in spagnolo sottovoce, camminando di qua e di la per il corridoio del Jet fin quando Eleonor non smise di piangere e le mise le manine tra i lunghi capelli biondi, poggiando la testa sulla spalla e chiudendo gli occhi. Rimasi a bocca aperta per la facilità con la quale riuscì a farla addormentare, mettendomi quasi in ginocchio per ringraziarla. Prima di legarla nuovamente sul sedile lo reclinò e le diede il ciuccio accarezzandole dolcemente la testa e coprendola con la copertina che le avevo passato «Grazie Isa, davvero» le dissi sinceramente mentre lei mi accarezzava una spalla «Non preoccuparti, riposati anche tu» mi sorrise tornando al suo posto accanto a Carlos che, con i tappi nelle orecchie, leggeva un libro di poesie e sorseggiava una tisana alle erbe. Charles dormiva beato a qualche sedile da me e, il solo vederlo così rilassato, fece venire sonno anche a me «Arthur, siamo arrivati» fu proprio mio fratello a svegliarmi con in braccio Eleonor e un sorriso stampato in volto «Che ore sono?» domandai stropicciandomi gli occhi e stiracchiandomi «Le tre di pomeriggio» mi rispose controllando il suo orologio e scherzando con la piccola. Quando incontrai i suoi occhi chiari quella si sporse per venirmi in braccio e mi buttò le braccia al collo ridendo «Ti somiglia molto» disse ad un tratto Charles scrutandoci attentamente, poi continuò «Ha i tuoi occhi, il tuo sorriso, ma la bellezza l'ha presa tutta dalla madre, ed è un bene!» scherzò dandomi una pacca sulla spalla che ricambiai volentieri, solo più forte

Il tragitto verso casa fu breve e tranquillo. Eleonor guardava fuori dal finestrino dell'auto con gli occhi spalancati e le dita sul vetro tutto ciò che gli passava davanti, con il ciuccio stretto fra le labbra e farfugliando parole incomprensibili. Quando arrivammo a casa la mamma ci accolse a braccia aperte, impaziente di conoscere la nipotina. Quando le avevo confessato di essere padre il giorno dopo averlo scoperto, si ammutolì, per poi scoppiare a piangere di gioia e farsi un calcolo su quante ore mancassero al nostro arrivo a Monaco. Vederla lì, in cima alle scale dell'ingresso di casa pronta a riabbracciare sia noi che la nuova arrivata in famiglia mi scaldò il cuore, facendomi sorridere. Aprii la portiera dell'auto slacciando Eleonor dal seggiolino, lasciando che si muovesse da sola verso la nonna che tratteneva a stento le lacrime. La piccola le rivolse un sorriso e un timido "ciao", mentre mia madre si chinò verso di lei accarezzandole il viso paffuto e prendendola per mano, scortandola dentro. La trascinò in cucina offrendole dei biscotti al profumo di limone, che lei accettò volentieri mangiucchiandoli mentre, come se fosse Natale, scartava tutti i regali che mamma le aveva fatto. Rimasi appoggiato allo stipite della porta guardandola sorridere e correre ad abbracciare la nonna, ringraziandola con un sorriso che avrebbe sciolto anche un iceberg. Mi godei la scena fin quando dovetti spostarmi per rispondere al telefono: Toto. Rispondi mentre raggiungevo la terrazza per prendere una boccata d'aria, pronto ad accogliere ogni sorta di notizia. Non mi disse molto, si limitò a confermare la mia tesi: Bella non si era ancora svegliata, ma era arrivata a Londra e i suoi parametri vitali erano buoni, il che significava che era fuori pericolo. Bisognava solo aspettare. Rassicurai Toto sul fatto che El stesse bene e gli promisi che l'avrei fatto chiamare al più presto, anche di notte se fosse stato necessario. Era davvero un nonno affettuoso. Quando tornai dentro sgranocchiai anch'io qualche biscotto al limone portando le valigie in camera e sistemando sia la mia che la roba della piccola. Non ero sicuro di quanto saremmo rimasti, né se avessimo preso parte al prossimo Gran Premio, perciò sfilai dalla valigia ogni cosa rimettendola al suo posto, sfruttando quel momento di silenzio per riflettere sul da farsi. Avevo una figlia, e non avevo intenzione di starmene con le mani in mano aspettando che Isabella si svegliasse e me la portasse via di nuovo, no. Volevo recuperare il tempo perso e per farlo avevo bisogno solo di una cosa: capire cosa le piacesse fare, i suoi interessi, il suo sport preferito. Parlare con lei. Conversare con una bambina di due anni non doveva poi essere così difficile! Carico come una molla tornai in soggiorno e affiancai la piccola sul tappeto, intenta a giocare con la sua nuova bambola «Ti piacciono le bambole?» annuì silenziosa, troppo concentrata a farla roteare su se stessa come se fosse una ballerina, così tentai di nuovo «E i soldatini?» annuì ancora, indicando gli omini verdi sparsi qua e là sul tappeto. Sospirai, pronto a tentare nuovamente quando una voce alle mie spalle mi fermò «Non credo abbia molta voglia di parlare» Lorenzo entrò cautamente nella sala, incitandomi a lasciar giocare la bambina per poi seguirlo in cucina, dove entrambi ci versammo un calice di vino rosso sedendoci sugli sgabelli dell'isola in marmo bianco «È una bella bambina, ma quando avevi intenzione di dircelo?» domandò puntiglioso «Credimi, non ne sapevo niente nemmeno io! L'ho saputo poco prima dell'incidente-» mi fermò di colpo sgranando appena gli occhi «Incidente?» tutte le volte che pronunciavo o veniva pronunciata quella parola, sentivo un'enorme fitta al cuore «Si, la madre è in coma» sorseggiai il vino assaporandone il sapore amaro, versandomene ancora e ancora, fino a quando allegre risate lasciarono sia le mie che le labbra di Lorenzo. Avevo bisogno di un po' di leggerezza visto i giorni trascorsi, e distrarmi mi faceva solo bene, perciò perché non approfittarne? «Te lo giuro! Dovevi vedere la sua faccia!» risi a crepa pelle fin quando Charles non fece il suo ingresso in tenuta ginnica, pronto per il suo solito allenamento delle 19:00 «E tutte queste risate? Rendetemi partecipe» ignaro su cosa stessimo scherzando, io e Lorenzo ci guardammo negli occhi scoppiando di nuovo in una grassa e fragorosa risata, accontentando il povero Charles «Stavo illuminando Lorenzo su quando hai visto il colore e la scritta della maglia che mamma ha fatto per te due settimane fa e che ti è arrivata la mattina delle qualificazioni» Charles aggrottò le sopracciglia, intuendo subito dopo a cosa mi stessi riferendo prendendo le difese della mamma «Andiamo non era poi così male! L'ha fatta con il cuore» la sua smorfia tradiva tutto il suo buon cuore, il che ci fece ridere ancor di più, richiamando l'attenzione della donna che stavamo citando «S'il vous plaît abbassate la voce, che cosa sono queste urla?» entrò in cucina con la piccola in braccio che prontamente si allungò verso il piattino dei biscotti, ma fu fermata «Ne hai mangiati già cinque tesoro, aspetta la cena» le disse delicata mettendola a sedere sull'isola dove io e i miei fratelli ci stavamo sbellicando «Uno in più o uno in meno non fa molta differenza» commentò Charles «Non farà differenza se passerai tu la notte in bianco se le verrà il mal di pancia» rispose prontamente la mamma con un pizzico di acidità nella voce, generando una risata che trattenemmo a stento, beccandoci una ramanzina «Alzatevi voi due, apparecchiate e sopratutto smettetela di bere e di ridere, c'è una bambina!» esclamò con fare drammatico coprendo gli occhi della piccola da una scena che avrebbe fatto ridere persino un gatto: Lorenzo aveva gli occhi rossi per le lacrime, la maglia sporca di vino che si era versato addosso tra un sorso e l'altro, Charles con ancora stampata in volto la smorfia di disapprovazione per la maglietta ed io, ero semplicemente io. Cenammo tutti insieme godendoci il momento, allontanando ogni preoccupazione e alleggerendo l'aria con ricordi d'infanzia, accogliendo finalmente la piccola Eleonor.

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