Capitolo 5

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Quando iniziai a non mangiare, stavo perdendo chili, sempre di più, arrivando a pesare 40 kg, ma io mi sentivo bene, era tutto così normale, l'unico problema era mia madre, vedeva sempre di più prosciugarsi non solo il mio corpo, ormai ridotto come un ruscello sotto il sole cuocente, ma anche la mia anima ferita da una lama lugubre di tristezza, così un giorno decise di portarmi in ospedale, per parlare con una psicologa, era il 9 Luglio, il giorno in cui quest'ultima decise di ricoverarmi, il mondo mi crollò addosso."
Io rimasi a fissare i suoi occhi che parlavano più delle sue labbra, e pensai, pensai come lei abbia potuto nascondermi tutto questo male, era davvero una ragazza forte, io al suo posto non c'è l'avrei fatta.
"Pensavo a come la mia vita sarebbe cambiata ora che stavo in un bianco ospedale in cui gli unici colori appartenevano agli occhi bui e tenebrosi delle persone che vi ci stavano, mi immersi per pochi attimi nell'unico sguardo luminoso di quel plesso tetro nido di malinconia, quello di un ragazzo, i suoi occhi erano nitidi e brillavano di un azzurro lucente, mi ricordavano il mare, quella sfumatura di colore senza margini rinfrescante e travolgente, era pelato, ma questo non mi importava più di tanto, era abbastanza alto, rimasi incantata nel vedere il suo sorriso così espressivo, un sorriso quasi enigmatico, ma allo stesso tempo solare e ammaliante, innocente, ci andai a sbattere per sbaglio, si vede che ero proprio imbambolata, entrambi cademmo, "Scusa che sbadata!" "Non ti preoccupare" ribadì con un rincuorante occhiolino, quelle furono le nostre prime parole, non avrei mai immaginato che quella persona potesse diventare parte della mia ricca esistenza, eppure fu proprio così. Lo rincontrai più volte, i nostri sguardi anche se si intravedevano per pochi attimi erano legati e tenuti stretti da un filo invisibile eppure così pieno di tenerezza e comprensione, devo ammetterlo quel ragazzo mi piaceva davvero, ma non era una cotta passeggera, no, il nostro era vero amore. Un giorno, dopo aver litigato per la centesima volta con la mia perfida compagna di stanza mi rifugiai nel "campo di calcio" dell' ospedale, era un luogo abbandonato a se stesso accompagnato solamente dallo sbiadito perimetro del campo e dalla rete della porta ormai tutta sfilacciata e distrutta, mi sedetti sul primo muretto che trovai, mi isolai nel mio mondo attraverso le mie amate cuffie, e alzai la musica del mio IPod a tutto volume, la musica non ti abbandona mai, ad un certo punto sentii.."

Continuo nel prossimo capitolo, a presto🎈

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