Karina

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Finisco di parlare con Natalia e appena la vedo andar via mi chiudo nel mio studio e contatto un po' di persone affiliate ai vari Vertigo dal mio computer. La stanza è avvolta in un silenzio irreale, interrotto solo dal rumore delle dita sulla tastiera.
Dentro la mia testa c'è un tale caos che non riesco nemmeno a concentrarmi. Pensieri contrastanti si accavallano, rendendo difficile mantenere la concentrazione.

Sento la porta aprirsi disturbando la minima concentrazione che avevo finora. La mia testa si alza istintivamente verso il suono, interrompendo del tutto il mio lavoro.

«Karina, devi andare a prendere Damian, hai lasciato il telefono sul bancone, stanno chiamando da un po'.» La voce di Jayden mi riporta alla realtà, ricordandomi che ho altre responsabilità oltre il locale.

«Grazie, Jayden.» Lo vedo andare via, metto le mani sul mio volto cercando di svegliarmi, essendo troppo distratta. La stanchezza sembra appesantire ogni movimento.

Mi alzo dalla sedia e, a passo svelto, prendo le chiavi dalla scrivania e la borsa dalla poltrona con movimenti automatici.

«Karina...?» Alzo lo sguardo e noto Kole davanti a me fermo sulla soglia della porta. Il suo volto riflette preoccupazione, ma la ignoro.

«Sto uscendo, dimmi.» Il tono della mia voce è impaziente, il bisogno di evadere e di allontanarmi da lui è evidente ai suoi occhi.

«Vado io a prenderlo se hai da fare.» Mi propone con tono dolce e sincero, ma scuoto la testa e sorrido determinata mettendo alla spalla la borsa.

«Meglio di no, Kole.» Proseguo verso l'uscita e lo supero, lasciandolo dentro il mio studio.
Fuori, il Vertigo sento le risate dei passanti che iniziano a riecheggiare nella mia testa. Il rumore della città è un sottofondo costante che amplifica il mio malessere. Cammino lungo il marciapiede sgomitando tra le persone fino ad arrivare alla mia auto.

Apro la macchina con un piccolo tasto ed entro dentro, la testa mi gira, così decido di poggiare le braccia sulla parte superiore del volante e avvicino la testa lentamente ad esse, adagiandola per qualche secondo.

Inizio a sentire un senso di nausea così forte, strizzo gli occhi cercando di calmare l'attacco di panico che sta per arrivare. La mia respirazione diventa più profonda, un tentativo disperato di trovare calma.

Sento aprire lo sportello dal mio lato, ma non ho molte forze per voltarmi. La stanchezza mi immobilizza.

«Guido io. Ti aiuto a scendere, vieni.» Abbozzo un sorriso nel sentire la voce di Kole, facendomi avere un minimo di forze. La sua presenza è un'ancora in mezzo alla tempesta nonostante non abbiamo mai affrontato l'ultima litigata, trovo in lui un appoggio che mi fa rialzare.

«Perché mi aiuti?» chiedo, staccandomi dal volante. La mia voce è debole, quasi un sussurro.

«Perché sono tre giorni che stai male e lavorare non aiuta la tua condizione.» Mi irrigidisco nel sentire quelle parole, trattengo il respiro. La sua preoccupazione mi tocca profondamente.

«Chi te l'ha detto?» chiedo con autodifesa.

«Nessuno, si capisce... non ti reggi in piedi. Stare tutto quel tempo al computer, pagamenti, copie di filmati, gli occhi reggono e il fisico ne risente.» Kole mi aiuta a scendere dalla macchina ed io faccio un respiro profondo.

Cammino verso la portiera del passeggero e chiudo gli occhi una volta dentro, distendo un po' il sedile e sento Kole entrare in auto mettendo subito in moto. La macchina si riempie di un silenzio carico di tensione.

«Che hai?» mi chiede in un sussurro, sento la macchina muoversi e i rumori della strada che passano accanto ad essa. La sua voce è un filo di preoccupazione.

«Nulla...» Mi volto verso lo sportello aprendo gli occhi. La mia mente vaga, ripensando alle parole di Natalia.

«Devi capire cosa fare e metterlo al corrente.» affermava Natalia con tono dolce e pacato, mi aveva preso le mani, ciò di cui ho bisogno ora, contatto fisico. Le sue parole risuonano come un'eco nel mio cuore.

Uno scossone mi riporta alla realtà. Guardo Kole che guida concentrato. Il suo volto è una maschera di determinazione.

«Devo parlarti.» spezzo quei dieci minuti di imbarazzo. La mia voce è tesa, ma decisa.

«Dimmi che è successo?» mi chiede lanciandomi un'occhiata, rimanendo sempre concentrato sulla strada. La sua attenzione è divisa tra me e la guida.

«Ho fatto il test, solitamente ho ritardi anche di settimane per lo stress, ma questa volta sono stata convinta da Naty che mi ha fatto fare il test...» borbotto quasi timidamente. Le parole escono a fatica.

«E sei incinta.» Ride in modo beffardo, si volta verso di me solo quando arriviamo al semaforo. La sua reazione mi colpisce.

«Già...» Evito il suo sguardo, sospiro pesantemente e chiudo gli occhi volendo scappare da quella macchina.

«Vuoi tenerlo?» La domanda mi spiazza, ma riesco comunque a guardarlo e a rispondere senza troppi problemi.

«Tu vuoi che lo tenga?» chiedo speranzosa.

«Il corpo è tuo, no? Devi decidere tu.» Il suo tono fermo mi continua a lasciare basita, non mi aspettavo tanta maturità dopo il nostro passato.

«Ma il figlio è anche tuo.» Cala il silenzio, sento l'imbarazzo crescere dentro di me, alzo il sedile e mi volto verso di lui trattenendo le lacrime in un momento carico di tensione.

«Ora piangi?» La sua domanda è diretta, quasi incredula.

«Kole... per favore.» Inclino la testa mordendomi nervosamente l'interno della guancia.

«Ti avevo detto che volevo starti accanto, non ho scopato con nessuno anche se potevo! Ti amo, ma tu non mi credi mai e mai lo farai.» Le sue parole sono un torrente di emozioni.

«Dovevo rimanere incinta per sentirmelo dire.» Abbozzo una risata amara, guardando fuori il finestrino.

«Sei proprio una stronza.» La sua voce è dura, ma non priva di affetto.

«Anche tu.» Ribatto con un tono simile
ed un sorriso triste sulle labbra.

«Sai che litigheremo sempre, no?» La sua domanda è retorica, una verità che entrambi abbiamo imparato a conoscere e a conviverci.

«Almeno non stiamo litigando per tenerlo o meno.» Rispondo, trovando una piccola consolazione nella sua risposta.

«Touché...» Il suo sorriso è sincero, un momento di tregua nella nostra guerra personale.

«Ti senti meglio?» Prende la mia mano e la stringe forte, portandola al cambio e lo muove senza staccare la presa dandomi sicurezza.

«Quindi stiamo provando a riprendere la relazione?» Chiedo, cercando di capire le sue intenzioni.

«Perché svii?» La sua risposta è un invito a parlare apertamente.

«Sto bene, tranquillo, ma voglio sapere che intenzioni vuoi avere. Se tenerlo o meno...» guardo fuori dal finestrino notando che stiamo per arrivare a destinazione.

«Pensiamoci bene, abbiamo Damian e lui non mi riconosce ancora come padre, perché non sa.» si gratta la tempia tenendo sempre stretta la mia mano.

«Ti va di dirglielo assieme il giorno del ringraziamento?»

«A patto che torno a vivere da te, il Vertigo è un posto brutto dove dormire.» Ridiamo entrambi, guardandoci per un attimo negli occhi mostrando un sorriso ampio prima di notare di essere arrivati finalmente a scuola di Damian.

«Prima di scendere Karina... devo dirti che voglio abbandonare il Vertigo, ne parliamo meglio dopo okay? Vado a prendere Dam.» Scende dalla macchina e lo vedo proseguire verso ingresso dove vedo Damian aspettare e correre con il suo piccolo zainetto verso Kole, lui lo prende in braccio e dopo qualche secondo tornano verso la macchina facendomi immaginare la vita con un secondo figlio.

(non) siamo perfetti assieme;Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora