Il giorno seguente fui di malumore tutto il giorno. Il dolore allo stomaco era sempre più forte e avevo un terribile senso di nausea. Arrivai a scuola, come sempre, in ritardo e ricevetti un richiamo. Bene, ecco come iniziare al meglio la giornata.
Mi sedetti al mio posto e sospirai.
Vidi il posto vuoto accanto al mio e provai un senso di sollievo. Non ero pronta a parlare con Silvia della sera precedente, non volevo procurarle un dispiacere dicendole cosa mi ha detto Edoardo. Era così felice della sua storia con Giorgio, le brillavano gli occhi quando ci ha dato la notizia. E anche se non volevo ammetterlo, in quel momento, ho provato invidia, per lei che aveva quello che desiderava mentre io potevo solo guardarlo da lontano, senza poterlo sentire mio. Ma se glielo avessi detto sarebbe stato davvero egoista da parte mia, dovrei esserne contenta, se lo merita. E invece non potevo. La mia vita stava andando a rotoli e io con lei. Si aggiungevano problemi su problemi e non ero grado di gestirli da sola. Ma con chi potevo parlarne? Silvia era nel suo mondo incantato, troppo occupata a spruzzare amore da tutti i pori. E io non volevo rovinarle il momento con le mie disgrazie. Sapevo che fosse una cosa importante, molto più della sua storia, ma volevo che si godesse quello che la vita gli ha donato, e non volevo che sentisse il peso delle mie responsabilità su di lei. Era colpa mia, dovevo stare attenta, avevo la testa costantemente sulle nuvole e questo era stata la mia rovina. Ma non serviva rimuginare sul passato, quel che è fatto è fatto, e mi piacerebbe tornare indietro, ma non si può.
Per questo è importante pensarci bene prima di fare le cose, riflettere, non dobbiamo dare tutto per scontato ma soprattutto non dobbiamo amare per solitudine.
La campanella che annunciava la fine della quarta ora suonò e mi alzai dalla sedia, erano gli ultimi giorni di scuola e il caldo era insopportabile.
Entrò il professore di matematica e ci incitò a sederci tutti nei rispettivi posti. Mi venne un capogiro, forse perchè in classe si moriva dal caldo, o forse per la pressione bassa visto che ero a corto di zuccheri, e così chiesi al professore di andare in bagno. Era un uomo di mezz'età, serio, che sembra non sapesse il significato della parola felicità. Non rideva mai, anzi le sue battute erano orribili, non faceva ridere nessuno, solo lui stesso. Se fosse stato un pagliaccio avrebbe fatto scappare terrorizzati tutti i bambini, e non è solo un modo di dire. Così si buttava a capofitto nell'insegnamento della sua materia, spiegandola con una tale passione da farmi venire il voltastomaco. Sapeva che alla maggior parte degli studenti di quella classe non importava niente della sua materia, compresa me che la ritenevo altamente inutile. A cosa potevano servirmi le equazioni? Quando sarei andata ad un colloquio di lavoro mi avrebbero chiesto di risolvere un'equazione? Se proprio vogliamo esagerare mi servirà saper fare due calcoli per pagare le bollette. E se mi sposerò non li farà mio marito?
Che pensieri strani, io che penso al matrimonio, ad avere una famiglia. In realtà prima dell'incidente mi sarebbe piaciuto avere dei figli. Sognavo di avere due gemelli, magari un maschio e una femmina. Sarebbero cresciuti in fretta e sarei stata orgogliosa di loro. Ho sempre amato fare la mamma, anche da piccola quando giocavo con cicciobello e gli davo da mangiare, gli facevo fare il ruttino e gli facevo le coccole per farlo addormentare. Ero una mamma modello fin da piccola.
È strano come il destino possa darti la possibilità di realizzare i tuoi sogni, sempre nel momento sbagliato.
Strano come qualcosa che pensavi non potesse succederti invece è successa.
Mi persi tra i miei pensieri e non mi accorsi che il professore mi stesse parlando, dandomi il consenso per uscire.
«Signorina, vuole andare o rimanere lì in piedi?» mi chiese il professore contrariato.
«Si, mi scusi.» dissi a denti stretti mentre la classe rideva alle mie spalle.
Uscii e mi diressi in giardino per prendere una boccata d'aria. Faceva un caldo da collassare al suolo, sentivo che da un momento all'altro sarei potuta svenire. Mi sedetti su una panchina, posta sotto un albero. Mi strinsi nelle spalle, il dolore allo stomaco che aumentava sempre di più. Mi guardai intorno, il prato non era molto in forma, l'erba era di un verde spento, sofferente. Ma non ci si poteva aspettare molto, bastava guardare la scuola dall'esterno per girarci alla larga. Mentre noi poveri studenti siamo obbligati a restare chiusi in quelle classi ogni giorno, per nove mesi. Una tortura gratuita. Sarebbe arrivato presto il momento che mi diplomerò e manderò a fanculo la scuola e tutti quegli insegnanti che ogni giorno ci ricordano di aver a che fare con un branco di adolescenti scalmanati.
Ma come possiamo amare la scuola se è una tortura ritornarci ogni giorno? Se i professori avessero smesso di darci pagine su pagine da studiare saremmo tutti più felici. Ma a loro non importa, hanno un programma da svolgere e se non sei al passo con loro sei spacciato.
Sentii delle voci in lontananza e la risata di un ragazzo. Potrei riconoscere quella risata anche tra mille anni, mi è rimasta impressa e non potrà mai sbiadire. Lo vidi che rideva e camminava abbracciando qualcuno da dietro. Ma non era un semplice amico, era una ragazza, ed era Valentina.
Era vestita con una canottiera scollata che lasciava davvero poco all'immaginazione e un minigonna. Se fossi stata una professoressa le avrei vietato di entrare a scuola in quelle condizioni ma a quanto pare lei era così ricca che se lo poteva permettere. A quanto pare suo padre era il finanziatore di questo istituto e sembra che tutto le sia dovuto.
«Cosa ci facciamo in giardino?» gli chiese Valentina, tra un sorriso e un altro.
«Volevo passare un po' di tempo con te lontano da occhi indiscreti» rispose stringendola a sé in quel modo che io amavo.
«Non vuoi farti vedere da Alice con me» disse Valentina, delusa.
La sua era più un'affermazione che una domanda. Perchè si preoccupava di me quando stava con lei? Era un controsenso.
«Non è come pensi» disse Edoardo, rabbuiandosi.
«Te lo si legge in faccia» e si allontanò da lui.
«Cosa?» chiese lui, confuso.
«Che sei innamorato di lei» concluse, guardandolo negli occhi.
«Tu non sai quello che dici» scattò lui.
«E invece ti sbagli. Lo vedo come la guardi quando ti passa davanti. Lo vedo come sussulti al solo sentire il suo nome. Lo vedo come diventi geloso quando la vedi parlare con un ragazzo» concluse, seria.
«Smettila, non siamo usciti qui per parlare di Alice» disse Edoardo, sussultando al suono del mio nome.
«Hai ragione, potremmo parlare di qualcosa di più interessante» cambiò tattica, accennando un sorriso malizioso.
«O potremmo semplicemente non parlare» finii Edoardo, attirandola a sé.
Valentina per tutta risposta gli mise le braccia intorno al collo attirandolo ancora più vicino, le loro labbra a pochi centimetri di distanza.
Non so con quale forza mi ritrovai in piedi e mi allontanai velocemente non facendo attenzione a dove mettevo i piedi. E così inciampai e caddi in mezzo alle foglie e ai rami. Se il giardino fosse stato invaso da persone quel minimo rumore sarebbe stato impercettibile, ma con la fortuna che ho il giardino è deserto e si percepisce ogni minimo rumore.
Mi alzai di scatto ma non fui abbastanza veloce a sgattaiolare via che mi ritrovai davanti Edoardo e Valentina, impauriti. Quando mi videro il loro terrore si trasformò in sollievo, per quanto riguarda Valentina. Guardai Edoardo che mi fissava con un espressione indecifrabile sul volto, serio e preoccupato.
«Ci stavi spiando?» mi chiese Valentina, ridendo della situazione. O semplicemente di me.
«Certo che no, ho di meglio da fare» risposi, arrabbiata.
«Da quanto sei qui?» mi chiese lui, ritrovando la voce.
«Sono appena arrivata» risposi scrutandolo.
Lei ne approfittò e gli prese la mano, intrecciandola alla sua. Lui sussultò sorpreso, ma poi la strinse. Li guardai e non provai altro che disgusto. Volevo che quella bionda ossigenata togliesse le sue luride mani da quelle di lui, e che gli stesse a dieci metri di distanza. Anzi, non doveva nemmeno guardarlo.
La guardai trasmettendole tutto l'odio che provavo. La odiavo, talmente tanto che solo la sua presenza mi disgustava. Lei non amava Edoardo, scopava con uno diverso ogni giorno, addirittura nei bagni della scuola che erano la cosa più disgustosa del mondo. Non aveva dignità, era la classica ragazza facile. Non potrà mai dargli tutto l'amore che lui merita, può essere brava a letto ma non è in grado di amarlo come me. E non lascerò che lei lo usi solo per il suo corpo. Deve stargli lontana o non rispondo delle mie azioni.
«E tu da quanto sei qui?» ruppi il silenzio, mascherando la mia delusione con l'indifferenza.
Provavo solo pena per lui, era così facile andare a letto con una persona ben disposta, ma non era altrettanto facile amare una persona. Forse è solo paura, paura di concedersi ad una persona. Paura di aprire il cuore e riceverne in cambio solo delusioni, ed un cuore spezzato. Per questo le persone preferiscono divertirsi con tante ragazze invece che trovarne una che li faccia star bene, hanno paura di amare. Amare così tanto una persona da dipendere esclusivamente da quella, di non poter immaginare la sua vita senza di lei, senza il suono della sua voce, senza il suo sorriso che ti ferma il cuore. Paura di essere abbandonati, su una strada, con il suono dei pezzi del tuo cuore che s'infrangono, schiantandosi al suolo.
E lui preferiva le cose semplici, quelle da una sola sera, senza sentimenti, solo piacere fisico. Ci vuole coraggio per abbandonarsi ad una persona, cosa che a lui manca.
«Sono appena arrivato» e iniziò a fissarmi.
Si vedeva lontano un miglio che stava fingendo, ma lo lasciai nella sua convinzione, sapevo la verità, li avevo visti.
«In buona compagnia vedo» e alzai gli occhi al cielo.
«Molto più buona della tua» s'intromise Valentina.
Stavo per risponderle per le rime quando Edoardo mi precedette.
«Ci siamo appena incontrati» disse lui, rivolgendo a Valentina un'occhiata per farle intendere di stare zitta.
«Non so chi tra i due sia più squallido» dissi disgustata, e me ne andai.
Ero rimasta fuori per più di un'ora, il professore mi avrebbe sicuramente uccisa. O mi avrebbe spedita dal preside con un biglietto di sola andata.
Mi affrettai per raggiungere la mia classe quando qualcuno mi afferrò il polso. Mi girai di scatto e mi ritrovai davanti Edoardo.
«Lasciami andare» mi divincolai da dalla sua presa.
«Perchè te ne sei andata via in quel modo?» mi chiese, non avendo nessuna intenzione di lasciarmi.
«Odio le persone bugiarde» risposi, freddamente.
«Eri lì da molto, vero?» mi chiese lui.
Era una domanda retorica, sapeva già la risposta.
«E tu eri con lei, e vi stavate baciando» e lo spinsi via da me.
Lui rimase sorpreso dalle mie parole ma subito si riprese. Il mio vantaggio sfumò quando lui mi riprese e mi spinse contro gli armadietti.
«Non scappare da me» mi sussurrò.
Era a pochi centimetri da me, occhi negli occhi. Il suo profumo inebriante mi faceva impazzire e il modo in cui mi guardava mi faceva letteralmente morire. Sai potuta morire da un momento all'altro, il mio cuore non avrebbe potuto reggere ancora per molto.
«Come hai fatto ad entrarmi nel cuore senza che me ne rendessi conto» mi sussurrò, sfiorandomi il collo.
Non avrei ancora retto per molto, la sua voce, le sue labbra così vicine, il suo profumo, mi avrebbero portato in paradiso. Dovevo solo abbandonarmi a quella sensazione e sarei stata finalmente felice.
« Perchè quando ti vedo il mondo mi sembra un posto migliore e quando sono con te tutto perde importanza» e mi lasciò un tenero bacio sulla clavicola.
«Perchè mi fai sentire cosí vivo» e mi lasciò un altro bacio risalendo il collo.
«Perchè mi sei entrata sotto la pelle» e un altro bacio ancora.
«Perchè amo ogni cosa di te, il tuo sorriso, la tua risata, i tuoi occhi, il profumo della tua pelle, quando sei gelosa, quando mi guardi in quel modo che mi fa impazzire» e ancora.
«Perchè senza di te non posso vivere» concluse risalendo il collo e arrivando alle labbra.
Mi tremavano le gambe, il mio cuore era come un tamburo impazzito. Minacciava di scoppiarmi nel petto da un momento all'altro. Non ero pronta, era troppo da assimilare.
Mi sfiorò le labbra e il cuore perse un battito, le gambe sembrarono cedermi.
«Muoio dalla voglia di baciarti» mi sussurrò sulle labbra.
Ero arrivata al limite, le gambe mi cedettero ma lui mi tenne e il cuore mi esplose nel petto. Se quello era il momento di morire, ero pronta.
Non so con quale forza d'animo ritrovai la voce per parlare.
«Anche io» sussurrai.
Lui sembrò sorpreso dalla mia risposta, ma si riprese velocemente. Le nostre labbra si toccarono e il mondo perse importanza, eravamo solo io e lui. Le labbra che si toccavano bramose, si perdevano per ritrovarsi, più affamate di prima. Le sue mani sui miei fianchi, che mi sfioravano dolcemente. Era la sensazione più bella del mondo ma il suono della campanella ci interruppe.
Ed ecco che venivo strappata dal paradiso per essere scaraventata nell'inferno. Aprii gli occhi e lo guardai, incerta su cosa dire. Non volevo rovinare il momento che di per sé era già rovinato ma non volevo dire la cosa sbagliata. Così rimasi a fissarlo, aspettando che dicesse qualcosa. Ma lui continuò a guardarmi senza saper cosa dire.
«Penso sia meglio andare» dissi, incerta.
Non sapevo come comportarmi nei suoi confronti, un giorno mi diceva una cosa e il giorno dopo ne dimostrava un'altra. Per me rimaneva un mistero.
«Si» disse e mi lasciò andare.
Mi staccai da lui e lo guardai per un'ultima volta e poi me ne andai. Feci qualche passo quando sentii che mi chiamò, e mi fermai di colpo.
Sorrisi e mi voltai, aveva un'espressione strana, incerta.
«Se vuoi ti accompagno» mi disse, imbarazzato.
Ero così felice, eppure avevo quello strano senso di paura che mi si annida nello stomaco, la sensazione che qualcosa di brutto stava per accadere.
Sospirai e chiusi tutte le mie paure nella zona più remota della mia mente, non era il momento giusto per farsi prendere dal panico. Ma nonostante il bacio di prima, la mia mente si illuminò come una lampadina e il ricordo di lui e Valentina che si baciavano fu come una pugnalata allo stomaco.
«Non devi andare dalla tua ragazza?» dissi nel modo più sprezzante possibile, non sopportavo l'idea che lui fosse di qualcun'altra, lo volevo tutto per me.
Sospirò pesantemente e si avvicinò a me, d'istinto feci due passi indietro, se pensava che con due baci poteva farsi perdonare si sbagliava di grosso.
«Non ho una ragazza» mi implorò con gli occhi di crederlo.
«E Valentina?» gli chiesi, esausta di questo nostro tira e molla.
Quando discutevamo ci urlavamo contro le parole più brutte che ci venivano in mente, e uno dei due se ne andava, senza possibilità di chiarire.
Troppo testardi per ammettere i nostri errori, troppo orgogliosi per chiedere scusa. Siamo come il nero e il bianco, l'estate e l'inverno, il sole e la pioggia, così diversi eppure così simili. Siamo due opposti che si attraggono, uno la parte mancante dell'altro. O forse è quello che pensavo, ma il tempo mi farà capire quanto io mi stia sbagliando.
«Non provo niente per lei, non l'amo. Quando sono con lei spesso mi vieni in mente tu, in ogni suo gesto mi chiedo che cosa faresti tu. Tutto questo tempo separati mi ha fatto capire quanto io ti desidero, voglio solo te Ali, nessun'altra. Nessuno è in grado di capirmi come sai fare tu, basta un tuo sorriso per farmi ridere, una tua parola per farmi star bene e un tuo bacio per arrivare in paradiso. Non ti prometto l'amore eterno, il 'per sempre', sai che non ci credo a queste cose , ma posso prometterti che ti amerò ogni giorno della mia vita, costantemente, e ci sarò finchè tu mi vorrai.» concluse, prendendomi la mano. Mi guardava con la paura negli occhi, consapevole che se quelle parole non fossero state abbastanza mi avrebbe perso per sempre. Paura che quello che avesse detto mi avrebbe scosso non poco e inizia a vedere un'ombra che si dipingeva sul suo viso, la paura di aver perso.
«Permettimi di darti tutto me stesso» interruppe il silenzio che si era creato.
Lo guardai sperando che riuscisse a leggere la confusione nei miei occhi e la paura per tutto quello che mi stava inaspettatamente capitando. Lo stomaco che mi si attorcigliava, il senso di nausea che sentivo, erano tutti segnali forti di quello che stava accadendo, non avevo più nessun dubbio, dopo il test tutto mi era crollato sulle spalle, il peso della responsabilità. Dovevo solo accettare la dura realtà. Nascondevo un segreto, uno di quello che possono cambiarti la vita, e avrei dovuto parlargliene. Dovevo dirgli tutta la verità, adesso, e invece soppressi tutto il dolore dentro di me e gli sorrisi.
«Farò del mio meglio per renderti felice, non sarà facile, ma promettimi che non mi lascerai mai qualunque cosa accada» conclusi, sperando davvero che lui possa mantenere la promessa. «Promesso» disse, con la mano sul cuore.
Sorrisi e mi gettai tra le sue braccia, fregandomene di essere nel bel mezzo del corridoio e d'infrangere le regole.
Restammo lì per qualche minuto, inconsapevoli delle occhiatacce che ci rivolgevano gli alunni che passavano, soprattutto le alunne.
Così ci dirigemmo verso la mia classe inconsapevoli di quello che mi aspettava.
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La solitudine incontrò l'amore
Short StoryAlice era una ragazza come le altre. La solita ragazza con semplici occhi marroni ma che al suo interno nascondevano sofferenze e paura. Paura di vivere, paura di innamorarsi ancora, paura di rimanere sola. Passava le giornate sui libri, a leggere...