Ecco, il segreto che tanto custodivo gelosamente era venuto fuori. Il cuore sembrava più leggero, il macigno che per mesi mi attanagliava lo stomaco si era sciolto. Mi sentii sollevata.
Ma lo sguardo di Edoardo, sconvolto e impaurito, mi provocava timore.
Mi guardava come si guarda una persona pazza, fuori di testa.
«Ali..cosa stai dicendo» disse Edoardo, guardandomi come se mi vedesse per la prima volta.
«Quello che ho appena detto» sussurrai, incapace di pronunciare nuovamente quella frase così sofferta.
«Hai la febbre» disse prendendomi il viso tra le mani e portando le sue labbra alla mia fronte.
Cercava di dare la colpa alla febbre per la mia delirante confessione.
Lui non mi credeva.
Mi liberai dalla sua presa e mi tirai le coperte fin sopra la testa, per nascondermi, nascondere l'enorme errore che ero. Chiusi gli occhi impedendomi di piangere, di mostrarmi debole.
Ma non ci riuscii, e le lacrime rigarono il mio viso arrivando fino agli angoli della bocca, ormai abituati al loro sapore salato.
Pensavo che lui avrebbe capito.
Pensavo che lui potesse aiutarmi.
E fino a quel momento non capii che non bisogna mai e poi mai fare affidamento sugli altri.
Dovevo rialzarmi da sola, non avevo nessuna mano tesa che mi aiutasse, eravamo solo io e il mio bambino.
Quel bambino indesiderato, quella distrazione, frutto di un'amore sbagliato.
Ma non l'avrei mai dato via, non avrei mai abortito. Sono contro queste cose, non potrei mai privarlo della vita.
Sono ancora troppo giovane, troppo inesperta ma col tempo imparerò. Mi prenderò cura del mio bambino e gli darò tutto l'amore che i miei genitori non sono riusciti a darmi.
Forse non ne sono stati capaci, è così difficile essere genitori. Ma non ce l'ho con loro, sono fiera di come mi hanno cresciuta, sono fiera di loro. Con tutto quello che abbiamo passato sono stati i genitori migliori del mondo, e non li cambierei per nessuna cosa al mondo.
«Ali..guardami» la voce flebile di Edoardo mi riscosse dai miei pensieri.
Cercò di togliermi le coperte dal viso ma mi opposi. Non volevo che mi vedesse in quello stato, non volevo mostrargli la ragazza distrutta che ero.
Ma lui non si arrese e insistette fin quando riuscì a buttare via le coperte e a scoprirmi.
Le coperte caddero per terra, adagiandosi, senza alcun rumore.
Il mio cuore, al contrario, si ruppe in mille pezzi.
Mi nascosi il viso tra le mani, cercando di nascondermi il più possibile.
Se potessi sparire l'avrei fatto con piacere.
Edoardo cercò di togliere via anche le mie mani, questa volta con più delicatezza. Ma io non accennai a muoverle di un millimetro, avevo paura a mostrargli le mie debolezze, le mie paure.
«Guardami..» disse ad un soffio da me.
I nostri visi così vicini, separati solo dalle mie piccole mani.
Mi prese le mani e le accarezzò, cercando di allontanarle dal mio viso dove erano rimaste impresse.
Ti prego..sussurrò e così mi abbandonai a lui, alle sue mani grandi e forti che racchiusero le mie, e delicatamente le portò sulla sua gamba.
Lo guardai, impaurita dalla sua espressione indecifrabile, incapace di comprenderla.
Lo guardai con la paura riflessa nei suoi occhi, la stessa che sentivo anche io.
Portò la sua mano sul mio viso, mi accarezzò, un piccolo gesto che mi fece sciogliere il cuore. La sua espressione si addolcì e contrasse le labbra, accennando un piccolo sorriso.
Fece del suo meglio, gli costò uno sforzo enorme, e lo ringrazia accennando a mia volta un sorriso.
Lo sapevamo entrambi che era un sorriso di circostanza, consapevoli di star prendendo tempo per tutte le parole che dovremmo dire, e che invece stavamo soffocando.
Era sul punto di dire qualcosa, di liberarsi da quel groppo in gola, quando una musica riempì la stanza. Non era una semplice musica, mi accorsi che era la suoneria del mio cellulare.
Lasciai che la musica continuasse, i miei occhi intrappolati in quelli di lui, senza possibilità di uscita.
Restammo a fissarci senza parlare, con la musica che riempiva quel vuoto fatto di parole non dette.
All'improvviso la musica cessò e la stanza venne avvolta nuovamente dal silenzio.
«Non rispondi?» mi chiese, spezzando il silenzio, con le parole sbagliate che sostituirono quelle giuste.
Riuscii a sussurrare un flebile no, appena udibile. Non erano queste le parole che mi aspettavo.
«Dovresti. E se fosse...» cominciò Edoardo ma lo interruppi.
«Ti sembra importante adesso? In questo momento?» dissi ritrovando la voce.
Non me ne importava nulla di una stupida chiamata, chiunque fosse avrebbe potuto richiamare.
La conversazione tra me ed Edoardo era più importante e non avremmo avuto un altra occasione per parlarne.
«Hai ragione.» disse, abbassando lo sguardo.
Restai in silenzio, aspettando che dicesse qualcosa. I minuti passavano e i rintocchi dell'orologio erano snervanti. Eravamo così impacciati, impreparati ad una simile situazione. Nessuno dei due si aspettava che succedesse una cosa del genere, era un pensiero inimmaginabile alla nostra età.
Abbassai lo sguardo sulle lenzuola, di un bianco candido, puro. Erano così soffici, così delicate mentre io ero cosí sbagliata ed ero affilata come il vetro.
Ferivo tutto quello che incontravo, in profondità e rovinavo la vita delle persone.
Pensai che le persone che mi hanno incontrato starebbero meglio se non mi avessero mai conosciuta. Come Edoardo. Adesso non si troverebbe a dover fare i conti con una ragazza delirante che nel suo grembo porta un bambino.
«A quanti mesi...?» mi chiese, spezzando finalmente il silenzio.
«Due.» risposi, strofinando le lenzuola con le mani, nervosa.
«Perchè non me l'hai detto?» mi chiese, il suo sguardo su di me.
«Avevo paura..» incontrai i suoi occhi, implorandolo di aiutarmi a superare tutto questo, non potevo riuscirci da sola.
Per quanto mi costasse ammetterlo avevo bisogno di qualcuno al mio fianco, una figura solida, che mi avrebbe presa fra le braccia se avessi rischiato di rompermi.
Qualcuno su cui poter contare, che sarebbe rimasto nonostante tutti i miei sbagli.
Qualcuno che non mi facesse soffrire.
Qualcuno che mi avrebbe amata.
I suoi occhi incastrati nei miei, le mille parole che si attaccavano al palato, opponendosi nel venir fuori. I mille dubbi su quello che sarebbe successo.
Edoardo mi prese le mani fra le sue, e se le rigirò, con un gesto lento.
«Di cosa?» mi chiese, riportando il suo sguardo su di me.
«Di quello che succederà, di quello che sento, delle conseguenze che ci saranno. Di questo..» risposi allontanando le sue mani dalle mie.
In quel momento mi risultava difficile toccarlo, il contatto con la sua pelle mi provocava delle sensazioni contrastanti, e non era piacevole.
Feci per alzarmi ma lui si protese verso di me e non mi lasciò andare. Sbattei contro il suo petto e sentii le sue braccia che mi stringevano, che mi riparavano da questa tempesta.
Il mio rifugio, la mia protezione.
E mai come prima d'ora mi sentii tanto persa, e non riuscii più a controllarmi. Piansi tra le sue braccia tutta la disperazione che sentivo, tutto il dolore che riuscivo a provare. Lui mi lasciò sfogare, ad ogni singhiozzo mi stringeva sempre più forte, accarezzandomi i capelli.
Passarono i minuti e quando mi calmai , e il mio respiro si fece regolare, sciolse l'abbraccio. Mi porse un fazzoletto e lo ringrazia, asciugandomi il viso. Il fazzoletto assorbì tutte le mie lacrime, facendole scomparire.
«Ti senti meglio?» mi chiese dolcemente.
Accennai un debole sì e mi protesi verso di lui, rifugiando il volto sul suo petto. Lì mi sentivo al sicuro.
«Mi dispiace di aver reagito in quel modo» mi sussurrò all'orecchio.
«Non hai niente di cui scusarti» sussurrai con voce roca.
«Si invece. Non avrei dovuto guardarti come se fossi pazza, avrei solo dovuto abbracciarti e dirti che andrà tutto bene» mi disse, accarezzandomi i capelli.
«E io avrei dovuto dirtelo prima» sussurrai.
Eravamo due disastri, ma insieme ne formavamo uno solo, unico e incomparabile.
«È suo?» mi chiese d'un tratto.
Non disse il suo nome ma capii all'istante a chi si riferiva. Era una ferita aperta, non ancora rimarginata.
«Io..non lo so..» sussurrai con lo sguardo rivolto sulla mia pancia.
L'accarezzai piano, chiedendomi per quale assurdo motivo potesse contenere una creatura, un altro essere umano così piccolo e fragile.
D'un tratto alzai lo sguardo incrociando quello di Edoardo che mi fissava preoccupato e capii che la risposta era tanto semplice quanto difficile. Per quanto sperassi di sbagliarmi sapevo benissimo di chi fosse quel bambino, non ero stata con nessun altro: era del ragazzo di cui mi ero disperatamente innamorata. Nonostante mi convincessi del contrario, illudendomi di sfuggire al passato, lui era proprio lì che bussava imperterrito alla mia porta pretendendo che lo lasciassi entrare.
Così mi feci coraggio e diedi la risposta che da mesi mi tormentava.
«Si..è di...Cristian» dissi il suo nome in un sussurro a malapena udibile ma la stanza era terribilmente silenziosa e l'eco della mia voce spezzò il silenzio.
Mi passarono davanti agli occhi immagini di lui, come un flashback di ricordi passati. Come quando ti trovi davanti alla morte e in quel preciso momento rivivi la vita a ritroso, i ricordi che ti passano davanti, velocemente, per poi scomparire subito dopo. Ecco, in quel momento mi sentii così, come se stessi per morire.
Il cellulare squillò per la seconda volta e decisi ad alzarmi e vedere chi era che disturbava quel momento importante. Vidi il suo nome lampeggiare sullo schermo e la stanza cominciò a girare. Mi tenni vicino al comodino per non cadere e mi ritrovai immediatamente Edoardo accanto a me. Mi sorrise, come a dire, 'io sono qui accanto a te' ma quando entrambi guardammo la chiamata anche il suo sorriso scomparve.
Sullo schermo lampeggiava Cristian.ANGOLO AUTRICE
È la prima volta che faccio uno spazio dove scrivo qualcosa e quindi non so nemmeno io da dove iniziare.
Innanzitutto volevo ringraziare tutte quelle persone che hanno iniziato a leggere la storia, non pensavo fossero così tante, e sapere che trovate un momento nella vostra giornata per leggere la mia storia mi fa davvero piacere.
Volevo anche dire che leggo tutti i commenti che lasciate, anche in ritardo ma lo faccio, e che mi dispiace aggiornare sempre così tardi lasciando la storia in sospeso. Mi dispiace, faccio il possibile ma tra gli impegni di scuola e quelli extra scolastici, oltre che la mancanza d'ispirazione, mi è impossibile aggiornare in modo costante.
Ma m'impegnerò, non mi va di lasciare la storia a metà e con un po' di fatica riuscirò ad aggiornare.
Vi ringrazio ancora.
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La solitudine incontrò l'amore
Cerita PendekAlice era una ragazza come le altre. La solita ragazza con semplici occhi marroni ma che al suo interno nascondevano sofferenze e paura. Paura di vivere, paura di innamorarsi ancora, paura di rimanere sola. Passava le giornate sui libri, a leggere...