Capitolo 24: l'Orologiaio

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L'Orologiaio

Era seduta e incatenata a quella sedia con delle corde, spaventata come una foglia. Il suo corpo mi invogliava, mi incitava a toccarla, ma avevo un piano. Lei iniziò a riprendere del tutto i sensi. Si iniziò a dimenare e urlare. Dio mio, solo io sapevo quanto mi faceva impazzire.

"Cosa cazzo vuoi?!" Mi urlò contro con quello sguardo arrabbiato ma che aveva un che di seducente.

Afferrai un coltello e mi avvicinai a lei.
La mia maschera aveva segnate le lancette dell'orologio, il mio simbolo. Lei non poteva vedermi e neanche sentirmi, grazie ad un modificatore della voce.
Lei era dannatamente spaventata quanto attraente, la mia ragazza dai boccoli scuri. Glieli accarezzai con la lama del coltello mentre tremava. Feci scorrere una ciocca tra le mie dita e poi, all'improvviso e con un gesto secco, le tagliai una ciocca. Cadde tra le mie mani. Perfetta e, soprattutto, mia. Uscii dalla stanza, attuai il mio piano e tornai da lei.

"Voglio prima di tutto che sblocchi il telefono." Le dissi con un tono gelido e meccanico.

"Mai!" Testarda, dovevo ammetterlo.

Presi il coltello e con esso le accarezzai il viso, lasciandole una piccola striscia lungo il collo, a malapena visibile. Lei sopportò, immobile e consapevole del fatto che se si fosse minimamente mossa il taglio sarebbe stato più profondo. Era pazza: perché, mentre mi guardava, nei suoi occhi non traspariva un minimo di paura. Erano elettrizzati dall'adrenalina e da quello sguardo di sfida, che prima o poi sarebbe stato la sua rovina.

"Mi vuoi morta?" Il suo tono si fece più profondo e freddo. "Mi avresti già ucciso in quel caso." Sorrise compiaciuta. "Tu per qualche motivo insano mi vuoi viva e senza alcun graffio." Disse saccente sorridendo in modo spietato. "Quindi dimmi cosa vuoi da me?"

"Apri questo cazzo di telefono o te ne pentirai." Sibilai al limite della pazienza mentre un istinto macabro e omicida si insinuò nelle mie vene.

"Neanche morta." Me lo aspettavo. Presi il coltello e mi avvicinai a lei, che sorrideva. Le guardai il braccio e iniziai a disegnarle delle linee con esso, trafiggendole la pelle bianca come il latte. Lei si trattenne dall'urlare.      

"Sei mia." Lessi ad alta voce ciò che le avevo scritto, mentre il suo braccio sanguinava. Con una mano, avvolta da un guanto, le toccai la ferita, macchiandomi. Mi girai. Poi, con una estrema lentezza e ossessione, la portai alla mia bocca, assaporandomi il suo sangue. Squisito.

Non dissi niente, mi risistemai la maschera ed uscii dalla stanza dove l'avevo rinchiusa. Poverina la mia ragazza. Iniziò a provare a liberarsi, povera illusa. Ora però dovevo concentrarmi e controllare se il mio piano aveva funzionato: avevo mandato un biglietto a Andras nel quale lo minacciavo di cambiare paese. Guardai le telecamere puntate sul cancello di casa della famiglia di Penny, quelle puntate sull'entrata all'aeroporto, e molte altre. Tutto stava andando secondo i piani. Tutto stava procedendo perfettamente, seguendo il mio schema, il mio piano. E se prima avevo fatto qualche errore ora ero certo che sarebbe stata mia, solo mia. Ora ero certo che chi se lo meritava avrebbe sofferto. Io avevo il potere e il controllo di tutto. Vidi Andras scappare via di casa velocemente, perfetto.

Ora avrei lasciato libera Penny, mancava solo un piccolo pezzo per completare il puzzle. Ora era giunto il momento di vendicarsi di ciò che avevo subito.

Penny

Esaminai la stanza con estrema cura, senza notare nulla che mi facesse capire dove mi trovassi. Avevo paura? No. Però avevo male, davvero molto male al braccio, tanto da farmi girare la testa. Vidi l'Orologiaio tornare da me. Sembrava felice, molto felice. Troppo per i miei gusti. Era successo qualcosa di piacevole per lui e di conseguenza brutto per me.

"Andras è morto." Scoppiò a ridere soddisfatto.

Persi un battito. Non era vero, non poteva essere vero. Mi provai a dimenare nella sedia dove mi aveva legata, senza risultati. Il cuore mi iniziò a battere all'improvviso. Troppo forte. Velocemente. Il respiro affannato. La mia vita sembrò fermarsi insieme al tempo.

"Bello perdere qualcuno vero?" Prese il coltello e si avvicinò a me. "La mia bambina." Rabbrividii. Passo il coltello lungo il mio corpo.

"Tu non sai niente di me." Gli sibilai. "Non sai cosa vuol dire amare."

Fece più pressione con il coltello. "Allora la tua vita può finire anche adesso." Mi mise la punta affilata del coltello contro la fronte. "Il tuo ultimo desiderio?"

Rimasi ferma, ancora la notizia della morte di Andras mi devastava. Era vera? Non avrei potuto sopportarlo.

"Tic toc Penny." Sentii il suo respiro farsi più pesante e affannato. "Tempo scaduto." Mi accarezzò in modo inquietante i capelli. "Tre" Contò. "Due."

Ti prego fa che Andras stia bene. Se lui è morto non ha senso vivere. Preferisco morire.

"Uno." Tintinnò con la voce e la mano gli tremò.

A quel punto capii tutto. No, era tutto un piano per farmi paura. Non mi avrebbe ucciso come non aveva ucciso davvero Andras. Quella era solo una tortura psicologica.

Scoppiai a ridergli in faccia e a sorridere. Gli stavo facendo... paura? Dopotutto solo io potevo comportarmi così con un coltello puntato alla testa.

"Scoprirò chi sei." Risi in modo malsano. "E ti prometto che ti strapperò il cuore senza alcun rimorso."

"Zero." Finì il conto alla rovescia.

Subito la porta si spalancò e comparve Filippo con il respiro affannato. Ci guardò e capì la situazione. I suoi occhi si spalancarono dalla paura.

Subito l'Orologiaio scappò via e Filippo mi raggiunse subito tremando. Mi slegò e mi guardò il braccio insanguinato.

"Cazzo Penny!" Urlò. "Ma cosa cazzo è successo?!" 

"Andras!" Urlai. "Dove cazzo è?!" Non mi reggevo in piedi.

"Penny mi vuoi dire cosa cazzo ti prende?!" Mi guardò confuso. "Ti hanno appena aggredita e non so cos'altro e tu ti preoccupi di un altro!"

"Lasciami!" Gli urlai contro inferocita. Inizai a correre all ricerca di Andras. La testa mi vorticava, il suolo sembrava muoversi e stavo perdendo sangue. Mi immischiai alla folla.

"Andras!" Urlai. "Sei qui?!" Corsi sempre più forte. "Andras!" Continuai ad urlare. La gente non si accorgeva di me, era concentrata sulla festa. Era il caos più totale. Scoppiai a piangere, non mi reggevo in piedi. "Andras!" 

Persi l'equilibrio ma qualcuno mi afferrò al volo: Tommy.

"Penny cosa cazzo sta succedendo?!"

Tutto si fece buio e svenni tra le sue braccia.

A quel punto capii, quello non era la fine dell'Inferno, ma solamente l'inizio.

 MASCHERADove le storie prendono vita. Scoprilo ora