Capitolo 13: giochi con il cibo

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La Ferrari rossa sfrecciava veloce come un razzo nella notte. Il buio era calato su di noi, avvolgendo i nostri corpi e le nostre anime.

Lei stava guardando la luna mentre io guardavo lei, desiderando di vederla felice prima o poi. Non avrei sopportato che lei soffrisse un'altra volta, che versasse un'altra lacrima.

Mi dispiaceva davvero tanto di quello che avevo fatto. Non mi ero fidato di lei. Ma come potevo dopo quello che era successo con Serena? Il cuore perse un battito. Amavo Serena più che mai. Allora avevo solo quattordici anni. Mi ricordo come se fosse ora la prima volta che la vidi. Era la mia vicina di banco il primo giorno si scuola superiore. Il suo visò illuminò la mia mente: i capelli lunghi color grano e gli occhi blu zaffiro. La sua bellezza era angelica, delicata come petali di rosa, fragile come un bicchiere di cristallo. Amava i colori pastello, in particolare il rosa. la sua stanza era una tavolozza di colori di ogni tipo, che le facevano risaltare l'anima. A quei tempi avrei voluto che lei amasse me e solamente me. Ci eravamo messi insieme e per me era come un sogno. Eppure non tutti i sogni diventano realtà, e il nostro, nonostante provasse ad aggrapparsi ai vetri, scivolava sempre più giù fino a sprofondare nell'oblio.

Guardai Penelope fantasticando su come sarebbe stato bella sentirla urlare il mio nome. Mi aggrappai come un polpo alla sua coscia mentre la sentivo ansimare per il mio tocco. Me lo fece diventare duro. Faceva sempre così e la cosa era sia fastidiosa che eccitante. Pensai a quanto era bella, imparagonabile alla bellezza di Serena. Serena era un'amante della vita, della natura e del sole. Penny, invece era la notte, le tenebre e allo stesso tempo una stella. Il fascino di Serena era infantile, solare come il cielo in estate, Penny, invece, aveva un fascino travolgente come un uragano, una bufera, un tuono. Serena era pace e lei il caos. Mi divorava l'anima grazie alla sua bellezza disarmante. Era di una bellezza brutale la sua, annientante, che con uno sguardo catturava tutte le attenzioni su di sé. Era una calamita per gli uomini, una manipolatrice narcisista borderline ma allo stesso ti portava in paradiso. Lei era crudele perchè te lo faceva assaggiare, ti faceva sentire il suo sapore e odore per poi togliertelo all'improvviso senza dirti il perchè. Era una droga, irresistibile e allo stesso tempo corrosiva. Mi corrodeva il cuore e l'anima ma, non so come, mi faceva impazzire e desiderare di volerne ancora, sempre di più. Il suo sguardo non era innocente e puro come quello di Serena, ma dentro di esso si vedeva il disordine, il caos, il dolore lancinante e brutale che si celava dietro a quei roghi di spine che portava negli occhi smeraldo. Un dolore simile al mio. Era la mia versione femminile ed era questo che mi faceva più paura, che me la faceva odiare di più. Lei era il mio punto debole, la mia unica fragilità e avrei fatto di tutto per estirparla dal mio cuore, ma ormai era troppo tardi. Era un angelo, uno di quelli maledetti, dalle ali spezzate. L'avrei guarita e le avrei ricucito le ali pur di pungermi con l'ago, pur di sanguinare fino a morire. Perchè l'unica cosa di cui mi importava era quella di vederla brillare come una stella nella notte. Era la luce nelle tenebre, eppure era anche le tenebre stesse. Il suo sguardo, perlato e da una perfezione infuocante, avrebbe illuminato le mie notti buie di tempesta e io l'avrei sempre protetta, fino all'ultimo respiro.

Fermai la macchina davanti alla casa dove abitavo prima di diventare ricco. Era una casetta davvero piccola da cento metri quadrati e un solo letto matrimoniale.

"Domani ti porto in un posto." Le dissi mentre provavo a resistere al suo profumo.

"E dove?" Era davvero curiosa.

"Lo scoprirai." Le accarezzai le curve con delicatezza.

"E ora cosa facciamo?" Mi chiese incrociando le braccia al petto.

"Ceniamo." Lei fece una faccia disgustata. "Avevo preso delle cose al bar prima di vedere mentre tornavo a casa te e Stefano.

"Sì, proprio una casualità." Solo allora mi ricordai che lei sapeva tutto. "E, aggiungo, non ho intenzione di mangiare. Che ti sia chiaro."

"No, tu mangi." Mi impuntai.

"No, io voglio giocare." Aggrottai la fronte per un istante e poi quell'idea iniziò ad eccitarmi più del dovuto.

"E a cosa vuoi giocare piccola?" Mi avvicinai a lei come un predatore mentre lei indietreggiava fino ad inciampare sul letto e caderci dentro. Presi una benda e le tappai gli occhi. Stranamente stette zitta per qualche secondo.

"Ora io ti farò toccare un cibo e tu dovrai indovinare quale. Se non lo indovinerai te lo farò mangiare a modo mio." Lei annuì facendo fatica ad ingoiare la saliva. "Non puoi assaggiare il cibo per capire di cosa si tratta." Aggiunsi mentre le riponevo tra le mani una caramella gommosa.

"Una caramella." Disse lei con voce trionfante.

"A che gusto?" Si bloccò con i muscoli tesi.

"Non lo so." Disse tremante. Era così bello metterla in soggezione. Mi faceva sentire il potere scorrere nelle vene. Amavo esercitare il mio potere su di lei, sapere che mi apparteneva.

"Alla ciliegia." Le dissi scoprendo la benda da quegli occhi felini e irresistibili.

Lei mi guardò. Era tornato il suo lato incantatore. "E ora cosa farai Andras, eh?" Mi provocò trascinandomi nel letto e mettendosi a cavalcioni su di me.

"Per ora nulla in confronto a quello che ti farò dopo." La vidi rabbrividire. Avrei vinto io quel gioco.

Presi la caramella e me la misi in bocca. "Vieni ad assaggiare la tua caramella preferita, piccola." Afferrai la sua vita e la portai al mio petto, baciandola. Divorai le sue labbra carnose, che unite al sapore del succo della caramella, mi mandavano in estasi. La mia erezione peggiorò.

Finito il bacio le riposi la benda sugli occhi. Presi un bombolone, sorridendo maliziosamente e glielo misi tra le dita lunghe e sottili.

Arricciò il naso stranita. "Cos'è? Un pallone sgonfio?"

Riuscii a stento a trattenere una risata, ma poi il mio sguardo tornò sul suo corpo sinuoso, ancora purtroppo coperto dai vestiti. "Lo sai o non lo sai gattina?"

"Io-io-io." Balbettò mangiandosi le parole mentre si mordeva il labbro. "Non lo sò." Buttò fuori tutto di un fiato.

Le tolsi la benda e mi buttai nel letto su di lei. Fece fatica a respirare e incominciò ad ansimare.

"Come devo mangiare...quello?" Indicò il bombolone.

"Lo scoprirai molto presto gattina." Le slacciai in un gesto scattante e rapido la cerniera del vestito lasciandola con la biancheria intima. Svelta si coprì con le mani ma io gliele posizionai sopra la testa, bloccate sotto la mia presa ferrea. "Molto presto."

 MASCHERADove le storie prendono vita. Scoprilo ora