Capitolo 1.

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*Sto correndo in una strada di Manhattan dove trovo un via vai di persone incredibile. Dietro di me un uomo mi sta inseguendo. Salto una cassa di verdure e continuo la mia corsa fino a quando non giro all'angolo di un vicolo e mi fermo di botto. Davanti a me una ragazza dai capelli biondo cenere mi fissa confusa. Indossa una divisa scozzese azzurra e bianca composta da gonna fino alle ginocchia e una camicia bianca con cravatta scozzese. "Sarà una studentessa di queste parti" penso tra me e me. Mi riscuoto appena sento una presa al braccio.
-Ti ho presa- sussurra l'uomo. Mi volto tirandogli un pugno in faccia e riprendo a correre. Sono qua da un mese e già sono nei casini, non immagino tra un anno allora. Dopo qualche minuto arrivo in una piazza piena di negozi e decido di nascondermi in uno di questi. Sospiro quando mi accorgo di aver seminato il mio inseguitore. Esco dal mio nascondiglio e all'improvviso tutto si fa nero.*

-Amy alzati è tardi!-
Mi sveglio di colpo sentendo mia madre urlare dalla porta del bagno, e per questo non mi accorgo di essere sul bordo del letto. Faccio una sonora caduta e come se non bastasse, quando provo ad alzarmi inciampo nelle lenzuola e ricado di nuovo.
Impreco sotto voce e mi alzo cautamente, non volendo rischiare un'altra caduta. Quel sogno mi ha stordita per bene, non ricordo nemmeno l'ultima volta che l'ho fatto. È settembre e oggi è il mio primo giorno di scuola. Io odio la suola. Tutte persone finte, nessuno si preoccupa per gli altri, tutti si preoccupano solo di loro stessi. Gli insegnanti poi non oso immaginare come saranno. Vado in bagno a prepararmi e dopo quindici minuti sono pronta. Mi guardo allo specchio un po' contrariata dalla divisa che indosso. La gonna arriva fino alle ginocchia e lascia le gambe in bella vista fino a metá polpaccio. Calzo degli stivaletti bianchi come la camicia e i miei capelli rosso fuoco ricadono fino a metà schiena. Sono Amy Flatcher, ho diciassette anni, e non sono pronta psicologicamente alla scuola. Io e mia madre ci siamo trasferite a New York perché mio padre, ingegnere di fama, è riuscito ad avere lavoro stabile per entrambi e a trovare un'abitazione confortevole. Ho lasciato tutto quello che avevo in Australia e non so ancora se ne senta la mancanza o meno.
-Mamma perché devo mettere la gonna? Non posso andare in jeans?- chiedo scocciata. Odio le gonne. Mi fanno sentire nuda, vulnerabile e danno accesso al mio corpo facilmente. Scendo le scale con lo zaino in spalla e mi dirigo all'ingresso. Mia madre, come risposta alla mia precedente domanda, sospira. La guardo di sottecchi ed esco. Metto le cuffie e faccio partire "stronger" di Kelly Clarkson, raggiungo la fermata dell'autobus e aspetto che passi.
• • •
Sono le 7:50 ed io sto parlando con la preside Grimmer. Dopo che mi consegna un foglio con gli orari delle lezioni, uno con la piantina della scuola e uno con i nomi dei prof e le materie che insegnano, mi invita ad andare in classe. Mi congedo con un "grazie" e mi dirigo verso la mia nuova classe. "Che rottura" penso. Entro nella 4L e noto che ci sono solo 10 alunni: tre ragazze e sette maschi. Li ignoro completamente e mi siedo nel primo banco della terza fila, vicino la finestra. Guardo fuori e passo gli ultimi cinque minuti prima della lezione ad ascoltare "Who are you" delle Fifth Harmony e "Good Girls" dei Five Second Of Summer. Contemplo i miei anelli e bracciali finchè non sento un suono lontano e stridulo. Alzo gli occhi e vedo il resto degli alunni entrare: c'é chi ride, chi parla, chi ha il fiatone perché probabilmente stava facendo tardi. Noto in particolare una ragazza biondo cenere seduta nella fila difronte alla mia. Non riesco a guardarla in faccia molto bene ma poco importa. New York è grande non puó essere la ragazza di quel giorno. Ma anche se fosse che importa. Mi accorgo solo ora peró di un dettaglio che prima non avevo calcolato. Indosso la sua stessa divisa.
I miei pensieri vengono interrotti quando il professore entra in classe. Tolgo le cuffie e inizio a tirare fuori il materiale dallo zaino. Dopo circa un quarto d'ora passato a chiedere come sono andate le vacane, il prof. Tummoni chiama il mio nome. Dico semplicemente "Presente" e lui rimane sorpreso. Non c'é scritto da nessuna parte che debba essere carina e gentile, ma sopratutto allegra e sorridente.
<Ragazzi e ragazze lei è Amy Flatcher, si é trasferita da poco qui a New York e da oggi frequenterà la nostra scuola. Mi raccomando comportatevi bene> annuncia col suo vocione. Mi fa pensare agli uomini che cantano lirica e per questo non mi terrorizza. Con la coda dell'occhio noto che tutti mi guardano in modo curioso, ma io faccio finta di nulla. Dopo tre ore e mezza la scuola finisce, dato che usciamo prima essendo il primo giorno. Vengo fermata all'uscita della classe dalla ragazza dai capelli biondo cenere, e quando mi raggiunge riesco a guardarla finalmente in viso. È la stessa dell'altra volta.
~Io ti conosco, sei la ragazza dell'altra volta~ afferma sicura.
A quelle parole inarco un sopracciglio. È poco più alta di me e noto che ha due occhi neri e profondi, tanto da sembrare due macchie di petrolio.
-Non mi conosci affatto- rispondo fredda. Mi volto per andarmene ma sento la sua mano sul mio polso. Abilmente lo ritraggo ancor prima che possa stringere la presa. La guardo freddamente e lei mi guarda in modo strano. Ma per "strano" intendo che non capisco per nulla cosa stia pensando ora. Ne approfitto per andarmene lasciandola li sola. Metto le cuffie e faccio partire la musica in casuale. "Open your eyes" di Bea Miller inizia a risuonare nelle mie orecchie, sovrastando tutto. Quando arrivo a casa non trovo nessuno. "Come al solito" mi dico. Salgo le scale e dopo aver appoggiato lo zaino per terra mi butto sul letto. Chiudo gli occhi e quei pozzi neri di occhi mi appaiono nella mente. Cosa aveva da guardarmi cosi? Manco fossi un rompicapo. Mi addormento dopo dieci minuti cullata dalla musica, con in mente ancora il suo sguardo.

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