Capitolo 13

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Le ragazze lavorano senza rivolgere una parola né uno sguardo nella mia direzione, comunicando tra di loro con sussurri e gesti che mi escludono completamente. Provo a concentrarmi sui miei compiti, ma i pensieri continuano a tornare alla lite con Anderson e alle parole di Isabel e Rachel.

Quando finalmente la sessione di prove termina, mi avvicino a loro, sperando di poter chiarire le cose. "Rachel, Isabel, per favore, parliamo," dico, il tono della mia voce che tradisce tutta la mia ansia.

Si voltano lentamente verso di me, i loro volti ancora rigidi. "Nicole, non adesso," dice Rachel con un sospiro pesante.

"Abbiamo bisogno di tempo per digerire tutto questo.""Sì, abbiamo bisogno di riflettere," aggiunge Isabel, incrociando le braccia sul petto. "Non è facile accettare che ci hai tenuto nascosto qualcosa di così importante."

"Sono davvero dispiaciuta," dico, la mia voce quasi un sussurro. "Non era mia intenzione farvi sentire così. Volevo solo proteggervi."

"Proteggerci? O proteggere te stessa?" ribatte Rachel, il suo tono tagliente.Le parole mi colpiscono come un pugno nello stomaco.

"Ok io non volevo farvi del male," dico, cercando di trattenere le lacrime.

"Lo sappiamo," dice Isabel, il suo tono leggermente più morbido. "Ma questo non cambia il fatto che ci hai mentito. Dobbiamo capire come gestirla."

Annuisco, accettando la loro decisione. "Vi lascerò il tempo di cui avete bisogno," dico, sentendomi impotente e tristissima.

Si allontanano senza aggiungere altro, lasciandomi sola nel teatro vuoto. Mi siedo su una sedia, il peso della giornata che mi schiaccia. La luce che filtra dalle finestre si affievolisce, e io resto lì, persa nei miei pensieri.

Mentre tutti si dirigono verso l'uscita, io resto indietro, chiudendo l'aula con un senso di pesantezza. L'eco dei miei passi risuona nei corridoi vuoti della scuola, mentre mi avvio verso l'uscita.

Prendo il telefono e scrivo un messaggio a Simon, dicendogli che tornerò a casa a piedi e che quindi non sarò sugli spalti. La risposta arriva subito, con una semplice: "Ok, ci vediamo dopo." Un sospiro mi sfugge dalle labbra, un misto di sollievo e rassegnazione.

Mi incammino verso la fermata dell'autobus, ogni passo un misto di frustrazione e dolore. Metto le cuffie e faccio partire una playlist a caso, sperando che la musica riesca a distrarmi dai miei pensieri. Le note riempiono le mie orecchie, ma non riescono a coprire il tumulto interno.

Arrivo alla fermata e aspetto l'autobus, il sole che inizia a calare dietro gli edifici, tingendo il cielo di arancione e rosa. Le persone attorno a me chiacchierano, ridono, vivono le loro vite, mentre io mi sento isolata in una bolla di tristezza. Quando finalmente arriva, salgo e cerco un posto vicino al finestrino. Mi siedo, appoggiando la testa al vetro, osservando il mondo scorrere fuori senza davvero vederlo. Le luci della città passano veloci, un mosaico di colori sfocati.

Mentre l'autobus si muove, non posso fare a meno di pensare a quanto tutto sia cambiato in così poco tempo.

Le immagini della lite con Anderson continuano a ripetersi nella mia mente. La sua risata beffarda, il modo in cui ha svelato il nome di Marcus, il gelo nei miei occhi mentre cercavo di cacciarlo via. E poi la delusione nei volti di Rachel e Isabel, il loro allontanarsi senza dire una parola. La musica continua a suonare, ma non riesce a sollevare il mio umore. Mi sento persa, cercando di capire come rimediare ai danni fatti, riconquistare la fiducia delle persone a cui tengo di più e come farla pagare ad Anderson, quel bambino troppo cresciuto senza cervello.

Alla fermata successiva, un gruppo di studenti sale sull'autobus, riempiendo l'aria di chiacchiere vivaci e risate. Un ragazzo con una chitarra inizia a strimpellare,btolgo le cuffie e lo ascolto per un momento. Per un attimo, mi permetto di sorridere alla sua spontaneità, ma il pensiero di quello che mi aspetta mi riporta subito alla realtà e rimetto perciò le cuffie sperando di perdermi nella musica.

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