CAPITOLO 18

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«Fratelli e sorelle sono vicini come le mani e i piedi».
PROVERBIO VIETNAMITA


Dieci anni prima


Zia Lucy è rincasata poco fa e ha portato a casa un uomo. Non lo avevo mai visto prima, non è Brad e non è neanche Liam.

È quasi ora di cena.

Sono seduta sul nostro divano rosso, la luce filtra dalle finestre e punta sul viso di lui come se fosse sotto interrogatorio, come se la sua espressione cupa potesse migliorare grazie a quel bagliore. È in piedi accanto a zia, le braccia incrociate.

Di fianco a me, Bryan osserva prima l'uomo e poi la zia che si morde il labbro inferiore.

<<Avanti, a che dobbiamo questa riunione?>> Esclama B ironico.

<< Ragazzi, vorrei presentarvi Jacob, è il mio compagno e verrà a vivere con noi>> lo dice tutto d'un fiato senza guardarci.

<<Stai scherzando vero?>> Bryan si passa una mano sul viso ricoperto di acne, diventiamo tutti così nell'adolescenza?  Io lo guardo cercando un espressione del suo viso che mi dia serenità, se lui è felice vuol dire che va tutto bene.

Incrocio le caviglie e dondolo le gambe poi guardo zia Lucy.

<<Non ha una casa?>> Domando con un filo di voce.

Zia sorride, Jacob la imita e B mi accarezza la testolina.

<<Tesoro, certo che ha una casa ma lui è il mio compagno, lo capisci? Vogliamo vivere insieme e poi, una figura maschile adulta gioverà a tutti>> mentre pronuncia quelle parole, zia si sistema la lunga gonna blu a pois bianchi.

No non lo capisco.

Io non ho bisogno di una figura maschile adulta.

Io ho Bryan.

<<Ho diciassette anni e ti ho dimostrato più di una volta che so badare a questa famiglia. Ho lasciato gli studi per dedicarmi alle officine e a voi>> la voce di mio fratello si spezza, sta piangendo.

No B, non piangere, non voglio vederti triste.

Se sei felice tu vuol dire che va tutto bene.

Zia si alza dalla poltrona e si siede a gambe incrociate sul pavimento di fronte a noi. Una mano stringe la mia e l'altra quella di Bryan.

<<Sei un gran ragazzo ma ti sei fatto carico di problemi più grandi di te. Meriti un po' di spensieratezza, potrai dividere i compiti con Jacob adesso. È un brav'uomo, dategli l'opportunità di dimostrarvelo>>

Ho gli occhi fissi su mio fratello. Cerco un sorriso, un movimento oculare, qualcosa che mi faccia capire che va bene, che va tutto bene. Non mi importa di quell'uomo, non mi importa neanche di zia in questo momento. Io voglio solo che Bryan posi i suoi occhi su di me. Ma non accade.

Con la mano libera prende un fazzoletto dalla tasca del jeans che indossa e lo usa per asciugare le lacrime.

Il fazzoletto di papà.

Un quadrato di stoffa grigia con le sue iniziali cucite nell'angolo in basso a destra.

E.C. Eric Cooper.

Jacob si alza, la sua figura è imponente, oscura quella di zia Lucy. Indossa pantaloni di lino bianchi e una polo rossa.  Avanza verso di noi e si siede di fianco a me facendomi sobbalzare.

Il suo braccio circonda le mie spalle, ha un brutto odore. Naftalina e tabacco.

<<Staremo bene, ho intenzioni serie con vostra zia e vi prometto che mi prenderò cura di voi>> mi volto verso di lui, il suo sorriso è inquietante.

Non mi piacciono le promesse.
Gli adulti non le mantengono mai.

Vorrei sorridere anche io, Bryan mi dice sempre che devo essere gentile e allegra ma non riesco a tendere i muscoli del viso.

Tutto d'un tratto, in me si scatena qualcosa. Sono irrequieta, mi fa male lo stomaco e mi viene da piangere ma cerco di rimandare indietro le lacrime. Mi sposto più vicina a mio fratello e appoggio la testa alla sua spalla.

<<B, vorrei giocare a nascondino, ti va?>> Gli domando strofinando il naso su di lui.

Non faccio caso a zia e nemmeno a Jacob. Voglio solo alzarmi da questo divano e uscire con mio fratello.

<<Certo ciliegia, mi va>> sforza un sorriso, mi prende per mano e, insieme usciamo nel cortile lasciando gli adulti da soli nel salone.

<<Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto...venti, arrivo!>> Bryan ha finito di contare e sta iniziando a cercarmi. Mi sono nascosta dentro ad un vecchio pozzo accanto alla siepe di Rose, è poco profondo e lo usiamo per riporre gli attrezzi da giardino.

<<Dove ti sei cacciata?>> Sento che grida e corre ma i passi sono distanti.

Chissà se adesso sta sorridendo, se giocare con me lo rende felice.

Se sei felice tu vuol dire che va tutto bene.

Controllo la situazione alzando la testa fuori dal pozzo, non lo vedo perciò esco di fretta e comincio a correre verso il nostro albero.

Sono quasi arrivata, ancora uno sforzo e ho vinto.

<<Eccoti, testolina!>> Bryan è dietro di me, mi segue correndo, allunga un braccio per prendermi ma io sono più svelta. Sorpasso il ciliegio dimenticandomi di urlare "tana" e il nascondino diventa una corsa a chi si acciuffa per primo.

Andiamo avanti così per un po', giriamo intorno alla casa innumerevoli volte, salto nelle siepi, oltrepasso l'altalena, faccio lo slalom tra i vasi disposti in fila lungo il marciapiede di ingresso e rido.

<<Era fermati, non ce la faccio più!>> B ha il fiatone. Le mani appoggiate sulle ginocchia, sta ansimando ma adesso sta ridendo. E se lui ride, vuol dire che va tutto bene.

Mi avvicino e lo abbraccio fortissimo. Appoggio la testa sulla sua pancia e chiudo gli occhi.

<<Che c'è piccolina?>> È sudato marcio e non ha più fiato in corpo.

<<Puzzi>> gli dico stringendolo ancora più forte. Poi lo guardo alzando la testa, lui fa lo stesso abbassando la sua.

Non ci diciamo niente ma in quel silenzio c'è la promessa che qualsiasi cosa accada, noi due non ci lasceremo mai, insieme supereremo ogni ostacolo.

Perché tu sei l'altra metà della ciliegia.

INFERNO PARADISODove le storie prendono vita. Scoprilo ora