11 febbraio 2026

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Ore 21:41


Il boato del pubblico lo avvolge non appena la palla tocca la linea del campo avversario.

Manuel viene travolto dai suoi compagni di squadra che lo abbracciano, lo sollevano di peso, gli urlano nelle orecchie e lui si lascia trascinare da quella felicità contagiosa che gli delinea un sorriso enorme sul viso. È naturale per lui ricercare con gli occhi quelli di Simone: vuole condividere con il numero 4 quella gioia e dirgli che è stato bravissimo, che non importa se ha passato il secondo set in panchina perché poi è ritornato in campo ed è anche grazie a lui se sono in finale.

Siamo in finale, cazzo.

Riesce a districarsi dalle braccia di Alessandro dandogli ancora qualche pacca sulle spalle prima di guardarsi attorno: nella loro parte di campo c'è un'invasione di persone — genitori, fratelli e sorelle, fidanzate — che corrono ad abbracciare i loro cari, ma di Simone nemmeno l'ombra. Manuel si avvicina a bordo campo e viene stretto in un abbraccio anche dal suo allenatore, che lo lascia dopo qualche secondo per andare a parlare con un ragazzo un po' in disparte che gli ha fatto cenno con la mano.

Lo segue distrattamente con lo sguardo, si passa un braccio sulla fronte sudata. Quel ragazzo gli è vagamente familiare: alto, capelli neri, una fasciatura al polso sinistro e un capellino messo al contrario con il logo della Lazio.

«Ma che vole questo» pronuncia a voce alta, ma non abbastanza da essere sentito in mezzo alla confusione generale.

Tuttavia, non ha tempo di agire oltre perché un movimento alla sua sinistra attira la sua attenzione e Manuel si volta appena in tempo per scorgere Simone sgattaiolare fuori dalle porte del campo, verso i corridoi dell'arena. Fa per seguirlo, però viene nuovamente bloccato da altri membri del team sportivo che gli stringono la mano e si congratulano con lui; ricambia le loro strette abbastanza in fretta e ringrazia sorridendo, la testa da un'altra parte.

Riesce a raggiungere la porta più vicina quando si sente richiamare da dietro: si volta e si ritrova davanti tre giornalisti, microfoni in mano e cameraman al seguito pronti a raccogliere i suoi commenti a caldo post partita. Qualche imprecazione mentale gli sfugge, ma, come ormai ha imparato, più sarà affabile e risponderà alle loro domande, più velocemente lo lasceranno andare e potrà raggiungere Simone.

Gli chiedono come sta, come si sente dopo la vittoria, cosa ne pensa degli avversari appena battuti e di quelli che dovranno affrontare, se sente che potrebbe essere il loro anno per portare a casa il titolo. Su quest'ultima domanda Manuel non si sbilancia troppo — un po' di scaramanzia non guasta — poi rifila il miglior sorriso del suo repertorio e «Scusate, devo proprio andare. Grazie a tutti!» si congeda, ed esce svelto dal campo.

Raggiunge immediatamente gli spogliatoi.

Li trova vuoti: ci sono solo i loro borsoni riversi per terra o aperti sulle panche di legno; tutti, tranne quello di Simone. Manuel fruga nel proprio alla ricerca del cellulare e non appena lo trova apre la chat con Simò🦚 e digita un messaggio:

Dove sei?

Lo invia, aspetta qualche minuto; non riceve risposta. Manuel sbuffa ed esce da Whatsapp con l'intenzione di chiamarlo, se non fosse che Matteo gli piomba alle spalle avvolgendogli il collo con un braccio e urlando, seguito dagli altri che sono appena entrati nello spogliatoio. Da quel momento è tutto confuso: dal campo, i festeggiamenti si spostano in quelle quattro mura troppo piccole per contenere il loro entusiasmo, i ragazzi cantano e ridono mentre si fanno la doccia e si cambiano.

Ad un certo punto Daniele chiede: «Oh, raga, ma Simo?»

«Boh, è da prima che non lo vedo» risponde Rayan.
Due paia di occhi — tre, contando anche Matteo — guardano Manuel, aspettandosi una risposta.

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