15 gennaio 2026

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Ore 21:52


Quando entrano nella loro stanza, al secondo piano di quell'albergo, Manuel e Simone hanno i nervi a fior di pelle.

Il primo ha praticamente strappato le chiavi dalle mani del ragazzo della reception — che con molta pazienza cercava di spiegargli che no, signore, nessun errore, qui c'è scritto chiaramente: camera 241, Balestra Simone e Ferro Manuel — ed è il primo a varcare la soglia e premere con forza l'interruttore della luce; il secondo si morde la lingua per trattenersi dal fare qualche commento piccato e peggiorare la situazione già tesa, anche se, a dirla tutta, avrebbe molte cose da dire.

La stanza non è enorme, ma ha tutto ciò che serve: il bagno dotato di doccia sulla destra appena si entra, una cassettiera abbastanza grande in legno chiaro su cui è sistemata una TV, una portafinestra dagli infissi bianchi che si affaccia su un balconcino e, al centro dell'ambiente, un letto matrimoniale, il runner blu ceruleo adornato da un biglietto di benvenuto da parte dello staff dell'hotel.

Il borsone di Simone produce un tonfo sordo quando viene abbandonato malamente sul pavimento.

«Torno giù a chiedere un'altra stanza» attesta, dirigendosi verso la porta.

«Mo ce vai tu e se risolve sicuro» borbotta Manuel, forte abbastanza da farsi sentire.

Sa che le sistemazioni in stanza vengono decise da chissà chi (di sicuro uno o una maledetta a quel punto) prima della partenza e, in realtà, potrebbe risolvere facilmente supplicando Rayan di fare cambio. Una parte di lui, comunque, scarta quella soluzione.

Forse è soltanto un masochista.

Forse vuole restare solo con lui e quella è l'occasione perfetta.

«Vuoi andare tu?» chiede stizzito Simone, ma l'unica cosa che riceve in risposta è un «Ma fa' come te pare» che lo fa solo innervosire di più.

Quindi lascia andare la maniglia e con due falcate è accanto a Manuel, seduto ai piedi del letto e intento a togliersi le scarpe.

«Mi spieghi che problemi hai?» gli domanda, allargando leggermente le braccia.

Manuel si alza e lo supera diretto in bagno, senza neanche guardarlo.

«Non c'ho niente» gli sente dire, «e poi che te frega?»

A Simone quelle parole suonano familiari, però decide di sorvolare. «Me frega se agli allenamenti punti alla mia faccia ogni volta che tocchi palla, ad esempio.»

Lo sbuffo dal naso di Manuel viene coperto dallo scrosciare dell'acqua che utilizza per sciacquarsi mani e viso, come anche i passi di Simone che, a braccia conserte, lo guarda dalla porta del bagno.

Potrebbe intavolare un lungo discorso su quell'aspetto, considerando che lui gli ha schiacciato addosso, ma l'altro ha sempre evitato di alzargli la palla quando, malauguratamente, sono capitati dallo stesso lato del campo.

Pari.

«Allora?»

«Senti, so' stanco e non c'ho voglia de starti dietro» replica Manuel.

È consapevole di star agendo come un adolescente — ripetere le frasi che gli ha detto Simone sicuramente non è molto maturo da parte sua — ma non riesce a trovare un motivo per non farlo.

È uno Scorpione, dopotutto.

È in procinto di uscire dal bagno e dirigersi verso il proprio borsone, pronto a prepararsi per la notte, quando si sente afferrare per un braccio.

«Hai finito di fare il pappagallo?» sibila Simone.

Manuel si libera da quella blanda presa con uno strattone e fa un passo indietro. «Deciditi, Simò: so' un pavone o un pappagallo? Te vedo un po' confuso.»

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