Ore 20:38
Simone esce dallo spogliatoio con ancora i capelli bagnati e gocce d'acqua che gli bagnano il colletto della felpa. Sente l'eco della voce di sua nonna Virginia che lo rimprovera come faceva quando era piccolo.
È che a permanere di più in quel luogo non ci riesce, non dopo aver visto Manuel sugli spalti, non dopo che l'altro pare averlo ignorato e lasciato in disparte.
Perlomeno, così gli è parso.
Se lo merita pure, per non essere stato sincero con lui.
Una canzone che conosce dice "ho rovinato tutto un'altra volta" e percepisce bene tale frase, quasi gli fosse stata scritta addosso.
Ironia della sorte, destino, masochismo, gli basta compiere tre passi nel lungo corridoio, con il brusio dei compagni di squadra e gli schiamazzi degli avversari che rimbombano tra le mura bianche, per imbattersi nella ragione di tutti i suoi drammi, problemi e soluzioni.
Manuel è in piedi vicino alla porta dello spogliatoio degli ospiti, regge in mano un cappellino con la visiera piuttosto inutile considerando la giornata uggiosa.
Simone scruta il suo profilo, desiderando di sparire in quel momento, farsi così piccolo da essere invisibile e passare inosservato. Purtroppo per lui, l'unica strada che può condurlo fuori dal palazzetto corrisponde a quel maledetto corridoio, il che implica passare davanti al numero 1 e, inevitabilmente, farsi vedere.
Esita per dei secondi che paiono eterni, un tempo immobile durante il quale nella sua testa ronzano un'infinità di pensieri, di commiserazione, di rabbia, frustrazione, tristezza, mancanza.
Pianta gli incisivi nel labbro inferiore.
Scappare non serve.
Prende un respiro profondo. Il borsone che porta a tracolla rimbalza sulla parte bassa della sua schiena, mentre a piccoli passi riduce la distanza che lo separa dall'altro ragazzo. «Non usi più le stampelle» esclama quando si ferma e soltanto un metro — o poco meno — rimane a separarli. Manuel sobbalza a udire la sua voce, eppure la sua espressione a vedere il palleggiatore non risulta sorpresa.
Ovviamente.
«Hai fatto un recupero lampo» commenta ancora Simone.
Lo schiacciatore schiocca la lingua sul palato e rigira il berretto tra le dita. Tiene la schiena appoggiata al muro, cercando di concentrare il peso sulla gamba non infortunata. «Dovrei usarle» replica, «'nfatti se me vede er fisioterapista mio, me mena.»
«C'è già una tua foto su Twitter.»
«E tu, ovviamente, non te la sei persa.»
C'è un pizzico di ironia e sarcasmo nella sua voce che fa centro, considerato il sorriso storto che appare sul volto di Simone.
Manuel quasi se ne dispiace.
Quasi, è ancora arrabbiato, infastidito e troppo orgoglioso. E dunque «So' venuto pe' la squadra mia, comunque» specifica, «non per altro.»
Non sono qui per te, sta per aggiungere.
Bugiardo, lo rimprovera una voce dentro alla sua testa.
Simone annuisce e scuote le spalle. «Sì, figurati, lo— lo avevo immaginato» borbotta.
«Avete giocato bene, pure se avete perso.»
«Grazie.»
Il rumore nel corridoio, fino a quel momento troppo presente, si affievolisce. Cala un silenzio surreale e in quel luogo spoglio e anonimo paiono rimanere solo loro due, illuminati dalle luci al neon.
Simone si guarda intorno per accertarsi che siano davvero soli e sì, non c'è nessuno a parte loro. I giocatori della Virtus Roma e del Roma Volley Club saranno sotto le docce o a fare altro, e fortunatamente i giornalisti lì non possono entrare.
«Mi manchi» soffoca e tiene lo sguardo basso per un istante, così da non incontrare quello di Manuel, catalizzato inesorabilmente su di lui. Alza gli occhi dopo, se ne rende conto e vorrebbe morire.
Già è a corto di fiato.
«Lo so che— magari è patetico, sono passati pochi giorni e tu hai tutto il diritto di non volermi, di non rispondermi, quello... quello che vuoi, però volevo dirtelo. Mi manchi, Manu.»
Manuel ascolta in silenzio le sue parole che sono sottili e flebili, al pari di una carezza. Porta il capo all'indietro, lo appoggia al muro e continua a fissare l'altro ragazzo. Non risponde, nella sua testa riecheggia soltanto "mi manchi, Manu".
Simone non è in grado di decifrare la sua non risposta. Decide di non lasciar viaggiare troppo la fantasia, altrimenti ne uscirebbe distrutto.
«Vittorio è una persona crudele, infima e meschina che m'ha rovinato la vita» bofonchia. «È come un'infezione dalla quale non riesco a liberarmi, anche se vorrei. Vorrei che smettesse di esistere, in qualche modo, tipo che se lo blocco su Instagram allora lui non c'è più, non mi ferisce più, invece non è così e io vorrei solo stare in pace e...»
Finge un colpo di tosse, a mascherare la sua voce rotta: «Tu mi dai pace e lo mandi via. Mandi via ogni cosa, mandi via le mie paure, le mie angosce per qualsiasi cosa, le mie paranoie per cose inutili. Anche per questo mi manchi. Mi manca la mia pace.»
I loro sguardi sono fusi l'uno dentro l'altro. Si scrutano, si legano, in un attimo in cui tempo e spazio non seguono più le leggi della fisica.
Manuel schiude le labbra, prova a dire qualcosa in replica, ma è in quel momento che la quiete viene interrotta e nel corridoio si riversano i giocatori della Virtus Roma — alcuni ancora in accappatoio — e circondano il numero 1, inneggiando al loro capitano.
Sono come un muro tra loro due; gli altri, i loro schiamazzi.
Simone indietreggia, mentre Manuel ancora lo cerca in mezzo al caos che si è creato attorno a lui.
Ma invano, poiché il palleggiatore va via, lo lascia a festeggiare con i suoi compagni. Abbandona la sua pace uscendo dal palazzetto.
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TIE BREAK
FanfictionIn un mondo in cui la pallavolo è lo sport nazionale - sì, più del calcio -, Simone e Manuel giocano in due squadre diverse, sono rivali in campo e non si stanno particolarmente simpatici... o forse sì? [Raccolta delle OS appartenenti alla socmed su...