Ore 22:49
A Manuel non piace essere ignorato e presuppone che, ormai, Simone dovrebbe saperlo. Eppure sono giorni che non fa altro che evitarlo, parlargli poco, addirittura rifiuta le sue chiamate. E lui sta per scoppiare.
Ha creduto che dopo quell'articolo, quelle foto sfocate dove a stento si riconoscevano, avessero chiarito, che l'altro ragazzo avesse incassato il colpo e che sarebbero andati avanti mano nella mano — come si sono detti via WhatsApp subito dopo l'uscita dell'articolo e commenti derivati.
Non si è accorto, forse, che la presa era già troppo blanda.
Ha sorvolato su tante cose: il non vedersi prima della trasferta a causa di un impegno, la scusa della febbre quando è tornato, il fatto che il giorno prima fosse il compleanno di quello che dovrebbe essere il suo ragazzo e lui nemmeno lo sapesse. Col senno di poi, non è più sicuro di credere a ciò che gli ha detto.
Per tale motivo, Manuel si presenta sotto casa di Simone a tarda ora, dopo aver girovagato per un po' senza meta per le strade di Roma, con addosso una tuta grigia. Lascia la macchina in doppia fila — non gli interessa.
Suona come un pazzo al citofono con la targhetta Balestra per cinque minuti buoni e non ottiene risposta.
Adesso esplode.
Non è certo un tipo paziente, perlomeno non sempre.
Si muove nervoso, torna in strada, cerca di sbirciare tra le tende del terzo piano dove si affaccia l'appartamento del palleggiatore: le luci sono accese, è in casa e lo sta volutamente ignorando.
È confuso, è arrabbiato, è furioso. Non prova nemmeno a chiamarlo al telefono che tanto metterebbe giù.
Attende.
Ragiona sul da farsi.
Quindici minuti e ventisette secondi dopo, con la testa vuota, il fato gioca a suo favore quando una signora dai capelli biondi raccolti in uno chignon basso esce dal portone di legno color noce e lui si fionda all'interno dell'androne prima che l'anta venga chiusa.
Ha il fiatone sebbene abbia solo accennato una breve corsa e, per la miseria, dovrebbe essere uno sportivo e abituato a scatti ben più importanti.
Forse il respiro smorzato non è dovuto alla corsa.
Giunge al piano e comincia a battere con un pugno chiuso sulla porta blindata.
Una volta.
Due.
Cinque.
«Simò, 'o so che ce stai» e bussa ancora, più forte. «Se non me apri...» di nuovo, «...entro trenta...» più forte, «...secondi, te giuro che...» bum-bum-bum «...sfondo la porta, lo faccio! Te giuro che—»
L'ultima frase non viene conclusa poiché interrotta dalla porta che si schiude con un leggero cigolio.
Sulla soglia, appare Simone, dall'aspetto un po' trasandato — considerando l'accenno di barba sulla linea della mandibola, di solito assente, e i capelli scompigliati.
Di norma, l'istinto di Manuel lo condurrebbe a preoccuparsi e a mettere da parte il resto, ma in quel frangente è troppo irritato per lasciarsi andare a una cosa del genere. Pertanto, lo scavalca e si fa largo dentro l'appartamento come se niente fosse.
«Se può sape' che succede?» chiede. Pone le mani sui fianchi, fermo nel mezzo dell'ingresso.
Simone accosta l'anta con lentezza. Lo raggiunge a piccoli passi, stringendosi nelle spalle. «Niente» sussurra e tiene lo sguardo basso, «sono stato male, te l'ho detto.»
STAI LEGGENDO
TIE BREAK
FanfictionIn un mondo in cui la pallavolo è lo sport nazionale - sì, più del calcio -, Simone e Manuel giocano in due squadre diverse, sono rivali in campo e non si stanno particolarmente simpatici... o forse sì? [Raccolta delle OS appartenenti alla socmed su...