15 marzo 2026

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Ore 18:51


Il cellulare di Manuel squilla per l'ennesima volta, il che lo porta a sbuffare sonoramente mentre si chiude la porta di casa alle spalle. Molla chiavi e borsa all'ingresso e va a sedersi sul divano, abbandonando la testa sullo schienale; proprio in quel momento la suoneria cessa.

Dio, grazie.

Resta per qualche secondo in quella posizione, a respirare a fondo per cercare di non far caso al dolore pulsante che avverte al ginocchio.

Sa che dovrebbe sollevarlo e metterci su del ghiaccio, ma al momento non gli interessa. Riesce a pensare solo alla partita che non ha potuto giocare fino alla fine perché a quanto pare il suo corpo lo odia e, nel momento più sbagliato, lo ha tradito di nuovo.

Proprio contro quer Luzzi der cazzo.

Gli brucia, da morire.

Stava solo aspettando l'occasione giusta per assestargli una bella schiacciata delle sue addosso e ricambiare il favore, visto che il laziale non si è fatto problemi a dimostrarsi sleale anche in campo. Avrebbe potuto colpirlo a una spalla, o magari in testa come aveva suggerito Alessandro... in fondo sono cose che possono capitare, no?

Purtroppo non ne ha avuto la possibilità: un leggero fastidio durante i salti lo ha allarmato, ma ha pensato fosse normale — per i muscoli che si tendono, l'impatto quando si ritorna al suolo e quelle cose lì.

Poi, però, quel fastidio è diventato un vero e proprio dolore e, se prima era riuscito a dissimulare, dopo non ne è più stato in grado, specialmente perché anche l'elevazione dei salti ne ha risentito e di conseguenza tutto il suo gioco.

Ha guardato il suo allenatore e con la rassegnazione sul volto ha scosso la testa.

Non ce la faccio.

È comunque rimasto a vedere gli altri terminare la partita, ma appena l'arbitro ha fischiato la fine, segnando il 3-2 per l'altra squadra, ha raccattato le sue cose velocemente e si è allontanato, schivando Chicca che ha cercato di fermarlo e ignorando anche le chiamate di Viola, sicuramente avvisata dall'amica.

Tuttavia, sua sorella non è una che si arrende — in questo sono molto simili — e infatti il telefono di Manuel riprende a suonare e a vibrargli in tasca. Un lungo lamento gli lascia le corde vocali, ma quando fa per sfilarlo e premere due volte il tasto di blocco per riattaccare, si accorge che non si tratta della ragazza menzionata.

Esita un po', si passa una mano sul viso prima di far scorrere il pollice sullo schermo.

«Pronto.»

«Manu.»

La voce di Simone lo fa sospirare. Poggia nuovamente la testa al divano e chiude gli occhi. «Ehi» mormora.

«Tutto bene?»

«'Nsomma. Abbiamo perso.»

«Mi dispiace» risponde Simone. Resta in silenzio qualche istante. «Solo questo?»

«M-mh.»

«Manuel» lo rimbecca il palleggiatore. «Non è solo questo, lo so. Parlami.»

Il numero 1 ci riflette un attimo. Per quanto i suoi amici lo prendano in giro per essere drammatico quando non sta bene — pensa di fare testamento ogni volta che ha due linee di febbre —, in realtà non gli piace per niente lamentarsi e risultare in qualche modo un peso per le altre persone. Crede che ognuno abbia già i propri problemi a cui pensare e lui non vuole aggiungerne altri.

Quello, però, è Simone.

È il ragazzo di cui si è innamorato — anche se ad alta voce non glielo ha ancora detto — è il suo ragazzo, e gli è bastato leggere il suo nome sullo schermo del telefono per sentire il cuore più leggero.

Lo stesso ragazzo che lo ha definito la sua pace; e se Manuel è questo per lui, Simone è ciò che lo disinnesca: la rabbia, la frustrazione, il senso di impotenza vengono annullati dalla presenza del numero 4 nella sua vita.

Non vorrebbe niente di diverso.

«È il ginocchio» ammette infine.

«Ti fa ancora male?»

«Eh, non ho potuto fini' la partita. Me rode, Simò.»

«Perché?»

«Perché pensavo de sta' bene, d'esse' tornato come prima e invece niente, non posso manco salta'» sbotta Manuel. «Il mister e la squadra contano su de me, so' il capitano, c'ho 'na responsabilità e non me posso permette' de fa' così, de chiama' cambio ogni volta.»

Simone lo ascolta in silenzio, poi ribatte. «Quando ti sei fatto male, i medici che ti hanno detto?»

«Che c'entra mo questo?» aggrotta le sopracciglia Manuel.

«Tu rispondi.»

«M'hanno detto che dovevo sta' fermo pe' qualche settimana.»

«E l'hai fatto?»

«N'è che avessi molta scelta.»

«Okay, poi?»

«M'hanno spiegato come dovevo fa' col ghiaccio, il tutore, 'e stampelle e 'ste cose qua.»

«E hai seguito tutti questi passaggi?»

«Seh, più o meno.»

«E allora hai fatto tutto quello che potevi fare, Manu» parla con voce calma il numero 4. «Devi solo dare tempo al tuo corpo di guarire completamente e capire quando fermarti, come hai fatto stasera. Magari non puoi ancora giocare una partita intera, ma va bene così. Andiamo avanti un set alla volta, mh?»

Manuel si ritrova a sollevare un angolo della bocca — di nuovo quel plurale, come se ciò che riguarda sé stesso riguardasse anche Simone e viceversa.

Uno al fianco dell'altro, proprio come lo stesso Manuel si augurava mesi prima.

«Poi gli altri ti vogliono bene e ti stimano a prescindere dal tempo che passi sul campo, il mister idem. Altrimenti t'avrebbe già venduto e dato la fascia da capitano a qualcun altro» conclude Simone.

«Beh, è sempre in tempo.»

«Ci perderebbe lui, non lo farà mai.»

«Quindi dici che so' bloccato a sta' co' quegli scappati de casa pe' sempre?»

«Tra scappati de casa vi intendete.»

«Ma sarai stronzo» finge indignazione Manuel, ma in realtà sta sorridendo e anche la risata di Simone gli giunge in un orecchio.





Chiacchierano un altro po', con Manuel che ha avvolto una busta di ghiaccio attorno a un canovaccio da cucina per poterlo poggiare sul ginocchio e Simone che, in vivavoce, ha deciso di leggergli i tweet incoraggianti che gli hanno dedicato i tifosi, per tirarlo su di morale.

«Non t'ho manco chiesto com'è andata la partita tua» realizza dopo un po' lo schiacciatore.

«Insomma... abbiamo perso pure noi.»

«Non ce credo.»

«Giuro.»

Manuel scoppia a ridere seguito subito dopo dall'altro ragazzo. «Che coppia che siamo.»

Non può vederlo, ma scommetterebbe tutto quello che ha sul fatto che Simone sia arrossito a quelle parole, proprio com'è avvenuto giorni prima in uno stanzino delle scope. Vorrebbe baciarlo in quel momento, e infatti «Vieni a casa?» gli domanda.

«Sto già partendo» risponde l'altro. «Ti devo un bacio portafortuna, no?»

Manuel storce il naso. «Solo uno?»

«Vediamo che posso fare.»

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