14 febbraio 2026

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Ore 00:47


Non lo ha chiamato e basta.

Manuel neppure se ne sorprende quando vede apparire sullo schermo una videochiamata su FaceTime. Gli passa per la testa l'idea di non rispondere, ma solo perché si trova in una stanza isolata di un ospedale squallido, ad attendere che i medici gli dicano qualcosa e possibilmente lo spediscano a casa — quella provvisoria — a breve. Però è tardi, manca il tecnico di radiografia e lui deve aspettare steso su di un letto, con una gamba sollevata e il ghiaccio che gli ha congelato la pelle sul ginocchio malandato.

Lancia un'occhiata verso la porta: in quel luogo è stato accompagnato dal medico del team della Nazionale e da un'altra persona di cui non ha mai capito la funzione — forse è quella che gestisce i loro spostamenti, chissà.

Sono entrambi rimasti in corridoio e sono entrati solo una volta nella sua stanza. Spera non lo facciano una seconda, non nel momento in cui risponde.

Tiene il telefono appena inclinato quando sullo schermo appare il viso di Simone. Nonostante la penombra nella quale è avvolto, Manuel scorge comunque i suoi occhi arrossati, gonfi e lucidi, e un po' gli si stringe una morsa attorno al cuore poiché ne conosce il motivo.

Perlomeno, una parte di esso.

«Beh, hai visto?» esclama, cercando di tenere un tono di voce piuttosto basso «So' vivo.»

Simone scuote il capo e si passa una mano sul viso. Spera che ciò serva a mascherare la sua espressione affranta. «Sei pure scemo» commenta.

«Oh, so' serio. Secondo me manco era necessario veni' 'n ospedale. Tenevo il ghiaccio e me passava tutto.»

«Siamo sportivi. Lo sai che— è tutto molto melodrammatico se ci facciamo male, soprattutto al ginocchio.»

«Certo che 'o so» Manuel annuisce. Fa una breve pausa, scrutando ancora i lineamenti delicati del suo interlocutore. Vorrebbe essere altrove.

Vorrebbe essere a festeggiare la vittoria degli Europei con i compagni di squadra.

Vorrebbe poi chiudersi in quella stanza d'hotel con il suo numero 4 e sorridersi fino ad addormentarsi, senza sfociare in null'altro.

«Mo' ce vai a festeggia'?» sussurra in seguito.

«Non sono passati cinque minuti.»

«Hai messo il timer?»

«No, così possono durare di più.»

«Non vale.»

«Vale» conferma Simone e smorza un sorriso nervoso e sbieco. «Non mi sono neanche fatto la doccia. Puzzo per colpa tua.»

«Che c'entro io?»

«Se faccio la doccia si leva il tuo numero. Volevo tenerlo ancora un po'.»

Manuel trattiene il respiro per un attimo. Ragiona sul fatto che, nonostante tutte le volte in cui sono andati a letto insieme, Simone ha sempre avuto una sorta di freno con lui, su qualsiasi aspetto — tipo il portargli la colazione, essergli vicino quando guardavano tutti insieme le partite delle altre squadre — e ricorda pure bene i discorsi che gli faceva post sesso sul fatto che era una cosa così, che fuori doveva fare meno, particolare che lui non ha mai ascoltato.

Da dopo i quarti e la semifinale, però, qualcosa è drasticamente cambiato: Simone si è sciolto di più e, come direbbe Chicca, adesso paiono entrambi dei multisottoni sotto tutte le ferrovie d'Italia.

È assurdo come un mese, un tempo minuscolo, ridicolo per certi aspetti, possa stravolgere ogni cosa.

Finge un colpo di tosse che lo distrae dai pensieri che si accavallano nella sua testa. Addosso ha ancora la maglia della divisa e ha tolto la felpa della tuta perché in quel posto si muore di caldo.

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