30 aprile 2026

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Ore 20:25


Simone ha fatto la doccia e si è sbarazzato della divisa in un tempo ridicolo.

Ha ancora i capelli umidi quando raggiunge il parcheggio del palazzetto, quello riservato ad atleti e addetti ai lavori. Non c'è ancora nessuno — del resto, è inciampato nei propri vestiti per essere il più rapido possibile.

Trova Manuel ad aspettarlo, appoggiato al cofano della sua auto nera. Lo vede — ed è bellissimo, con i jeans stretti e neri, una maglia a maniche lunghe e in testa il suo solito cappellino con visiera e una scritta in francese.

Non che avesse dubbi sul fatto che l'altro l'avrebbe aspettato o meno.

Ne era certo.

Ciò nonostante, il sorriso che gli appare spontaneamente sul volto non riesce a trattenerlo, come neppure la corsa che accenna per raggiungerlo più in fretta.

«Ciao» esclama non appena gli è davanti.

Manuel lo guarda e inclina il capo su di un lato. «Ciao» replica. «Hai— fatto stranamente veloce.»

«M'aspettavi, no?»

Sì, lo aspettava.

Lo aspetta sempre, a volte pure quando non deve.

Il numero 1 schiocca la lingua sul palato e si stacca dal cofano. Rigira tra le dita le chiavi della macchina. «Metti il borsone dietro» suggerisce. Gli indica con un cenno della testa il portabagagli, mentre già si accinge a salire nell'abitacolo.

Si posiziona alla guida. Dallo specchietto retrovisore, controlla i movimenti del palleggiatore e gli viene da ridere a vederlo ingarbugliarsi in gesti all'apparenza molto semplici che, invece, risultano difficoltosi a causa della fretta utilizzata.

Sì, perché Simone è alquanto impaziente per quell'appuntamento che attende da giorni. Ha fatto il conto alla rovescia per ogni minuto trascorso, persino durante la partita appena disputata — e Matteo lo ha preso in giro per questo.

Chiude lo sportello del cofano posteriore e subito va a sistemarsi sul sedile del passeggero, frattanto che il motore viene acceso. Si allaccia la cintura. «Dove andiamo?»

«Un posto qua vicino» replica Manuel. Gli rivolge un'occhiata distratta e comincia la manovra per poter uscire dal parcheggio sotterraneo. «Ma che è 'st'euforia?»

«Cosa?»

«Sei super felice.»

«Eh, non devo?»

Una salita ripida li conduce fuori. In lontananza, un gruppo di tifosi li nota e li saluta con un cenno della mano.

Nessuno dei due vuole essere scortese e ricambiano il gesto, tenendo, però, i finestrini chiusi.

«Beh, avete perso» puntualizza Manuel. Inserisce la freccia per potersi immettere nella carreggiata. I loro fan non si avvicinano — dovrebbero mettersi davanti all'auto e farli fermare, il che sarebbe assurdo — e si fanno bastare il saluto a distanza.

«Sì, e quindi?» rimbecca Simone.

Lo schiacciatore sgrana gli occhi. L'auto è finalmente in strada, nel traffico, infatti sono costretti a fermarsi pochi metri dopo al semaforo rosso. «Sei felice pe' 'na sconfitta?»

«Chi se ne frega della sconfitta, Manuel» ridacchia l'altro. «Mi hanno tolto la squalifica, nessuno mi ha fischiato e sto andando a cena con te. Certo che sono felice!»

Fino a qualche mese prima, con molta probabilità non si sarebbe definito "felice", non per così poco, non dopo aver perso una partita. È che dopo quello che ha passato, un inferno perdurato per un tempo che gli è parso eterno, non vuole rovinarsi le cose belle.

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