16 marzo 2026

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Ore 19:20


Trascorrono gran parte della giornata insieme: fanno merenda in un posto un po' distante dal centro di Roma, molto particolare con i tavoli e le sedie in legno e vari cesti di vimini che pendono dal soffitto; poi si dirigono su fino al Gianicolo — a piedi — perché «Simò, sei de Roma e non sei mai stato al Gianicolo? N'esiste proprio», e la camminata fin lassù prova entrambi, nonostante il fisico da atleti allenati.

Ogni tanto si fermano, soprattutto perché il ginocchio di Manuel protesta, pertanto vanno piano, senza fretta.

Rimangono a guardare il sole tramontare, un po' in disparte, sperando di non incontrare nessuno che possa riconoscerli, con le mani intrecciate infilate dentro la tasca della giacca verde di Simone e il numero 1 che gli si fa vicinissimo per posargli un veloce bacio sul collo.

In seguito, il palleggiatore decide di arrivare fino al Colosseo passeggiando per le vie della Capitale e giustificandosi con la scusa «È bellissimo di sera tutto illuminato, dobbiamo assolutamente andarci».

Che poi Simone abbia passato tutto il tempo a rubare scatti a Manuel, fregandosene del monumento, quello è un altro discorso.

Prendono da mangiare da asporto e si allontanano dalla massa di gente che come loro si gode la serata quasi primaverile, andando a sedersi su un muretto in un vicolo appartato davanti quella che probabilmente è una scuola.

È pieno di scritte con il pennarello.

I loro nomi ci starebbero bene, lì sopra.

«Te che liceo hai fatto?» domanda Manuel.

«Lo scientifico, andavo bene in matematica. Tu?»

«Pure io, ma non ce capivo 'na mazza e 'nfatti so' stato bocciato. Me piaceva de più la filosofia.»

«L'imperativo categorico, la legge morale e quelle cose lì?»

«Sei 'n esperto.»

«No, ho solo un padre che insegna questo.»

«Me lo devi fa' conoscere.»

«È un modo per dirmi che vuoi incontrare la mia famiglia?»

«Beh, tu hai conosciuto mi' sorella.»

«Vero, e confermo che è molto più simpatica di te.»

«E io confermo che a casa ce poi torna' a piedi.»

Simone ride e poi, prendendolo per il colletto della giacca — e, per la prima volta, senza guardarsi attorno, che tanto non c'è nessuno — lo attira a sé per baciarlo. Un bacio semplice, un lieve contatto, almeno finché il palleggiatore non gli sussurra sulle labbra un «Ti amo» che fa sussultare il cuore di Manuel, e quest'ultimo gli infila una mano tra i capelli per poterlo baciare a dovere.

Anche quella volta il numero 1 non risponde a parole a quella dichiarazione, ma Simone non vuole soffermarcisi sopra più di tanto, complice anche la conversazione che ha avuto quella mattina con Laura.

I gesti di Manuel sono abbastanza eloquenti, il cuore che percepisce battere più forte quando dormono insieme e gli poggia la testa sul petto glielo mormora già di suo; a Simone va bene così.

Se deve attendere, lo farà, senza sforzi, proprio come quando lo schiacciatore gli scrive T'aspetto, e lo fa veramente.





🏐🏐🏐





Ore 23:37


Manuel parcheggia la sua auto a qualche metro dal palazzo in cui abita Simone. È un po' tardi, ma a nessuno dei due importa davvero.

Scendono entrambi, camminano mano nella mano.

«Resti?» chiede Simone una volta raggiunto il portone.

«Vorrei» risponde l'altro ragazzo, «ma me vedo co' Viola domani mattina. Meglio se torno.»

Il numero 4 annuisce. «Allora buonanotte» mormora.

Manuel gli afferra i fianchi da sotto la giacca e lo bacia profondamente, facendogli poggiare la schiena contro il muro. Si sentono come se fossero tornati ad essere degli adolescenti, incapaci di togliersi mani e labbra di dosso per più due cinque minuti consecutivi. Infatti restano in quella posizione per un po', semplicemente a baciarsi e ridacchiare.

È Simone a staccarsi svogliatamente e dirgli «Dai, vai.»

«Vado» annuisce l'altro, stringendogli un'ultima volta i fianchi. Compie due passi indietro senza smettere di guardarlo, poi si volta e fa per dirigersi alla macchina.

Tuttavia, dopo appena cinque secondi, il numero 1 ritorna sui suoi passi posizionandosi nuovamente di fronte a Simone. Gli prende il viso tra le mani e gli accarezza gli zigomi con i pollici, gli occhi fissi nei suoi.

«Ti amo.»

La bocca del palleggiatore si schiude appena. Quelle parole le ha sentite forte e chiaro, ma non riesce a crederci. Per fortuna, l'altro sembra leggergli nel pensiero perché continua: «Te lo volevo di' pe' primo, e non risponderti solo "anch'io".»

Simone non trattiene il sorriso che gli illumina il viso, lo allarga maggiormente e si rifugia tra la spalla e il collo del compagno, abbracciandolo stretto. Il proprio cuore sta andando a una velocità folle e riesce a percepire anche quello del ragazzo tra le sue braccia, che lo rincorre al medesimo passo.

È felice.

Lo sono entrambi.

«Mo' non te ne puoi andare» asserisce il palleggiatore quando si allontanano, stringendo ancora le mani sulla giacca dell'altro quasi a impedirgli fisicamente di staccarsi.

«E Viola?»

«Mi perdonerà» fa spallucce.

Manuel scuote la testa e ride mentre l'altro apre il portone e fa il suo ingresso nel palazzo, poi lo segue fino al suo appartamento e nella sua camera da letto.

Si baciano, si spogliano, si amano per tutta la notte.

E lo faranno anche la mattina dopo, quella successiva, e quella dopo ancora.

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