15 maggio 2026

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Ore 21:58


Manuel ha sempre desiderato una casa con il giardino e il porticato. Con quello che guadagna se lo potrebbe pure permettere, invece dell'appartamento in città che ha preso in affitto, ma per il momento preferisce così — per comodità.

Non saprebbe che farsene di un posto più grande anche se, magari, in futuro...

Fa dondolare le gambe in una piscina vuota, seduto sul suo bordo; forse la usano in estate, forse non la usano da anni, considerate le condizioni.

Però, a parte ciò, è un bel posto.

Gli viene da sorridere a pensare a Simone che lì ci è cresciuto: lo immagina da bambino, a correre a piedi scalzi su quel prato, a ridere e rotolarsi a terra, complici anche le varie cornici sparse nella villa poco fuori Roma che ritraggono attimi di vita passata — come quella che ritrae un bambino riccioluto e mingherlino cristallizzato nell'attimo appena precedente al colpire un pallone da calcio.

È una bella visione.

«Tieni.»

La voce del palleggiatore gli giunge alle orecchie.

Manuel volge lo sguardo all'altro ragazzo e abbozza un sorriso. Allunga una mano per recuperare la tazza di ceramica rossa dalle sue mani; si tratta di una tisana al cioccolato e cannella che "è la fine del mondo, devi provarla assolutamente".

Non è amante delle tisane, ma non ha avuto molta possibilità di scelta.

Simone si siede al suo fianco. La serata è piuttosto fresca ed entrambi hanno indossato le loro giacche per tentare di riscaldarsi un minimo.

Potrebbero anche rientrare in casa, tuttavia la calma quiete che c'è fuori li trattiene al bordo di quella piscina vuota, circondati dal verso delle cicale che riecheggia nell'aria.

«M'ha fatto piacere» sussurra Manuel.

Seduti uno accanto all'altro, le loro spalle si sfiorano e l'aria leggera smuove appena i loro capelli.

«Non l'hai ancora assaggiata» replica Simone, riferendosi alla tisana.

«Mica parlo di questa» ribatte Manuel e gli sfugge una risata. Scuote il capo. «Prima, per tu' padre.»

Il palleggiatore scrolla le spalle, finge un'indifferenza che non ha. «Sì, beh— è capitato.»

Più o meno.

Simone ha pensato bene di portare Manuel nella villa in periferia dove è cresciuto. Ha messo in conto fin dall'inizio che ci sarebbe stato il padre e che sarebbe capitato in qualche modo. A vederla così, è più semplice per la sua ansia — almeno non ha dovuto ragionare su come e quando presentarlo al genitore, in un incontro ufficiale.

Gli crea angoscia persino descrivere una cosa del genere.

Sì, quindi, ecco...

È capitato.

«Sembra simpatico.»

«Se non ci sei cresciuto insieme, di sicuro.»

«Vabbè, co' me è stato simpatico.»

«M-mh» dissimula.

Il rapporto con il padre è costellato da alti e bassi — più bassi, a dire il vero — anche se negli ultimi due anni pare essersi stabilizzato; del resto, Dante gli è stato vicino dopo quanto successo con Vittorio alla Lazio, al momento della squalifica successiva, lo ha supportato in ogni aspetto e lo ringrazia per questo.

Però i bassi ci sono ancora, dunque...

«Invece c'è una cosa più importante» cambia in modo drastico il discorso — come succede sempre quando è in difficoltà.

Manuel beve un sorso di tisana e rischia di ustionarsi la lingua. «Che?»

«Ho la famosa cosa da darti.»

«Ah, eccola finalmente» ride. Tra uscite, appuntamenti e dimenticanze, il "devo darti una cosa" si è trascinato per giorni, eppure lui non se l'è scordato e ha continuato a porsi il quesito su cosa potesse mai essere questo regalo.

«L'ho messa nella tasca della giacca ieri così ero sicuro di non scordarla» attesta Simone, che proprio dall'imbottitura interna del giubbotto di jeans tira fuori il piccolo pacchetto. A rigor di logica, dovrebbe porgerlo all'altro e lasciarglielo scartare, però non compie quei gesti.

Al contrario, strappa via con la punta delle dita i pezzi di scotch e, in seguito, la carta plastificata. Ne estrae la spilletta a forma di pallone da pallavolo, tinto con i colori fucsia, viola e blu.

Manuel osserva i suoi movimenti, cauti e attenti. Segue con lo sguardo le sue mani che si spostano, i suoi polpastrelli gli toccano piano il tessuto della giacca nera con i bottoni marroni che ha addosso. Non comprende bene quale sia l'oggetto, lo realizza nel momento in cui lo vede spiccare vicino al proprio petto.

Abbassa lo sguardo, nota finalmente la spilletta e le sue labbra assumono nell'immediato una piega positiva. «Ma dove l'hai trovata?» è la prima cosa che chiede.

Simone sorride, soddisfatto. «In un negozietto, in giro» spiega. «L'ho vista e ti ho pensato... il che mi accade molto più spesso di quanto mi piaccia ammettere.»

Manuel fissa quel regalo, contento, e ragiona sul fatto che pure lui ha quel genere di pensieri con alta frequenza; ad esempio, a volte è al bar e se vede un cornetto alla Nutella, ipotizza di comprarlo e portarglielo a casa perché sa che gli piace.

Presuppone che amarsi passi anche da quello.

«È molto bella» commenta.

«Sì, uhm» le gote di Simone arrossiscono un briciolo e il ragazzo abbassa lo sguardo, torturandosi le dita con lieve nervosismo. «Puoi vederlo come un portafortuna. Sarebbe un altro, lo so, evidentemente so regalare solo cose del g—»

Quella frase viene interrotta da Manuel che preme la bocca sulla sua, un po' per necessità, un po' per frenare il fiume di parole che crede essere in procinto di sopraggiungere.

«Grazie» soffia sulle sue labbra.

Simone resta immobile per un primo attimo. Dopo sorride. «Prego, figurati» borbotta e le sue palpebre sfarfallano.

Paradossale pensare che reagisce ad ogni loro bacio come se fosse il primo.

Manuel sfrega la punta del naso contro la sua. In seguito, facendo attenzione a non rovesciare la tazza di tisana che tiene in mano, si accoccola a lui, appoggia il capo sulla sua spalla e chiude gli occhi: si sente in pace e l'ansia per la finale, in qualche modo, si dissolve — almeno un po'.

Comunque vada, lui ha già vinto.

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