Capitolo 1

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Il suono della sveglia le perforò i timpani, facendola sobbalzare nel letto.
Doveva assolutamente cambiare melodia; quella canzone era maledettamente rumorosa.
Poli sospirò e mise a tacere la sveglia, spegnendola con una manata.
Con un gemito si ricordò che era il primo giorno di scuola. A dire la verità non se ne era dimenticata; aveva solo cercato di ignorare quel fattaccio il più a lungo possibile.
Tendendo l'orecchio riuscì a sentire sua madre indaffarata in cucina, e dal bagno proveniva il suono dell'acqua che scorreva: suo padre si stava facendo la doccia.
Sbuffando,gettò le coperte di lato e si alzò, raggiungendo il lungo specchio appeso alla parete.
L'estate non l'aveva cambiata di molto: era leggermente più abbronzata (meglio dire rosata; con la sua carnagione di porcellana, abbronzarsi era pura fantascienza), forse era cresciuta di qualche millimetro (e questa era solo una cosa che voleva credere, anche se si era arresa da un pezzo al suo metro e sessanta scarso); i capelli erano l'unico cambiamento visibile: si erano allungati di almeno tre centimetri, e ora i boccoli biondi le arrivavano a metà schiena.
Sbadigliando uscì dalla cameretta e raggiunse il bagno al piano di sotto, e prima di chiudersi dentro gridò un saluto a sua madre; più tardi l'avrebbe salutata come si deve.
Si lavò, si pettinò i capelli e si truccò leggermente, contornando i grandi occhi marroni con un filo di matita e spolverando un pochi nodi fard sulle guance. Il risultato era sempre lo stesso: viso pulito, occhi vivaci e sorriso rosato. Una faccia da brava ragazza. Ma lei lo era, e quindi apparire così le andava bene.
Paola Marotta era assolutamente una brava ragazza, con la testa sulle spalle,ottimi voti a scuola, amicizie assolutamente raccomandabili e un bel rapporto con i genitori.
Non desiderava altro; per essere una diciassettenne, era straordinariamente razionale e posata.
Uscì dal bagno vestita di tutto punto, la divisa scolastica stirata dalla madre le stava alla perfezione.
«Buongiorno mamma».
«Buongiorno tesoro» la salutò Giorgia, affabile come sempre. «Pronta per ricominciare? Questo è il tuo ultimo anno» aggiunse gonfiandosi d'orgoglio.
Poli annuì. «Spero solo che i programmi delle materie non siano troppo difficili».
«Sono sicura che te la caverai alla grande» sorrise la donna fiduciosa.
«Buongiorno signore!» esclamò Stefano Marotta entrando in cucina, di buon umore come tutte le mattine (o quasi).
Le due lo salutarono sorridendo, poi tutti e tre si accinsero a fare colazione.
«Io vado!» annunciò Poli venti minuti più tardi, la porta d'ingresso spalancata e lo zaino su una spalla. «Ci vediamo stasera!»
Udì i saluti dei genitori provenienti dal piano di sopra e uscì,chiudendosi la porta alle spalle.
L'aria di quella mattina di settembre era frizzante, ma non fastidiosa.
La ragazza respirò a pieni polmoni, caricandosi per la giornata che stava per affrontare. Non che il primo giorno di scuola fosse impegnativo, anzi: era bellissimo incontrare di nuovo tutti i suoi amici, raccontarsi a vicenda le proprie vacanze estive e, perché no,spettegolare amabilmente.
Amava Roma, le era mancata da morire durante le vacanze in Puglia.
Camminò per una decina di minuti poi, da dietro l'angolo, sbucò la sagoma della sua scuola. Un antico edificio decorato con legno e intonaco sulla facciata.
Davanti all'entrata si era radunata una folla di studenti, e il loro chiacchiericcio arrivava fino alle sue orecchie.
Una voce la fece sussultare, assorta com'era nel ricordare l'ultimo giorno di scuola dell'anno precedente.
«Poli
Si voltò di scatto e la prima cosa che vide fu un gigante che si sbracciava nella sua direzione.
Poi capì che non era un gigante, ma la sua migliore amica (dopotutto era alta solo dieci centimetri più di lei).
E non si stava sbracciando, la stava salutando.
«Vane!»esclamò, agitando un braccio a sua volta.
L'altra la raggiunse in fretta; quando le fu davanti l'abbracciò,stritolandola nella sua morsa.
«Oh,quanto mi sei mancata!»
«Anche tu mi sei mancata tantissimo» rise Poli. Poi si sfilò dall'abbraccio e osservò l'amica. «Vane? Ti sei fatta...bionda?!»
La ragazza annuì con fare innocente. «Mi stanno male?»
«No,per niente!» sorrise l'altra. «Ti stanno benissimo. Quest'anno farai strage di cuori, ne sono sicura».
«Ah,a me basta un solo cuore».
Paola sospirò. «Pensa ai comuni mortali, e non a quelli. O meglio,quello».
Vanessa rise e, presa a braccetto la migliore amica, si avviò verso l'entrata.
Ad aspettarle c'erano altre ragazze, tutte loro amiche "normali" (così come le definiva Vanessa, per sottolineare lo speciale rapporto tra lei e Poli).
Silvia, Shaila, Virginia e Valentina.Tutte e quattro molto simpatiche e semplici, era piacevole chiacchierare con loro.
Parlarono tutte insieme per qualche minuto, poi le porte si aprirono, e uno sciame di ragazzi scivolò nella scuola, riempiendo l'atrio in pochi attimi.
«Dobbiamo prendere i nostri orari!» disse Valentina a Paola, che annuì.
«Ci penso io, li prendo per tutte. Voi aspettatemi alle scale, okay?»
Le altre annuirono e la ringraziarono, avviandosi poi alla rampa discale.
Poli sgomitò per arrivare alla segreteria, anche se la coda per poter chiedere gli orari alla segretaria era infinita. Rassegnata, si posizionò dietro all'ultimo della fila (un ragazzino del primo anno, a giudicare dalla statura) e si preparò ad attendere pazientemente.
Un tocco alla schiena la fece trasalire.
Si voltò repentinamente.
Un paio di occhi a metà tra il marrone e il dorato la fissavano.
Una bocca carnosa era atteggiata in un ghigno.
«Ciao Marotta».
Poli espirò lentamente, il cuore a mille. Ora, lei non era esattamente una mangia-uomini, anzi, con i ragazzi proprio non ci sapeva fare; il suo primo ed unico fidanzatino risaliva alla quinta elementare.
Non poteva, oggettivamente, ritenersi brutta: aveva un fisico normale, un viso carino, né insignificante né mozzafiato. Ma non era una di quelle ragazze che facevano girare le teste nella loro direzione. Soprattutto, non era una di quelle ragazze che venivano notate da Mattia Bellegrandi.
Almeno il settanta per cento della fauna femminile di quella scuola, difronte a quel ragazzo avrebbe dato fondo a tutta l'arte della seduzione in suo possesso.
E forse (ma proprio forse) anche Paola si sarebbe comportata così.
Se solo avesse avuto un briciolo di sensualità.
Se solo non fosse stata così timida.
Se solo quegli occhi non fossero stati così dannatamente inquietanti.
Era una frana, anzi no, una catastrofe di dimensioni bibliche con i ragazzi.
Il cuore le batteva a mille.
Le mani le stavano sudando.
Il suo sorriso era evaporato, così come tutto l'entusiasmo del primo giorno di scuola.
La sorpresa nel sentire il suo cognome fuoriuscire da quelle labbra era ancora ben presente in lei.
Mattia Bellegrandi sapeva il suo cognome.
Era incredibile. Impensabile.
Lui,all'ultimo anno di liceo, come lei, (anche se, era risaputo,avrebbe già dovuto esserne uscito, ma l'anno precedente l'avevano bocciato in seguito ad una risposta particolarmente colorita rivolta ad un'insegnante), sapeva il cognome di un'insulsa ragazzina più piccola di un anno. Era semplicemente ridicolo.
Si rese conto che probabilmente si aspettava una risposta.
E avrebbe voluto dargliela, una risposta, ma la bocca si era seccatac ompletamente, e sembrava che le sue ghiandole salivari si fossero prese una vacanza alle Hawaii.
Si schiarì la voce e provò a gracchiare qualcosa.
«Ehm...ciao».
Patetico.
Pa-te-ti-co
.
Anzi no, lei era patetica. Non quello che aveva detto.
Il ghigno di lui si allargò. «Mi chiamo Mattia. Mattia Bellegrandi».
«Lo so» farfugliò lei. Se solo avesse potuto, si sarebbe tirata un ceffone da sola.
"Lo so"? Cavolo Paola, meno male che vai bene a scuola, altrimenti le persone penserebbero che sei una menomata.
Stupida vocina acida.
«Davvero?»chiese lui, curioso.
Oh, per l'amor del cielo.
«Sì,insomma...»
Poli cercò disperatamente un rimedio per non sembrare una tredicenne che incontra il suo idolo.
«La tua risposta alla prof di biologia è piuttosto famosa» disse tutto d'un fiato.
Wow,una, due, tre, quattro... dieci parole! Una frase di senso compiuto!
Incredibile,inconcepibile, come quel paio di occhi dal colore straordinario, la facessero sentire costantemente sotto esame.
Lui sghignazzò. «Non penso sia l'unica cosa famosa sul mio conto».
Già, le donne.
Le ragazze della scuola che non erano passate per il letto di Mattia Bellegrandi si potevano contare sulle dita di due mani. Lei era una di quelle dita.
Non che volesse concedersi a uno come lui, certo.
Poteva anche essere bello, misterioso e sensuale, ma restava un donnaiolo.
Pura e casta com'era lei, non ci sarebbe mai cascata. Ma non c'era pericolo: dubitava fortemente che lui l'avrebbe mai considerata degna delle sue lenzuola.
Era talmente presa da quella specie di conversazione, che non si accorse che la fila si era smaltita in fretta. La segretaria la richiamò con un colpo di tosse e un infastidito: «Mi scusi
Poli sobbalzò e si voltò verso la donna, elencando nome e cognome di tutte le sue amiche, oltre al suo. Dopo pochi secondi, la segretaria le consegnò sei buste, contenenti gli orari e i primi comunicati di routine.
Quando si voltò di nuovo verso Mattia, lui la stava fissando. O meglio, la stava fissando un po' più in basso.
Ebbe l'impulso di chiedergli se le stesse davvero guardando il sedere,ma ovviamente, timida com'era, l'impulso si dileguò in fretta e furia.
«Ehm...ciao» lo salutò, incerta.
Dejà-vu.
«Ci si vede in giro» ammiccò lui.
Mentr esi allontanava lo sentì scandire alla donna: «Mi servirebbero gli orari di Mattia Bellegrandi e Gabriele Tufi».
Sospirò. Quell'anno era iniziato decisamente in modo rocambolesco.

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