Capitolo 25

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«Come puoi essere stato così stupido?» bofonchiò Patrizia a Mattia e Paola.
Suo figlio alzò gli occhi al cielo, stringendo la mano della ragazza. «Ho detto che non l'ho fatto apposta... È successo tutto molto in fretta».
La donna borbottò qualcosa di incomprensibile e camminò lungo il corridoio dell'ospedale, ignorando le imprecazioni del giovane alle sue spalle.
«Come ti senti?» chiese per l'ennesima volta Mattia alla ragazza.
Lei fece un sorriso al suo tono preoccupato. «Bene, sul serio».
Patrizia si voltò.
«Starà benissimo, non preoccuparti. Non sappiamo nemmeno se era davvero incinta. Abbiamo preso una... Mi piace chiamarla "precauzione in ritardo". Certo, se mio figlio fosse più attento a quello che fa, non rischierei di diventare nonna da un giorno all'altro» disse concisa, guidandoli fuori dall'ospedale.
In pochissimi minuti giunsero davanti a casa dei Bellegrandi, e Paola si bloccò.
«Che c'è?» le chiese il moro.
«Uh... Non vorrei disturbare» disse timidamente.
Udì distintamente lo sbuffo della signora Bellegrandi, mentre Mattia sorrise. «Sei sempre la benvenuta qui, sciocca».
Lei non osò ribattere e lo seguì all'interno dell'abitazione.
Non appena giunse nell'ingresso, un uomo le sorrise, bonario.
«È lei?» chiese conferma a Mattia. Lui annuì.
«Finalmente ci conosciamo» esclamò il padre di Mattia, avvicinandosi a lei e stringendola in un abbraccio.
«Oh, piacere» sorrise lei, lasciandosi avvolgere dalle braccia forti dell'uomo.
«Mio figlio mi ha parlato tantissimo di te. Credo che abbia una specie di ossessione nei tuoi confronti» confessò facendole l'occhiolino.
Paola arrossì ma non disse nulla.
Il signor Bellegrandi la lasciò andare, permettendo al ragazzo di prenderla per mano.
«State benissimo insieme» osservò, inclinando la testa da un lato.
«Anche troppo» commentò Patrizia arrivando nell'ingresso con una scatola in mano. «Vieni in sala Paola, ti provo la pressione».
Lei fece una smorfia ma seguì la donna senza ribattere.
«Cosa intendeva tua madre?» sentì chiedere il signor Bellegrandi dietro di sé.
«Abbiamo avuto... Un incidente di percorso» rispose il figlio, il tono di voce duro.
«Che tipo di incidente?»
«Ci siamo dimenticati il preservativo» tagliò corto.
Sentì una risata e un suono secco, come una pacca sulla spalla.
«Fai attenzione Mattia, noi Bellegrandi siamo delle macchine da figli. Guarda lo zio Simone...»
«Papá, lo so» mormorò il giovane in tono sofferente.
Paola sentì un'altra risata.
«Ti piace davvero?»
Avevano abbassato ulteriormente la voce, e lei dovette trattenere il respiro per sentire la risposta del moro.
«Da morire».
Quando Patrizia la fece accomodare sul divano, sorrideva ancora.
«Direi che i valori sono buoni. La pillola non dovrebbe darti effetti collaterali, o comunque niente di eclatante. Se dovessi avere un disturbo di qualsiasi tipo nelle prossime settantadue ore, chiamami immediatamente. D'accordo?»
La ragazza annuì, non riuscendo ad ignorare il senso di colpa che si faceva strada in lei.


«Che cos'hai? Ti senti male?» le chiese premuroso Mattia.
Lei si sentì ancora peggio.
«Mi sento in colpa. Terribilmente» confessò d'un fiato.
Lo vide impallidire.
«Perché?»
«Be'... Perché forse abbiamo ucciso un bambino» farneticò.
Lui ammorbidì lo sguardo e le si avvicinò, intenerito. «Non siamo sicuri che tu fossi davvero incinta. Hai sentito mia madre, no? Non eri nemmeno nei tuoi giorni fertili».
Paola si sentì arrossire.
Non era proprio carino parlare del proprio ciclo mestruale e dei propri giorni di fertilità con un ragazzo, anche se era il tuo.
«D'accordo. Ma se invece lo fossi stata per davvero?»
«Oh be', in quel caso non era ancora un bambino. Sono passate meno di ventiquattro ore da quando abbiamo fatto sesso. Non ci sarebbe stato nessun bambino, solo qualche cellula che si stava moltiplicando».
Lei si sentì leggermente meglio, ma non demorse.
«D'accordo, ma sarebbe comunque stato un futuro bambino! Sabrina voleva quel bambino, ha sofferto tanto per averlo perso... E io, che ho avuto una possibilità, l'ho ucciso!»
Mattia l'afferrò per le spalle.
«Poli, non hai ucciso nessuno. Calmati e respira. Non mi piace vederti così, capito?»
Lei mormorò qualcosa di incomprensibile.
«Se ti può far stare meglio, non diremo niente a Sabrina. D'accordo?»
Lei annuì sollevata e si lasciò baciare.
«Brava ragazza. E guai a te se ti tratti di nuovo in questo modo, siamo intesi? Non sei un'assassina né una brutta persona. Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, quindi vedi di smetterla» le soffiò a due centimetri dalle labbra.
Lei sorrise timidamente, quasi vergognandosi per la sua reazione esagerata.
«Ti amo tanto» bisbigliò.
Lui l'abbracciò, tenendola stretta. «Anch'io ti amo, da morire».
Camminarono lentamente, gustandosi l'aria frizzante e i timidi raggi di sole che bagnavano la strada. Raggiunsero casa Marotta con le mani ancora intrecciate.
«Devi entrare con me, lo sai vero?». Tutta l'angoscia di poco prima era completamente svanita.
Il moro sospirò, fissando con una certa ostilità la porta d'ingresso.
«Devo proprio?»
Lei annuì, risoluta.
«Ma tua madre mi odia».
«Mia madre non ti odia. Al massimo non ti conosce, quindi si fa un'idea totalmente sbagliata di te. E poi, ti fidi di me?»
Mattia si ritrovò ad annuire a sua volta, anche se non era totalmente convinto.
Tuttavia si lasciò prendere per mano e guidare all'interno dell'abitazione.
«Non è al lavoro?» bisbigliò.
«No, oggi ha preso ferie. Deve andare a trovare sua zia in ospedale nel pomeriggio».
Arrivarono in cucina.
Giorgia era seduta al tavolo di legno, il giornale in una mano e una tazza di caffè americano nell'altra.
Quando li vide sgranò appena gli occhi.
«Paola, Mattia... perché non siete a scuola?»
«C'era assemblea, mamma. Ti ricordi? Te l'ho detto ieri».
«Giusto. Allora... c'è qualcosa che non va?» chiese lentamente.
La giovane respirò a fondo un paio di volte prima di rispondere. «Sì, mamma. Non posso sopportare che tu giudichi Mattia senza nemmeno conoscerlo. Voglio che vi conosciate meglio. Solo allora potrai decidere se ti piace oppure no. Vi lascerò soli per qualche minuto».
Il moro le rivolse un'occhiata scioccata, mentre la madre annuì, come se avesse passato la giornata ad aspettare quel momento.
«Torno tra poco».
Si sentì vagamente in colpa nel vedere il panico dipinto sulla faccia del suo ragazzo, ma ignorò quella sensazione e si accovacciò sul divano nel salotto, accendendo la tv.
Cambiò canale con una velocità umanamente impossibile, senza mai fermarsi su un programma.
Dieci minuti dopo Mattia uscì dalla cucina, un sorriso ad increspargli le labbra carnose.
«Allora?» esalò lei.
Non si era resa conto di quanto l'attesa l'avesse resa nervosa.
«Tutto a posto. Entra, deve dirti qualcosa» rispose lui, vago. Continuò a sorriderle incoraggiante; Paola fece come le era stato detto.
Sua madre la guardava ammirata.
«Mamma?»
«Dio mio Paola, riesci a procurarmene uno uguale? Ne fanno ancora?»
La ragazza, scioccata ed euforica insieme, esplose in una risata cristallina. «Posso informarmi se vuoi. Ma quindi ti piace?»
Giorgia annuì entusiasta.
«Non so quanto ancora dovrò scusarmi con tutti e due per essere stata così stupida. È un ragazzo fantastico, rispettoso, divertente, intelligente... bello» aggiunse, con un pizzico di malizia.
«Lo so» sospirò la figlia.
«Sono felice per te. Davvero».
Paola si protese oltre il tavolo e le scoccò un bacio su una guancia. «Adesso dobbiamo andare a casa di Sabrina. Ci vediamo stasera, va bene?»
«In orario per la cena, signorina».
«Sissignora».
Mattia l'accolse con un sorriso e un bacio sulla punta del naso.
«Ma cosa gli hai raccontato?» gli chiese, curiosa. «È praticamente innamorata di te!»
«Sono affari nostri, impicciona» rise lui mentre uscivano in strada.
«Dai!»
«Il mio segreto morirà con me».
«Antipatico».


Appena Sabrina, Gabriele, Francesca e Giorgio giunsero davanti alla porta di casa Lo Presti, una busta lasciata sullo zerbino rosso scuro attirò la loro attenzione.
«Cos'è?» chiese la voce di Mattia, alle loro spalle.
Lui e Paola stavano arrivando proprio in quel momento.
«Non lo so» mormorò Giorgio raccogliendo la busta.
La porse a Paola non appena fu al suo fianco.
«Perché devo leggerla io?»
«Perché si» tagliò corto lui, serafico.
Lei la aprì e si schiarì la voce.

Mi dispiace.
Per ogni cosa.
Mi dispiace per aver detto quella cattiveria a Sabrina. Non se lo meritava.
Mi dispiace per aver trattato di merda Gabriele.
Mi dispiace per aver ignorato Davide, nonostante l'amicizia che c'è stata tra di noi.
Mi dispiace di aver provocato Cristian, facendogli pesare la rottura con Nikki.
Mi dispiace di aver fatto incazzare Giorgio, sul serio. Sei sempre stato buono con me. E guarda come ti ho ripagato.
Mi dispiace di aver trattato Paola in quel modo. Scusa se ti ho dipinta come una puttana. Ti giuro che non penso niente di negativo su di te. Anzi, il contrario. Sono sicura che tu sia proprio il genere di persona che fa bene a Mattia. Lui ha davvero bisogno di te.
E Mattia, mi dispiace di essere stata così stronza.
Ho gettato su te e gli altri tutta la mia rabbia, la mia frustrazione.
Io sono stata male per te, non per colpa tua. Cercare di fartela pagare non ha il minimo senso.
Ero follemente innamorata di te, un tempo.
Posso affermare con sicurezza di non esserlo più.
Ti starai chiedendo perché allora continuo a scocciarti, vero?


Mattia fece una smorfia, ma Paola continuò a leggere.

Se ti ho infastidito fino a ieri era solo perché volevo che tu capissi che se sei sempre stata la mia debolezza. Naturalmente le mie azioni mi fanno apparire come una stronza psicotica, e non come una ragazza ferita.
Ho cercato di rovinare la tua relazione con Paola Marotta solo perché ero profondamente indispettita dal fatto che tu potessi essere di qualcun'altra.
Volevo che anche lei soffrisse per causa tua.
Ma poi ieri ho capito.
Io non ho sofferto per causa tua.
Io ho sofferto per causa mia.
Sono stata io, quella sera, a bandire i sentimenti.
E cosa dovevo aspettarmi? Cosa potevo ottenere se non un ragazzo freddo e distaccato?
Me la sono cercata.
Sono stata una stronza con tutti, ma soprattutto con me stessa. Cielo, dovrebbero internarmi.
Ad ogni modo, spero possiate capirmi.
So che non smetterete di odiarmi ... ma almeno capitemi.
Spero solo che un giorno, forse, riuscirete anche a perdonarmi.
Oggi torno al campus, e farò in modo di non farmi più vedere qui. O almeno, cercherò di non disturbarvi più.
E, Mattia... sono fiera di te.

-Alessia
Ps. Franci, mi manchi da morire.


Paola finì di leggere, la voce che vibrava.
Mattia le prese immediatamente il foglio tra le mani.
«Questa è senza dubbio la più grande raccolta di stronzate della storia» disse disgustato, osservando il foglio con una certa diffidenza.
«Forse è stata davvero sincera» protestò la ragazza, ma Gabriele la interruppe bruscamente.
«Alessia non è sincera. Alessia finge, finge continuamente. Chissà, domani potrebbe piombare qui e ucciderci tutti con un Kalashnikov».
Sabrina scosse il capo. «Naah» mormorò. Non sapeva neanche dove aveva trovato la voglia di aprire bocca, specie per ribattere a ciò che aveva detto Gabriele. «Stavolta è diverso. Non si è mai esposta tanto. Insomma... potremmo usarla contro di lei. Potremmo metterla in ridicolo a scuola e persino al campus. Io credo che lì ci sia scritta la verità. Se non tutta, una buona parte».
Paola annuì convinta e poggiò una mano sulla spalla della mora.
«Concordo in pieno» confermò.
Mattia e Gabriele continuavano a fissare il pezzo di carta con astio.
«Sembra impossibile che l'abbia scritta lei» sussurrò Francesca, appoggiata al braccio di Giorgio. «Insomma... per come è fatta Alessia, scrivere queste parole le sarà costata una fatica immensa. Doveva essere parecchio sconvolta».
«Esattamente» affermò Sabrina. «Quando si deve dire qualcosa di importante, spesso è più facile scriverlo. Di solito quando si scrive si è sinceri come non mai, perché non devi sostenere lo sguardo di nessuno, perché non devi sforzarti di mantenere un'espressione sul tuo viso. Se ha scelto di scriverci queste cose, allora quasi sicuramente è sincera».
Diede un rapido sguardo a Gabriele prima di raggiungere camera sua, chiudersi dentro a chiave ed affogare nelle sue stesse lacrime.


Era giunto il momento.
Era davvero giunto il momento.
Si posizionò meglio la borsa sulla spalla e prese un respiro profondo, lasciando che i polmoni si sgonfiassero e si rifornissero di ossigeno.
«Sei sicura, Sabri? Puoi rimandare se non te la senti».
Era la prima volta che Mattia le parlava senza l'intento di stuzzicarla e, date le circostanze, gliene fu grata.
«Tranquillo. Ce la faccio».
Erano lei, Mattia e Paola. Di Gabriele non c'era traccia. Il moro aveva detto di aver ricevuto un suo messaggio la sera prima: sarebbe probabilmente entrato un'ora dopo.
Sabrina aveva dovuto rivedere le sue decisioni: un conto era sbandierare davanti a tutta la scuola la storia del suo aborto sapendo che Gabriele era accanto a lei. Ma da sola non ce l'avrebbe mai fatta.
Perciò, quando Veronica, una ragazza del quarto anno con cui aveva pranzato un paio di volte, le si avvicinò, si preparò a mentire.
«Oh mio Dio, Sabrina! Sembra passato un secolo dall'ultima volta che sei venuta a scuola! Ho sentito che sei stata male... mi dispiace tantissimo! Cos'è stato?»
«Un aborto spontaneo. Brutta storia. Ma la stiamo superando insieme».
Per un folle istante, Sabrina credette che Mattia avesse preso parte a quella commedia.
Ma quella non era la voce di Mattia.
C'era solo una persona con quella voce carezzevole e allo stesso tempo ruvida, così roca e calda insieme.
Sentì la grande mano di Gabriele posarsi sul suo fianco prima ancora che lui finisse di parlare.
Veronica lo fissò scioccata, poi tornò a guardare Sabrina.
«Dice davvero?»
Lei annuì e basta. Non era sicura di riuscire a parlare senza scoppiare a piangere.
Appena la campanella iniziò a trillare si lanciò tra la folla, premendo per entrare a scuola.
Paola l'affiancò in un'istante e insieme scivolarono all'interno dell'edificio.
«Cos'è successo con Gabriele?»
Sabri scosse il capo, come per dire che ne avrebbero parlato in un altro momento. Intanto i ragazzi intorno a loro si affaccendavano davanti agli armadietti e alle bacheche affisse al muro.
Più il corridoio si riempiva, più Sabrina temeva di vedere Gabriele.
Le sue paure vennero confermate quando lui comparve da dietro l'angolo, Mattia al suo seguito.
«Io vado in classe» bofonchiò la mora, senza nemmeno sapere quale fosse la prima lezione del giorno.
Registrò lo sguardo apprensivo di Paola prima di allontanarsi a passo di marcia lungo il corridoio affollato.
«SABRINA!»
L'urlo del bruno la investì come uno tsunami.
Non si voltò, ma rallentò l'andatura, non sapendo come comportarsi.
«TI AMO
I libri le caddero dalle mani e sentì la bocca asciugarsi all'istante; il cervello lavorava febbrilmente alla ricerca di una risposta a quella frase. Si accorse a malapena che tutti si erano azzittiti e listavano fissando.
Si voltò per vedere un Gabriele con i capelli spettinati, braccia divaricate e gli occhi leggermente sbarrati. Sembrava un pazzo.
«MI HAI SENTITO, VERO? TI AMO! CON TUTTO ME STESSO!» gridò di nuovo il giovane, guardandola dritto negli occhi.
E in quel momento Sabrina capì esattamente cosa fare.
Scattò, mettendoci tutta la forza che aveva, e gli corse incontro; si lanciò su di lui, premendo le labbra sulle sue.
Una lacrima doveva esserle scappata comunque, perché le labbra del ragazzo erano salate.
Ma non le importava.
Attorno a loro tutti avevano cominciato ad applaudire, qualcuno addirittura fischiava in segno di approvazione.
Quando si staccarono, lei fece sfiorare i loro nasi e con una mano accarezzò una delle due fossette sulle guance.
«Grazie. Ti amo».
«Sono disposto ad urlarti che ti amo anche di fronte alla Regina».
«Non ho dubbi».


Paola e Mattia uscirono da scuola esausti ma soddisfatti.
Era stata una giornata pesantissima, disseminata di verifiche dagli argomenti impossibili e scandita dai continui baci tra Sabrina e Gabriele.
Era bello vederli finalmente insieme.
Paola non aveva fatto altro che guardarli di sottecchi, spiando i loro comportamenti; aveva avuto paura che avrebbe potuto esserci dell'imbarazzo o dell'incertezza, ma il braccio del bruno costantemente allacciato alla vita della mora aveva scacciato tutti i suoi dubbi.
Le giornate cominciavano ad accorciarsi; il cielo si era tinto di un rosa tenue, mente il sole si tuffava oltre le case.
«Allora? Si può sapere cos'hai detto a mia madre?» gli chiese, mentre Gabriele e Sabrina passavano accanto a loro, mano nella mano, diretti a casa Lo Presti. La mora le mimò un "a dopo" con le labbra.
Mattia le sorrise di sbieco, prima di afferrarle un polso e spingerla dolcemente contro il muro dell'edificio scolastico.
«Vuoi davvero saperlo?»
«Assolutamente».
Era incredibile come, dopo quasi tre mesi dal loro primo incontro, lui potesse ancora lasciarla senza fiato.
Quelle ciglia lunghissime, quegli occhi verdi, quelle labbra piene, la linea della mascella... tutto in lui riusciva farle girare la testa.
«Le ho detto che mi hai salvato».
Paola lottò per non scoppiare in lacrime.
«Sei il solito esagerato» disse invece, cercando di non far tremare la voce; evidentemente fallì, perché lui le prese il viso tra le manie la fissò intensamente negli occhi.
Dietro di lui intanto il cielo si faceva sempre più rosso, creando degli strani giochi di luce.
Attorno a loro i ragazzi sciamavano fuori dal portone della scuola, ma era come essere da soli.
«Non esagero mai quando si tratta di te. Non esagero se ti dico che averti notata a scuola tempo fa è stata una delle cose più giuste che io abbia mai fatto. Non esagero se ti dico che quando ti ho al mio fianco sono veramente felice. Non credere mai che io stia esagerando con te».
Lei gli allacciò le braccia attorno al collo e posò la fronte contro quella di lui.
«Voglio stare con te per sempre».
«Io ti vorrò sempre» rispose lui, accarezzandole i capelli morbidi.
«Grazie, Mattia» disse lei, la voce che si incrinava ogni sillaba sempre di più.
Lui rispose con un bacio.
Fu così che li sorprese il sole, infuocato all'orizzonte, i raggi color rubino a sigillare quell'unione di labbra, di profumi, di anime.



Cùcù, Paola e Mattia non ci sono più! 

A domani, con l'epilogo e i ringraziamenti!

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