«Ha preso tutto, signorina?»
L'infermiera osservò Sabrina mentre chiudeva a fatica il trolley grigio e si arrotolava la sciarpa intorno al collo.
«Sì, grazie» sorrise la ragazza, aprendo velocemente le antine dell'armadio per controllare che non ci fosse niente che aveva dimenticato.
In quel momento un paio di colpi sulla porta la fecero voltare.
«Cristian!» esclamò felice, correndogli incontro e abbracciandolo.
Il fratello la strinse a sé sorridendo e chiudendo gli occhi. «Devo ammettere che non averti in casa sta diventando massacrante».
La mora sghignazzò soddisfatta e lo scansò quando notò un movimento alle sue spalle.
«Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere se fossimo venuti in due a prenderti» le disse Cristian mentre l'infermiera abbandonava la stanza per lasciare entrare Gabriele.
«Gabri» sussurrò la giovane, meravigliata.
Non si vedevano da un po', e ritrovarselo davanti in quella camera deprimente ricordava le scene nei film romantici, dove uno dei due era un malato terminale che rivedeva l'amore della sua vita per l'ultima volta. Ma Sabrina non era un malato terminale, e il suo utero era guarito. E Gabriele non era esattamente l'amore della sua vita... o forse sì, ma lui non lo sapeva. Non ancora.
Si portò davanti a lui, districandosi dall'abbraccio del fratello e osservando il bruno.
Gabriele si portò una mano sulla nuca, imbarazzato e sorridente al tempo stesso.
«Ti sono mancato, eh?» tentò, con il suo solito tono sicuro e leggero.
Lei annuì senza aggiungere altro, esultando interiormente quando vide un'ombra di insoddisfazione calare su quelle gemme verdi.
Si aspettava molto di più di un cenno del capo, era evidente.
«Avresti potuto venire l'altra sera» lo rimproverò lei, per poi aggiungere: «Cristian, Davide e Giorgio sono venuti a trovarmi. Mattia e Paola stavano contribuendo al surriscaldamento globale, quindi li perdono. Ma tu?» chiese, con gli occhi socchiusi.
Vide il giovane annaspare leggermente, in agitazione.
Rise di gusto, lasciandolo meravigliato per l'ennesima volta, e gli prese il volto tra le mani, lasciandolo spiazzato, per l'ennesima volta.
«Lascia stare» gli soffiò sulle labbra.
Quando furono a pochi centimetri di distanza, un colpo di tosse di Cristian li fece separare.
«Sei un guastafeste» ringhiò Gabriele mentre lei lo lasciava andare ridacchiando e l'amico borbottava qualcosa di incomprensibile. Gabriele prese la valigia della giovane e si diresse fuori dalla stanza, mentre gli altri due lo seguivano.
Quando furono nell'atrio, la mora li fermò.
«Datemi un secondo» si scusò.
«C'è qualche problema?» le chiese Gabriele, portandosi immediatamente alle sue spalle come una specie di guardia del corpo.
«No Gabri, rilassati. Devo lasciare una cosa alla psicologa» lo rassicurò lei, sventolando un foglio piegato in quattro davanti al suo viso.
Ci mise solo pochi secondi, affidando il foglio alla donna seduta dietro al bancone della reception e ritornando dai due ragazzi con un timido sorriso stampato sul viso.
«Andiamo?»
Quando furono fuori dall'ospedale, Sabrina fece un sospiro soddisfatto e inspirò quanta più aria poteva.
Gabriele l'osservò rapito; sembrava cambiata. Era sempre lei certo, ma era più matura. L'aveva visto nel suo sguardo più consapevole, nei suoi gesti controllati, nel suo sorriso... dolce. I sorrisi di Sabrina erano sempre gioiosi, maliziosi, canzonatori, sarcastici, sinceri, ma mai dolci. E ora sembrava non poterne fare a meno. Sembrava che si fosse tolta un peso dallo stomaco.
Il bruno precipitò nel panico quando notò che il sorriso stava sparendo da quel volto perfetto.
Seguì lo sguardo vitreo della giovane e incontrò le figure di un uomo, sulla trentina, e di una donna che gli teneva la mano mentre con l'altra si accarezzava il ventre gonfio.
Gli occhi di Sabrina non accennavano ad abbandonarli, mentre le iridi sembravano più lucide.
«Ehi» le fu subito accanto il moro.
«Sto bene» lo rassicurò lei, distogliendo finalmente lo sguardo.
Gabriele appoggiò il trolley sul marciapiede e la voltò verso di sé, obbligandola a guardarlo.
«Avrai il tuo bambino un giorno, okay?»
Lei annuì impercettibilmente, mentre le lacrime presero a scorrerle inevitabilmente sulle guance.
Poi farfugliò qualcosa.
«Come?» chiese lui.
Ma la ragazza scosse il capo, asciugandosi le gote e distendendo le labbra in un largo sorriso.
«Niente, andiamo a casa» disse, raggiungendo Cristian che intanto aveva aperto il baule dell'auto.
Gabriele rimase immobile.
Perché Gabriele aveva sentito.
Gabriele aveva capito cos'aveva farfugliato Sabrina tra le lacrime.
"Ma io volevo il nostro bambino"
Francesca e Paola sistemavano le ciotole traboccanti di patatine e pop-corn sul tavolo nell'enorme sala di casa Lo Presti, mentre Davide e Giorgio litigavano con un il lenzuolo decorato che non voleva saperne di rimanere appeso.
Valentina invece rimaneva immobile al centro della stanza, il naso all'insù, intenta ad osservare i libri e i quadri che tappezzavano le pareti. Le sembrava di essere in quel programma di Mtv dove i ragazzini viziati mostravano orgogliosi le loro case spaziali. Lì però non c'erano ragazzini viziati; anzi erano tutti molto gentili con lei.
Non sapeva come Paola fosse riuscita a convincerla a partecipare ai preparativi per quella festa a sorpresa. Forse esattamente come aveva convinto i coniugi Lo Presti ad uscire a cena quella sera.
Non sapeva neanche perché lei avesse accettato. Forse perché quel pomeriggio si prospettava noioso.
Forse perché l'assemblea del giorno dopo aveva dato a lei e ad altre decine di persone il motivo per far festa quella sera e svegliarsi il pomeriggio successivo.
«Vale mi passi il punch?»
Valentina uscì dal suo stato comatoso e si guardò attorno, smarrita.
Paola la stava fissando in attesa.
«Certo» borbottò.
Si allungò verso il carrello per pietanze e afferrò con attenzione l'enorme ciotola piena di liquido rosso scuro; sudando freddo perla paura di farlo cadere – era pesante – arrivò al tavolo delle cose da mangiare e lo posizionò esattamente dove l'amica le indicava.
«Hai mai incontrato Sabrina?» le chiese Francesca sorridente.
Le piaceva Francesca. Era tranquilla ed allegra allo stesso tempo, sempre sorridente e cordiale. E aveva passato insieme a lei solo mezz'ora.
«Sì. A scuola» rispose Valentina sulla difensiva.
Eccola, la sua brutta abitudine.
Aveva sempre paura che le persone la inquadrassero male, che la reputassero una ragazza antipatica, scontrosa o chiusa.
Lei non lo era affatto, ma la sua insicurezza poteva lasciare intendere il contrario.
«Ma abbiamo scambiato solo poche parole in questi anni» si affrettò ad aggiungere.
La mora annuì e le sorrise, scomparendo oltre la porta della sala alla ricerca di altre patatine.
«Ma... che... cazzo!» esclamò Giorgio lasciando cadere il lenzuolo e scioccando Davide, che spalancò la bocca.
«Che c'è?» rise Paola.
«Questo coso non resta su» ringhiò il ragazzo, allontanandosi nervosamente dal muro. «Certo che se il tuo ragazzo fosse qui ad aiutarci» frecciò.
Paola sorrise. «Suo padre è appena tornato. Lascia che passino un po' di tempo insieme».
«Il tempo insieme dovrebbero passarlo i suoi genitori» disse Giorgio esasperato.
«Calmati, vecchia megera» lo rimbeccò Mattia entrando nel salone accompagnato da Francesca.
«Alla buon ora» mugugnò l'altro.
Il moro lo ignorò e andò incontro a Paola, baciandola leggermente sulle labbra mentre le circondava la vita con un braccio.
«Dovete anche accoppiarvi?» insisté Giorgio in tono acido.
Francesca gli lanciò uno sguardo di rimprovero accompagnato da un sibilo indisposto.
Il ragazzo tornò vicino a Davide, aiutandolo a raccogliere il lenzuolo da terra.
«Vado ad aiutare quei due» sussurrò Mattia alla ragazza, stringendola ancora un momento a sé per poi allontanarsi.
«Allora Vale» la chiamò Paola facendo voltare la ragazza che si sistemò una ciocca di capelli color bronzo dietro all'orecchio. «Che te ne pare?»
Quella scrollò le spalle. «A parte il lenzuolo non c'è male».
Paola abbassò la voce: «Non parlavo dei preparativi, ma delle persone».
Valentina annuì imbarazzata. «Be' tesoro, non li conosco ancora, ma per ora mi sembrano tutti simpatici. È solo che essere a casa Lo Presti... con i ragazzi che un tempo erano i più popolari della scuola... e a dire la verità tre di loro lo sono ancora... anche se per il momento Tufi e la sorella di Lo Presti devono ancora arrivare, quindi c'è solo Bellegrandi... ma forse a te da fastidio che li chiami per cognome, dopotutto sono tuoi amici e io-»
«Vale, frena!» la interruppe l'altra ridendo. «Non sei a tuo agio» constatò poi preoccupata.
L'amica sbarrò appena gli occhi. «No, davvero, lo sono. È che è un po' strano, tutto qui».
Poli annuì dubbiosa per poi prendere sottobraccio Valentina e trascinarla con sé in cucina.
«Ma che fai?» rise quella.
«Dobbiamo cucinare cupcakes. Tanti cupcakes. Sabri adora i cupcakes».
«Gabri, sono stanca. Voglio andare a casa, ora!» si lamentò la mora, tentando di alzarsi dalla panchina.
Il ragazzo avviluppò il braccio attorno alla vita di lei ancora più ermeticamente, impedendole qualsiasi movimento e scatenando una miriade di insulti.
«Gabriele!» protestò Sabrina.
Lui sbuffò, non accennando a lasciarla libera. «Perché devi rovinare questo momento poetico?»
«Poetico un cazzo, Tufi. Siamo in giro da sei ore. Hai seminato Cristian ,rubato due coni gelato, spaventato decine di piccioni e ti sei anche fatto prendere a borsettate da una nonna. Soffri di schizofrenia?»
Il bruno assunse un'espressione imbronciata e la fissò di sottecchi.
«Non giocare a cucciolo ferito. Sono troppo affamata e infreddolita per farci caso».
Gabriele la strinse contro il suo petto, forzandola a mettere la testa nell'incavo del suo collo.
«Fingi che ti piaccia» rise.
Anche lei fece una risata leggera. «Non devo fingere» bisbigliò.
Lui sentì il cuore mancargli un battito. «Che hai detto?»
Sabrina percepiva il suo sorriso anche se non poteva vederlo. «Sai che non lo ripeterò» borbottò.
«Ma io voglio che tu lo ripeta» si lagnò.
«Niente da fare» sussurrò lei accucciandosi contro di lui.
«Ce ne hai messo di tempo per diventare così mansueta oggi. Sei ore» ghignò.
Lei fece finta di nulla e continuò ad inspirare il delicato aroma di dopobarba che sprigionava il collo di Gabriele. Con un piccolo moto di vendetta, infilò le mani gelide sotto la giacca di lui, causandogli brividi e qualche imprecazione sommessa.
«Chissà cosa pensa chi ci vede» rifletté il giovane.
La mora sospirò. «Ho smesso di preoccuparmi di quello che pensa la gente». Rimase qualche istante a occhi chiusi, respirando soltanto.«Cos'avete detto a scuola?»
«Un'ulcera. Non grave, ma ti ha tenuta in ospedale per un po'».
Lei annuì, pensierosa.
«Che c'è?»
Sabrina scosse il capo. «Perché non posso dire la verità?»
«Certo che puoi dirla. È solo che non so quanto ti convenga».
«Che intendi?» chiese lei riemergendo dal suo collo e guardandolo negli occhi.
«Potrebbero pensare male. O peggio, parlare male. Le voci corrono».
«In questi anni hanno detto cose su di me che nemmeno io sapevo. Secondo le voci io ho perso la verginità con Matteo Accorsi nel bagno del secondo piano al primo anno. Secondo le voci io mi sfondavo di cocaina, e quando ho fatto quella vacanza studio in America sono andata a disintossicarmi. Secondo le voci io e Cristian siamo stati adottati e i nostri genitori in realtà lavorano per l'Interpol».
Gabriele rimase in silenzio.
«Ripeto: non mi interessa di quello che dirà la gente di me. Ho fatto fatica ad ammettere di aver perso un bambino. Ho fatto fatica ad ammettere che quel bambino lo volevo. Ho fatto fatica ad ammettere che in realtà tengo molto di più a certe persone di quello che lascio intendere. Non ho intenzione di mentire agli altri e di conseguenza a me stessa».
Si alzò dalla panchina, questa volta senza incontrare alcun ostacolo, e si mise di fronte al bruno.
«Sei con me?»
Lui le puntò addosso gli occhi, abbagliandola.
«Ero con te quando scambiavamo il barattolo del sale e quello dello zucchero a mia madre. – entrambi sorrisero al ricordo – Ero con te quando hai imparato ad andare in bicicletta. Ero con te quando manomettevamo il motore della motosega al vostro giardiniere e alla fine lui si licenziò. Ero con te quando ti sei ubriacata la prima volta. Quindi sì, sono con te, anche ora».
Lei sorrise ed accolse di buon grado l'abbraccio che lui le diede non appena si alzò.
«E se qualcuno dovesse fare qualche commento poco carino su di te, prima lo gonfio – uomo o donna che sia – e poi gli assicuro che sono l'unico ad aver conosciuto la tua vagi-»
«Gabriele abbassa quella cazzo di voce!» lo rimbeccò lei ridendo.
Il giovane rise a sua volta, prendendole la mano mentre ricominciavano a passeggiare per il parco.
Guardò poi l'orologio da polso e fece un piccolo saltello sul posto.
«Oh merda. È tardi!»
«Sono venti minuti che cerco di dirtelo».
«Andiamo, ti porto a casa. Cristian vorrà uccidermi».
«Spero tu stia scherzando, Gabriele».
«Ti dico che non c'è nessuno!» insisté lui.
«Mio fratello è un cazzone. Dove diavolo è finito?» sbraitò Sabrina scrutando le pareti esterne della casa.
«Non ne ho idea. Come fai ad entrare?»
«È esattamente questo il mio problema!»
Prima che potesse aggiungere qualsiasi altra cosa, la porta d'ingresso di casa Lo Presti si spalancò violentemente e un boato li investì.
Mezza intontita, la mora vide Cristian, Mattia, Paola e tutti gli altri –più una trentina di persone dietro di loro – sorriderle e gridarle qualcosa come «sorpresa!».
«Ma cosa...?»
«Bentornata!» strillò Paola andandole incontro e stritolandola in un abbraccio mozzafiato.
«T-tu hai organizzato tutto questo?» chiese incredula.
«Io, Mattia, Davide, Francesca, Cristian, Valentina, Gabriele, Giorgio...»
«Ma certo, il mio nome diciamolo pure per ultimo. Ho soltanto appeso un lenzuolo che pesava una tonnellata» la interruppe Giorgio acido, un braccio attorno alla vita della sua ragazza e uno che reggeva un bicchiere di birra.
«Un lenzuolo?»
«Dopo lo vedrai» Paola liquidò la questione con un gesto noncurante con la mano.
«Col cazzo»disse Giorgio serafico, afferrando Sabrina per un polso e trascinandola all'interno della casa, dove nel salone faceva bella mostra di sé il lenzuolo decorato con caratteri cubitali rossi scintillanti:
Ci sei mancata, Sabri!
La mora rimase a fissarlo qualche istante, incredula.
Paola e gli altri, alle sue spalle, attendevano.
Quando si voltò verso di loro, notarono che i suoi occhi chiari scintillavano.
«Grazie ragazzi. È semplicemente magnifico».
«Sei stata grandiosa» le sussurrò Mattia all'orecchio.
Paola si voltò, il bicchiere di punch stretto in mano e un sorriso stampato sul viso.
«Davvero?»
Lui coprì la distanza tra i loro volti in un secondo e fece combaciare le loro labbra, lasciando che il corpo cedevole della ragazza si modellasse contro il suo.
«Sì» mormorò, quando lei si staccò da lui.
Paola gli cinse il collo con le braccia e gli depositò un bacio sulla punta del naso, facendolo sorridere.
Sorriso che si gelò dopo pochi secondi.
Poli lo guardò interrogativa, cercando di seguire il suo sguardo. «Matti...?»
Lui la prese per un braccio e la fece voltare verso la rampa di scale dietro di loro, trascinandola su per i gradini.
«Ma che fai?» protestò la giovane, cercando di liberarsi dalla presa.
«Andiamo di sopra» disse lui lapidario.
Le fece paura.
Non aveva mai visto Mattia così fuori di sé. Sembrava un pazzo, con gli occhi fuori dalle orbite e la mascella contratta.
«Mattia, rispondimi!» si impose lei, puntando i piedi e sentendo la rabbia montare dentro di lei.
Lui, non riuscendo a farla camminare un passo di più, la prese in braccio, caricandosela su una spalla.
«MATTIA!» protestò, furiosa, scalciando freneticamente.
«Poli, rilassati» disse lui, respirando profondamente.
«No che non mi calmo! Mettimi giù immediatamente!»
«Stai calma».
Lei si accorse di essere in camera di Sabrina quando lui la depositò sul letto ricoperto dalla trapunta blu. Guardò il ragazzo, che nel frattempo aveva chiuso la porta con un calcio.
«Si può sapere cosa c'è?» chiese Poli, fissandolo con ira crescente. Stava rovinando la festa!
Lo vide prendere un grande respiro per poi sedersi accanto a lei.
«Niente piccola, c'è troppa gente di sotto. Volevo stare un po' da solo con te».
Lei lo fissò con indignazione. «Mi credi una stupida, Bellegrandi?»
Il giovane sbuffò contrariato e si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli.
«Quale diavolo è il problema?»
Lo guardò camminare avanti e indietro nella stanza della più piccola di casa Lo Presti; andava fino alla finestra, dava un'occhiata al di fuori, tornava indietro. Per dieci volte almeno. Stava per decidersi ad alzarsi e tornare di sotto quando lui parlò.
«Alessia. Ecco il problema».
«Non capisc-»
«L'hai invitata tu?» la interruppe.
«Cosa? Ma di che stai parlando?» farfugliò la ragazza, temendo per la sanità del moro.
Mattia tirò un pungo contro il muro e, ignorando il gridolino spaventato di Paola, le afferrò le spalle.
«Perché quella stronza è qui?»
«Alessia è qui?» mormorò lei spiazzata.
Lui annuì.
«Io non l'ho invitata. Forse è stato Gabriele. O qualcun altro».
«La odiano tutti, dubito che qualcuno possa averla invitata» disse, guardandola intensamente.
Poi Paola capì.
«Pensi che sia stata io? Solo perché ho chiacchierato con lei al Vesuvio?»
Lui non disse nulla, ma era chiaro che era proprio quello a cui stava pensando.
La lasciò andare e si sedette sul bordo del letto, sospirando.
«Poli, posso capire che a prima vista sembri una ragazza dolce e carina. Proprio come te. Ma siete le persone più diverse che esistano. Te lo posso assicurare. Ammesso e non concesso che sia stata carina con te quella volta, Alessia è una vipera. Morde quando meno te lo aspetti e usa le persone per i suoi scopi da oca viziata. Non farti infinocchiare da quell'aria da finta santarellina».
«Mattia» disse lei, calma, «io non l'ho invitata. Potrà anche essere stata carina con me al locale... ma rimane una tua ex. E io invece sono la tua attuale ragazza. Non potremmo mai andare d'accordo veramente».
Lui parve soddisfatto. Si alzò e la baciò su una tempia.
«Non capisco quale sia il tuo problema a stare giù con tutti gli altri e con... lei» gli chiese.
«Il problema è che il solo vedere la sua faccia da mancata top model mi manda in crisi. Mi fa incazzare, mi dà fastidio» disse lui controvoglia.
Poli gli sfiorò la guancia con il dorso della mano.
«So cosa ti ha fatto. Ma ora non sei più quel ragazzo, no? Sei diverso, sei una persona meravigliosa. E sei con me. Fanculo quella stronza» ridacchiò, facendo una smorfia.
Mattia le sorrise e le cinse la vita con un braccio.
«Marotta violenta» sussurrò. «Mi piace».
Era sempre pronta a difenderlo, a schierarsi dalla sua parte. Nessuna l'aveva mai fatto.
Avvicinò il volto al collo di lei e lasciò che il suo respiro caldo si infrangesse sopra la pelle sensibile.
Paola sospirò.
«E se aspettassimo ancora un po' prima di scendere?»
Il corpo di lei reagì a quelle parole con una scossa al bassoventre.
Lui non attese una risposta; appoggiò una mano alla base della sua schiena e la fece inarcare leggermente, iniziando a baciarle la gola. Ogni tanto lasciava saettare la lingua al di fuori delle labbra, creando una scia umida che si arrestò sopra alla scollatura della maglietta grigia.
«Allora? Vuoi scendere o restiamo qui?»
Il ragazzo si intrufolò sotto al tessuto argentato, accarezzando la pelle morbida del ventre, concentrandosi sulla zona attorno all'ombelico.
«Forse possiamo aspettare un pochino prima di scendere» esalò lei tutto d'un fiato.
Si amarono ancora e ancora... come solo loro sapevano fare.
«Ti amo» sussurrò Mattia.
Lei, stremata, trovò le forze per puntellarsi su un gomito e guardarlo negli occhi.
«Ti amo anch'io».
Gli lasciò un bacio nell'angolo della bocca e appoggiò la testa sul petto di lui, rannicchiando le ginocchia.
Rimasero immobili e in silenzio per qualche istante.
Lui le accarezzava i capelli mentre Paola disegnava ghirigori immaginari sui suoi pettorali.
«Dovremmo scendere» le ricordò ad un tratto.
«Sì» disse lei pigra. «Si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto».
«Probabilmente l'hanno intuito».
Mattia aveva ragione.
Quando raggiunsero gli altri al piano di sotto, Giorgio e Cristian scoppiarono a ridere, mentre Gabriele li guardava ammirato.
«Vi siete divertiti?» chiese loro Cristian, sgranocchiando una manciata di patatine.
«Ma è così lampante?» disse Paola in tono lamentoso.
«Tesoro, i tuoi capelli e la tua faccia urlano 'sesso'» la informò Giorgio, sorseggiando la birra dal bicchiere di plastica rossa.
La ragazza si imbronciò, rimanendo in silenzio.
Solo quando percorse con lo sguardo la cucina si accorse che mancava qualcuno.
«Dov'è Valentina?»
«Mmm... l'ho vista di là con una bionda» le rispose Francesca.
Sabrina parve riscuotersi da un coma vigile.
«Scusate ragazzi» disse osservando Mattia e Paola. «Posso chiedervi dove di preciso avete deciso di darvi alla pazza gioia?»
Mattia tossicchiò e Paola arrossì, prendendolo per mano e dirigendosi verso la porta della cucina.
Mentre tutti scoppiavano a ridere, la mora li osservava indignata.
«Nel mio letto, vero?»
La coppia udì un «vi uccido!» gridato contro di loro mentre la porta della cucina si richiudeva dietro le loro spalle.
Mentre si facevano spazio tra la folla, ridendo per la reazione di Sabrina, Paola andò a scontrarsi contro qualcuno.
«Scus-»
Si bloccò quando lo sguaro freddo di Vanessa si fermò su di lei.
Mi piange il cuore pensare che sia uno degli ultimi capitoli!:(
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L'amore è qua
Romance«Un bacio sulla guancia» era disgustato. «Di nuovo». «Sta’ zitto Gabri. Sto cercando di seguire». Il bruno non si arrese, e prese il gomito dell’amico, facendolo distrarre nuovamente. «Voglio seguire questa fottuta lezione, Gabriele. Lasciami in pac...