Vanessa era appesa al suo braccio, e non accennava a lasciarla andare, nemmeno quando giunsero a casa sua.
«Sei arrivata a casa» le sibilò Poli, cercando di liberarsi dalla sua morsa.
«Sai che non me ne andrò finché non mi dirai la verità» minacciò l'altra, intensificando la stretta.
«Vanessa Guidolin!»esclamò Paola esasperata. «Non c'è nessuna verità da raccontare!»
«E ti aspetti anche che io ti creda?» farfugliò lei, mentre l'amica la sospingeva verso la porta di casa.
«Devi credermi, perché non c'è davvero nulla da sapere. Ci vediamo domani» rise Poli, allontanandosi velocemente dalla bionda e scappando nella direzione opposta.
Sentì le proteste di Vanessa per qualche metro, poi udì in lontananza la porta d'ingresso che sbatteva.
Sospirò. Non le piaceva mentire alla sua migliore amica, non l'aveva mai fatto prima, o almeno non su cose importanti. Anche se sapeva che quella di Vanessa era tutta una sceneggiata e che l'indomani si sarebbero trovate come al solito davanti alla scuola, si sentiva incolpa.
Non che questa fosse una faccenda di vita o di morte, ma era comunque qualcosa che due normali ragazze avrebbero dovuto condividere.
Ma comunque – ci aveva pensato tutta la giornata – a quella maledetta festa non ci avrebbe messo piede, nemmeno morta.
Aveva passato tutta l'ora di trigonometria stilando una lista di pro e contro.
Inutile dire che tra i pro faceva bella mostra una frase scritta con tanto di cuoricini sopra le 'i' (che poi aveva rabbiosamente cancellato con il bianchetto): "Mattia Bellegrandi è bellissimo".
Nei contro aveva ribattuto con un "va con tutte" e l'aveva sottolineato. Più volte.
Alla fine dell'ora era rimasta con gli stessi dubbi e la consapevolezza che quella scelta non sarebbe stata semplice. Ma la cosa la convinse a dire un secco no alla festa fu Vanessa: non se la sentiva di mentirle.
Sospirando, giunse a casa, dove sua madre l'attendeva sorridente.
«Tesoro!» l'abbracciò. «Allora, com'è andata?»
Poli si sforzò di sembrare allegra. «Bene, ma quest'anno avrò pochissime ore da passare con Vane».
Giorgia guardò la figlia affettuosamente. «Puoi vederla quando vuoi, fuori da scuola. Così ti farai nuovi amici, no?»
«Eh già...»
Mentre la madre tornava in cucina a preparare la cena, Paola prese la decisione.
Nuovi amici.
Conoscere gente.
Non poteva avere solo quel gruppetto di amiche. Le adorava, certo, ma non era giusto frequentare sempre le stesse persone.
«Mamma...»
«Mm?»
La raggiunse in cucina e la osservò mentre sbucciava delle patate.
«A voi andrebbe bene se questa sera andassi ad una festa?»
Giorgia sorrise. «Ma certo. Dove?»
«In via Fiore» disse Poli tutto d'un fiato. «Amici di amici» mormorò vaga.
«Amici di amici?»rise la madre. «Fai la misteriosa con me?»
«Non faccio la misteriosa... è così» borbottò.
«Va bene, ma non tornare tardi, domani c'è scuola. E non prenderci l'abitudine, questa è un'eccezione» la redarguì Giorgia agitando un dito con fare minaccioso che non le si addiceva per niente,
«Okay, promesso. Grazie mamma».
«Di niente. Ceni a casa?»
«Sì,la festa è alle nove e mezzo».
«Bene».
«Vado a farmi la doccia».
Mentre l'acqua tiepida le scorreva sui capelli castani, Poli ripensava a quello che aveva appena fatto. Doveva essere completamente pazza!
Non poteva andare a quella festa, era una follia! Non aveva un accompagnatore, non aveva un vestito adatto, non sapeva farsi una pettinatura decente. Quello era un vero e proprio suicidio sociale.
Si frizionò i capelli con l'asciugamano e corse in camera, dove aprì l'armadio con violenza.
Frugò incessantemente tra gli indumenti, imprecando ogni qual volta le capitava tra le mani una maglietta schifosamente infantile o un pantalone della tuta.
Finalmente trovò una canottiera che poteva essere definita 'carina'.
Rossa, ricoperta di pailettes dello stesso colore. L'aveva messa solo una volta, ad una festa al mare durante l'estate. Era leggermente scollata e abbastanza lunga.
Scelse degli shorts di jeans, ma non troppo corti: non voleva dare l'impressione di essere in mutande.
Indossò gli indumenti e si controllò allo specchio; il risultato non era male, ma ora veniva la nota dolente: i capelli.
Sospirò guardando la lunga chioma di boccoli biondi indomabili. Anche se non erano crespi o annodati, erano praticamente impossibili da lisciare oda arricciare ulteriormente. Potevano essere sempre e solo boccoli.
Prese un elastico rosso acceso dalla scrivania e una spazzola. Portò tutti i capelli all'indietro e li sollevò in una coda alta e stretta.
Paola si piaceva con la coda, perché lasciava il collo da cigno completamente libero.
Scelse un paio di orecchini lunghi e pieni di brillantini.
Non era così male, tutto sommato. Poteva andare.
Non appena si fu infilata nelle scarpe (basse, da tennis) si pentì della sua decisione. Mancava solo un'ora e mezza all'inizio della festa, e lei era consumata dall'ansia.
Era ancora in tempo per rifiutarsi, per cambiare idea. Si sarebbe inventata una balla, dicendo ai suoi che non si sentiva molto bene, o che la festa era stata annullata.
Ma non poteva sempre isolarsi. Non ora. Ad aprile avrebbe festeggiato i diciotto anni, era ora di dare una svolta alla sua vita. Andare ad una festa non era una decisione così sconvolgente, ma almeno, sperava, le avrebbe permesso di conoscere un po' di gente.
Si alzò dal bordo del letto e volò al piano terra, dove Giorgia stava apparecchiando.
La madre si interruppe e guardò Paola.
«Tesoro, stai benissimo!» esclamò soddisfatta. «Non ti trucchi?»
Paola afferrò un pop corn da una ciotolina appoggiata sul tavolo e lo sgranocchiò. «Sì, prima di andare».
«Ma ci vai da sola?»
«Mmm».
«E Vanessa?»
Per poco il secondo pop corn non le andò di traverso. «Lei... non può venire».
«Oh,capisco. I suoi non le danno il permesso?»
«Ehm...no... aveva una specie di cena di famiglia... non ho capito bene».
La madre sorrise e continuò ad apparecchiare.
Non appena Stefano Marotta arrivò a casa, la famiglia si mise a tavola; Poli ascoltò distrattamente gli aneddoti freschi freschi di giornata dal padre, mentre giocava con un pezzo di arrosto, sovrappensiero.
Fu la voce di sua madre a riscuoterla da quella specie di trans.
«Tesoro,non devi andare alla festa?»
Allarmata, Paola lanciò un'occhiata all'orologio appeso alla parete. Le nove meno dieci.
Merda.
Emise un gridolino, agitata, ma rimase saldamente ancorata alla sedia.
Era atterrita: non era sicura di voler andare alla festa (che significava rivedere quegli occhi), era terrorizzata perché sarebbe arrivata in ritardo, ed era anche spaventata dall'eventualità di non trovare la casa e quindi di dover chiamare Bellegrandi.
Si alzò di scatto e si diresse a passo di marcia in bagno, dove si lavò i denti e si truccò a velocità record.
Giunta nell'ingresso osservò l'appendiabiti.
«Mamma, mi presti la tua pochette bianca, per favore?». Sarebbe stata in tinta con le scarpe.
La madre arrivò e gliela porse, raccomandandole di riportarla a casa integra.
«A casa per mezzanotte al massimo».
Poli si trattenne dal fare una smorfia. E chi ce l'avrebbe fatta a resistere fino a mezzanotte? Probabilmente avrebbe lasciato la festa alle dieci e mezzo e sarebbe rimasta un po' in giro a camminare fino a tirare le undici, orario decente per tornare da una festa il lunedì sera.
«D'accordo mamma».
Via Fiore. Non era lontana da casa sua.
Camminò rapidamente: il display del telefono la informò che erano già le nove e quattordici.
Il numero era... il ventiquattro. Si.
Svoltato l'angolo della biblioteca non fu difficile individuare la casa giusta: il giardino pullulava già di ragazzi e ragazze, e la musicasi sentiva dall'inizio della strada.
Con il cuore che batteva come un tamburo, Paola si spinse fino al cancello, aperto.
Non ce la poteva fare.
Conosci gente, fatti conoscere.
Rivedi quegli occhi.
Sospirò e lo oltrepassò.
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L'amore è qua
Romance«Un bacio sulla guancia» era disgustato. «Di nuovo». «Sta’ zitto Gabri. Sto cercando di seguire». Il bruno non si arrese, e prese il gomito dell’amico, facendolo distrarre nuovamente. «Voglio seguire questa fottuta lezione, Gabriele. Lasciami in pac...