Capitolo 11

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Paola osservò con aria truce il libro di matematica, rassegnata all'idea che avrebbe dovuto passare il pomeriggio a studiare in vista del test d'ingresso.
Sfogliò di malavoglia le pagine, ignorando le parti evidenziate ed evitando di concentrarsi, prendendo tempo.
Non sarebbe riuscita a studiare, lo sapeva. La vocina acida nella sua testa non faceva altro che ripeterle che era stata una stupida a fidarsi di Bellegrandi.
Per di più, il computer poco lontano dalla sua postazione, sembrava invitarla ad entrare su Facebook per proseguire con la visione delle foto di Mattia.
Esasperata, la ragazza chiuse il libro con un gesto secco.
Afferrò la borsa di tela bianca dal letto e uscì in fretta dalla stanza.
Infondo, fare una passeggiata prima di studiare non poteva farle male.
Uscì, l'ombrello aperto per ripararsi dalla pioggerellina fine e fredda.
Per le strade non c'era praticamente nessuno; camminò lentamente, immersa nei suoi pensieri.
«Ehi, Paola!»
Alzò il capo, per vedere chi la stesse salutando così allegramente.
Quando vide Davide sbracciarsi qualche metro più avanti, si aprì in un sorriso.
Gli andò incontro, accogliendolo sotto il suo ombrello, mentre lui richiudeva il suo.
«Ciao Davide» lo salutò.
«Tutto bene?»
Lei annuì. «Alla grande».
«Dove stavi andando?»
Paola lo osservò e sospirò. «Da nessuna parte. Facevo un giro».
«Capisco...» fece lui, sul vago. «Ti spiace accompagnarmi alla videoteca? Ho promesso a mio padre che stasera avremmo visto Fast and Furious 5».
La ragazza ridacchiò. «Un film impegnativo».
«Va pazzo per le macchine veloci, come Mattia».
Perché quel nome doveva saltare fuori così all'improvviso?
Ignorò la piccola stretta allo stomaco. «Da che parte è?»
«Oh, verso il centro» disse Davide, indicando una strada alla loro destra.
Lei annuì e cominciarono a camminare in quella direzione.
«Allora,uhm...» esordì il nero, cercando di intavolare una conversazione. «Come va con la tua ex amica? Vanessa, giusto?»
Paola lo guardò confusa. «Come fai a saperlo?»
«Oh, ne parlava Mattia ieri sera, dopo che te ne sei andata».
Di nuovo.
Si costrinse a pronunciare quel nome. «M...Mattia parlava di Vanessa?»
«Parlava di te» sorrise Davide. «E ha accennato anche alla storia con questa ragazza».
Poli rimase in silenzio, rimuginando sulle parole del biondo.
Quindi Mattia parlava di lei. Il battito del suo cuore accelerò.
«Ho detto qualcosa di male?» domandò Davide preoccupato.
Lei si riscosse. «No, no, tranquillo». Cercò di evitare che le guance le si imporporassero, invano.
«Perché stai arrossendo?». Era divertito.
Oh, ma perché non poteva essere una di quelle persone spigliate e senza peli sulla lingua?
«Perché ho detto che Mattia parlava di te, vero?»
Davide era decisamente troppo perspicace. Tutti lo erano. Doveva dedurre chela frase "gli uomini sono tutti stupidi" era una gran bufala.
«Be'...io»
«Tu gli interessi» borbottò Davide, abbassando lo sguardo verso il marciapiede.
Sembrava in imbarazzo.
Lei lo guardò, seria. «Tante gli interessano» disse amaramente.
Lui ci mise un po' per assorbire le parole della ragazza. Quando si fermò di botto, lei lo fissò interrogativa.
«Le foto».
Non era una domanda. Era un'affermazione, e anche piuttosto infastidita.
Perché doveva essere così intuitivo?
«Esatto» rispose piccata.
«Abbiamo chiesto un sacco di volte a quella stronza di Alessia di toglierle, ma non ne vuole sapere».
«Chi è Alessia?»
«La sorella di Nikki, che è la ex di Cristian».
«Stava con Mattia?»
«È andata con Mattia. E organizzava un sacco di feste. Noi ci andavamo sempre, e scattava un sacco di foto. Ha cominciato a pubblicare foto imbarazzanti di Mattia quando l'ha trovato con un'altra in un bagno».
«Be', non faccio fatica a capirla». Era disgustata. Non le sembrava possibile che stessero parlando di Mattia. Del ragazzo così dolce e attento che l'aveva baciata ventiquattr'ore prima.
Davide prese un respiro profondo. «Mattia non è più così. È cambiato da un pezzo. Quella di Alessia non era gelosia, solo orgoglio. Crede di essere l'unica ragazza sulla faccia della terra. Lei sapeva che non doveva aspettarsi niente di serio. Lo avevano messo in chiaro entrambi prima di andare a letto insieme.».
«Dovrebbe essere una cosa positiva?»
«Sì. Mattia andava con tante, e nessuna è mai durata più di una serata. Ma non ha mai illuso nessuna. Lo diceva chiaramente: "Scopiamo e basta, niente relazioni". E a loro andava bene».
«Davide, lui le usava» sussurrò Paola.
«Come fai a dire che non fosse il contrario? Cosa facevano di diverso loro? Gli si strusciavano sempre contro, gli sussurravano di non indossare le mutande e che il loro ragazzo non c'era. Chi usava chi?»
La giovane rimase in silenzio, mentre riprendevano a camminare.
In pochi minuti raggiunsero il centro, e Davide si fermò davanti alla porta di un negozio.
«Vuoi entrare anche tu?»
Non sembrava arrabbiato; forse un po' dispiaciuto.
Lei annuì, seguendolo nella videoteca.
Il giovane salutò il ragazzo dietro al bancone e si diresse nella stanza in fianco, stipata di dvd.
«Do un'occhiata anch'io» disse la ragazza, pur di rimanere qualche secondo sola con i suoi pensieri.
Lui annuì, mentre osservava le copertine dei dischi.
La speranza di Paola si infranse miseramente quando dal locale adiacente udì due voci esclamare all'unisono «Ciao Luca». Una manciata di secondi dopo, Giorgio e Mattia entrarono nello stanza.
«Ehi Davide! Che ci fai qui? Ciao Poli!» disse stupito Giorgio, guardandola.
Davide biascicò un saluto, troppo impegnato a leggere i titoli dei film per prestare loro attenzione.
Paola invece mormorò un «Ciao», mentre i suoi occhi scrutavano il moro, che faceva saettare lo sguardo da Davide a lei in continuazione. La mascella era contratta, le mani affondate risolutamente nelle tasche dei jeans.
«Ehm...Davide!» gridò quasi Giorgio, raggiungendo l'amico e gettandogli un braccio attorno al collo. «Come butta?»
Quello lo guardò infastidito. «Ma cosa
«Sta' zitto e seguimi» sibilò l'altro, trascinandolo fuori dal locale.
Mattia la stava fissando.
Gli occhi erano freddi, inespressivi.
«C'è qualche problema, Marotta?» sputò.
Sembravano tornati al primo giorno di scuola; lui con quello sguardo strafottente e un ghigno disegnato sul viso. Lei intimidita.
Non gli rispose; si limitò a dargli le spalle, allontanandosi e infilandosi tra due scaffali.
Lo sentì chiaramente muoversi, probabilmente stava tornando di là per recuperare Giorgio e andarsene.
Quando si sentì afferrare per la vita, sentì il cuore in gola.
«Lasciami» mugugnò, mordicchiandosi il labbro inferiore e cercando di spingerlo via.
Bellegrandi la ignorò e la voltò verso di sé. Era serio.
«Paola, si può sapere dove ho sbagliato?»
Il verde venato d'oro delle sue iridi sembrava liquido ora, e la giovane rischiò di annegare in quelle pozze.
«Perché non mi rivolgi la parola e mi eviti?»
Mattia stava... soffrendo?
Paola sentì lo stomaco contrarsi.
«Ti prego, lasciami» mormorò, un nodo in gola a renderle la voce strozzata.
Lui lasciò la presa, sconfitto.
«Ti sei pentita» sussurrò abbattuto.
La ragazza scosse il capo impercettibilmente. «Non so se fidarmi» rivelò. Era stato appena un bisbiglio, eppure alle le orecchie di Mattia era suonato come un'esplosione.
«Io... ho visto delle foto. E ci sono tante voci sul tuo conto...»
Lui annuì, lo sguardo basso. La mascella era nuovamente contratta.
«Servirebbe a qualcosa dirti che non sono più quel ragazzo?»
«Me l'hanno già detto».
«Io...»
Il moro si appoggiò ad uno scaffale; si passò una mano tra i capelli, scompigliando il ciuffo perfetto.
«Io posso solo dirti che non vado fiero di quello che ho fatto, e che quando guardo indietro sono schifato da me stesso e da loro».
«Loro...?»
«Le ragazze. Così dannatamente facili, così scontate. Avevo la certezza che durante la serata, prima o poi, avrebbero aperto le gambe o la bocca. Non dovevo nemmeno sforzarmi di essere carino o originale».
Paola deglutì.
«Certe mi mandavano messaggi prima di incontrarci, chiedendomi se dovevano indossare la biancheria intima, o se preferivo che si depilassero ovunque oppure no... era come se avessero passato gli ultimi mesi inattesa che io mi accorgessi del loro culo o delle loro tette. Era deprimente».
Paola lo osservò. Mattia teneva ostinatamente lo sguardo fisso sulla punta delle sue scarpe, e avrebbe giurato che le mani, nelle tasche, erano strette a pugno.
«E quanto è andata avanti?»
Sembrava sollevato; forse temeva che non avrebbe proferito parola, troppo sconvolta.
«Ho cominciato al quarto anno» rispose lui. «Quando ho incontrato Alessia».
«Era la tua ragazza?»
Sapeva la risposta, ma voleva sentirlo dire da lui.
«No, decisamente no» mormorò. «Ma al primo anno ho perso la verginità con lei».
Quando pronunciò quelle poche parole, sul suo volto non comparve alcuna emozione. Completamente apatico, come se stesse parlando di una persona che conosceva a malapena.
Paola invece strabuzzò gli occhi.
«Oh...»
«Lei ha la mia età, è uscita l'anno scorso da scuola. Per fortuna» disse a mezza voce. «Dicevo... ho incontrato di nuovo Alessia, ad una festa organizzata da lei, a casa sua. Abbiamo cominciato a parlare, e ci siamo ritrovati in camera sua dopo nemmeno cinque minuti. Ero convinto che lei volesse rivivere la stessa esperienza di tre anni prima. Credevo che volesse instaurare un rapporto serio, che si fosse accorta di provare qualcosa per me. Ma quando eravamo ormai nudi, mi disse che voleva solo sesso».
Ogni parola sembrava costargli uno sforzo inumano.
«Non potevo tirarmi indietro, non più. Così accettai. Andammo a letto insieme quella sera, e un paio di sere dopo. Poi non ci sfiorammo più, perché iniziai a detestarla, inconsciamente. Ma lei, senza saperlo, mi aveva aperto un mondo: ragazze, sesso, feste, sballo. Il tutto senza dare nemmeno una spiegazione, senza fare promesse di nessun genere. Senza impegnarsi. Era così allettante, così eccitante, che non ci pensai due volte. Uscivo ogni sera. E ogni sera ne avevo una diversa con me. Ragazze tali e quali a me: solo sesso, niente complicazioni».
Mattia non osava alzare lo sguardo dal pavimento. La fronte era aggrottata.
«E poi cos'è successo?» bisbigliò Poli.
Lui fece un sorriso amaro.
«E poi ho trovato la ragazza sbagliata».
Lei non disse nulla, attendendo che il racconto proseguisse.
«Era una festa di Nikki e Alessia, neanche a dirlo» iniziò. «Per la prima volta non ero riuscito a trovare un'accompagnatrice. Ma speravo che, una volta arrivato alla festa, qualcuna mi si sarebbe strusciata contro. Ma tutte quelle che potevano strusciarsi addosso ad un ragazzo le avevo già avute in passato. Così puntai una ragazza del terzo anno. E lei sembrava così entusiasta di passare la serata con me. Dopo un'ora eravamo chiusi in una camera degli ospiti. Finimmo a letto».
La voce si fece più flebile, e Paola fu costretta ad avvicinarsi di qualche passo.
«Io come al solito fui poco delicato, rapido, era solo un modo per sfogarmi. Mi ricordo che le sue carezze mi spaventarono. Mi ricordo che cercava in tutti i modi di baciarmi, ma io puntualmente mi scansavo. E poi, quando finimmo... lei mi chiese se potevamo rivederci, magari il lunedì dopo, a scuola. E io le risposi che non era niente, solo sesso. E lei scoppiò a piangere. Singhiozzava disperatamente, non le importava di rovinarsi il trucco, o di spettinarsi i capelli. Piangeva e basta. Le chiesi cosa le fosse preso, e lei mi rispose che aveva passato gli ultimi venti minuti a cercare di fare l'amore con me. Ma io non me ne ero accorto».
Poli lo fissò intensamente.
«Scappavo dall'amore come dalla peste; mi tenevo a debita distanza da Cristian e Nikki o Giorgio e Francesca quando erano insieme. Evitavo tutte le ragazze che avrebbero potuto causarmi problemi. Ma non sono stato in grado di evitare quella, troppo impegnato a togliermi i pantaloni. E non avevo nemmeno pensato ad avvertirla, troppo impaziente di chiudermi in una camera da letto».
Per un attimo ci fu silenzio, mentre dall'altra parte del negozio si sentivano gli schiamazzi di Giorgio e Davide.
«E cos'hai fatto poi quella sera?»
Bellegrandi sospirò. «Quando capii quello che avevo fatto a quella ragazza, quando capii che l'avevo ferita... compresi che avevo toccato il fondo. Promisi a me stesso che non avrei più sfiorato una ragazza. Vivere senza regole, senza impegni o responsabilità era facile, al momento. Ma poi arrivavano le conseguenze. E ti assicuro, per quanto possa essere stato uno stronzo, usando le ragazze, vederle piangere mi fa stare male. Io avevo rifiutato i suoi... sentimenti. Non solo non li ricambiavo... li ho rifiutati. Credo sia una delle cose peggiori che un ragazzo possa fare ad una ragazza. Mi vergognai di me stesso, per la prima volta da quando avevo scoperto quello stile di vita. Mi rivestii in fretta e scappai letteralmente dalla stanza. Me ne tornai a casa. Cristian si accorse che me ne ero andato e venne a cercarmi. Gli raccontai tutto e lui promise che mi avrebbe aiutato».
La giovane gli si avvicinò lentamente. Senza riflettere, gli poggiò una mano sulla spalla.
«Mi dispiace». Fu tutto quello che riuscì a dire.
Lui alzò finalmente gli occhi, puntandoli in quelli di lei.
«Non ti faccio schifo?» le chiese, rassegnato.
Lei scosse il capo.
«Ho fatto un sacco di cose non esattamente grandiose».
«Ma ne hai dette altrettante, decisamente migliori».
«Tra dire e fare ce ne passa».
«È comunque un buon inizio» sussurrò Poli, cercando disperatamente di non arrossire.
Poteva sentire lo sguardo di Mattia sul viso.
«Ma poi sei arrivata tu» proseguì lui come se niente fosse. Ora non nascondeva il viso, ma la guardava apertamente, quasi come se fosse orgoglioso. «Lo sai che il bacio di ieri ha mandato all'aria un anno e quattro mesi di astinenza e buona condotta?»
«Mi dispiace» farfugliò la ragazza, confusa.
«A me no» soffiò lui.
Un secondo dopo la tirò verso di sé e fece combaciare le loro labbra, gentilmente.
Era un bacio meno urgente del primo, e decisamente più impacciato.
Lui sembrava quasi timoroso, e lei era imbarazzata.
Era come una conferma titubante.
Le loro labbra si toccarono una, due, tre, quattro volte. Si separarono, le guance di lei inevitabilmente rosse.
«Voglio essere sincero con te» disse Mattia, serio. «Non ti farei mai del male».
«Lo so» rispose lei, sicura.
Poteva vedere gli occhi del moro, quasi impauriti, ma così dannatamente limpidi e brillanti che sembravano sprizzare sincerità.
«Andiamo di là?» le chiese, alleggerendo l'atmosfera.
Paola annuì, un piccolo sorriso ad incresparle le labbra.
Mentre camminava si sentiva leggera come una piuma, e del macigno che le aveva schiacciato lo stomaco fino ad allora non c'era più traccia.


«Mettiti un paio di pantaloni».
Sabrina guardò infastidita il fratello, mettendo in pausa il film. «Perché?» chiese, con aria di sfida.
«Perché sta arrivando Gabriele. Vuoi che ti veda in mutande?»
Lei sbuffò, trattenendo un commento sarcastico e sparendo in camera, alla ricerca di un pantalone della tuta.
Quando ne trovò uno decente, tornò di sotto, per riprendere il suo posto sul divano. Con enorme disappunto vi trovò Cristian sdraiato e con il telecomando in mano.
«Porca troia, Cristian» ringhiò.
«C'è la partita, non rompere».
«Ma io stavo guardando un film» sibilò lei, cercando di rimanere calma.
«Gabriele viene qui anche per guardare la partita. Vai in camera tua».
La mora si perse in una serie di parolacce particolarmente pesanti e si allontanò, meditando vendetta.
Il campanello interruppe la sfilza di imprecazioni, e senza pensarci andò ad aprire.
Quandosi trovò davanti Gabriele sorridente, i capelli scompigliati dal vento, e gli occhiali da sole che minacciavano di cadergli dal naso, si dimenticò di essere arrabbiata.
Ma quando i suoi occhi misero a fuoco la grossa valigia nera al suo fianco, sentì la gola restringersi.
«Cristian!» gracchiò. Non smise un secondo di fissare il bruno, tenendolo d'occhio.
Suo fratello si materializzò al suo fianco, apatico.
«Ciao Gabri».
L'altro alzò il mento a mo' di saluto.
«Cos'è quella?» chiese Sabrina, fissando la valigia con espressione scioccata.
«Si chiama valigia» le rispose il bruno, serio. «Ripeti con me: va-li-»
«Vaffanculo, Tufi!» berciò lei. «Cosa significa quella cosa
«Non glielo hai detto?» chiese Gabriele a Cristian.
Quello scosse la testa. «Mi sono dimenticato. Sabri, Gabriele starà da noi per tre giorni».
«Perché?» chiese lei con voce strozzata.
«Perché i miei sono andati a trovare mia zia a Parigi» spiegò velocemente Gabriele, entrando in casa.
Cristian guardò la sorella.
«C'è qualche problema?»
«Vaffanculo» si congedò lei, imboccando le scale per chiudersi in camera.
Prese il telefono e compose un numero che aveva da poco imparato a memoria.
Quando la voce di Paola le rispose, leggermente affannata, Sabrina sbottò:«Finalmente. Otto squilli, ma dove cazzo ce l'hai il telefono?».
Non lasciò all'amica il tempo di ribattere.
«Poli è successa una cosa grave. Una tragedia. Anzi no, una catastrofe. La mia vita sta andando inesorabilmente a rotoli».

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