Capitolo 21

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«Mattia...?»
Il moro bofonchiò qualcosa nel sonno, ma non si mosse.
«Mattia!»
Il bisbiglio lo infastidì leggermente, inducendolo a girare la testa dall'altra parte. Qualcosa gli solleticò il viso. Qualsiasi cosa fosse, era soffice e profumata.
Sospirò beatamente, sentendo il corpo che si risvegliava.
Sbadigliò un paio di volte, inspirò a fondo e accarezzò il braccio di Paola, che dormiva tranquillamente al suo fianco.
Le coperte celavano la sua nudità, lasciando esposte solo le spalle chiare.
Un pensiero attraversò la mente del ragazzo.
Se Paola dormiva, allora che l'aveva chiamato?
Si voltò lentamente, ancora nel dormiveglia.
Non si sarebbe sorpreso nel trovare la camera vuota a parte loro due; probabilmente aveva sognato qualcuno che lo chiamava.
Ma il viso di sua madre, a pochi centimetri dal suo, era sorprendentemente reale.
Per poco non imprecò per lo spavento, ritraendosi repentinamente e chiudendo gli occhi.
«Mamma!» esalò scioccato.
Patrizia lo fissava severa, le labbra contratte.
«Vieni in corridoio, Mattia» disse semplicemente, prima di uscire dalla camera.
Il ragazzo aveva il presentimento che non sarebbe successo nulla di buono.
Sospirò rassegnato, abbandonando il calore delle coperte e del corpo della giovane.
Si infilò boxer e pantaloni della tuta, decidendo che non era una mossa saggia parlare con sua madre mentre era completamente nudo.
Una volta fuori dalla stanza, si chiuse la porta alle spalle.
«Hai idea di che ora è?» esordì la madre, le braccia conserte.
Mattia sbadigliò, portandosi una mano sulla nuca. «Uhm... no».
Patrizia batté un piede sul tappeto che si srotolava lungo il corridoio.
«Sono le sette del mattino!» disse con voce stridula. «Sono le sette del mattino e tu sei a letto con Paola! Ne avevamo appena parlato-»
«Non mi sembra di averti detto che Paola aspirava ad una vita di clausura» la interruppe lui.
«Mattia» lo avvertì le in tono minaccioso. «Hai due minuti per rimetterla in sesto e spedirla a casa. Pensa ai suoi genitori! Saranno preoccupatissimi! Se tua sorella avesse fatto una cosa così, io sarei morta d'ansia» disse freneticamente.
Il moro annuì. «Vado a svegliarla» annuì.
Poco prima che rientrasse in camera, la donna lo fermò.
«È... è andato tutto bene?»
Lui si voltò a guardarla. «Sì, grazie».
«Sei stato rispettoso?» chiese controvoglia lei.
«Mamma» protestò il ragazzo ridacchiando. Annuì fugacemente e rientrò nella stanza.


Non ci poteva credere.
Era senza parole.
Mentre scendeva dall'auto di Mattia, Paola non riusciva a pensare ad altro che ai suoi genitori.
Sarebbero stati furibondi.
Aveva trovato quattro chiamate perse di sua madre, tutte risalenti alle sei e mezzo del mattino.
Probabilmente non l'avevano aspettata la sera precedente, ma appena svegliati si erano accorti che la loro 'bambina' non era nel suo letto.
Salutò il ragazzo un bacio fugace e corse verso la porta di casa, il cuore che minacciava di scoppiarle nel petto.
Non appena entrò nell'ingresso, sentì le voci concitate dei genitori.
«Chiamo la polizia. Sono le sette e un quarto, e di Paola non c'è l'ombra» stava dicendo Giorgia, afflitta.
Sentiva chiaramente gli sbuffi sonori di suo padre.
Raggiunse in tutta fretta la cucina; lì trovò seduti a tavola, i piatti vuoti e puliti, nessun profumo della famosa colazione della signora Marotta.
«Paola!» esclamò la donna non appena la vide sulla porta.
La ragazza sorrise incerta, assumendo subito dopo un'espressione di scuse.
«Mi dispiace tantissimo, mamma. Scusatemi, mi sono addormentata a casa di Mattia. Stavamo guardando un film e-»
«Oh, ora si dice così?» chiese Stefano sprezzante. «Fa parte del linguaggio dei giovani? "Oh sono incinta!" "E com'è successo?" "Be' sai, guardando un FILM!"» urlò l'ultima parola, e Paola si sentì davvero male.
«Stefano, calmati» disse piatta la moglie. «Non è il caso di arrabbiarsi tanto. Mi fido di te» continuò, guardando la figlia. «E mi fido della gente che frequenti. Ma potevi farmi una telefonata stamattina. Lo capisci che ci siamo spaventati a morte?»
La giovane annuì, mesta.
«Non farlo più» la implorò Giorgia un secondo prima di abbracciarla.
La strinse a sé come quando era più piccola; come quando si svegliava nel cuore della notte e piombava nella loro camera spaventata da un incubo.
Paola ricambiò l'abbraccio.
Quando si liberò dalla stretta della madre, puntò il suo sguardo su Stefano, che era rimasto immobile sulla sedia.
«Papà, mi dispiace tanto. Davvero. Non volevo farti preoccupare» mormorò.
Quello si strinse nelle spalle e si alzò, per poi circondarle le spalle con un braccio.
«Voglio fidarmi di te, Paola. Non farci stare mai più così in pensiero. Intesi?»
Lei annuì, li abbracciò entrambi ancora una volta, e schizzò al piano di sopra per farsi una doccia e cambiarsi.
Quando fu pronta per andare a scuola, trovò sua madre nell'ingresso.
«Va tutto bene?» chiese la giovane.
Giorgia strinse le labbra nervosamente.
«Il ragazzo di ieri sera, il figlio di Bellegrandi...»
«Mattia».
«Mattia, d'accordo» sospirò lei. «Insomma... state insieme?»
Paola emise un respiro secco. «Lui...»
«Non dirmi bugie, Paola» esclamò la donna quasi istericamente. «Hai dormito fuori casa... con lui. Sbaglio?»
L'altra scosse il capo.
«Te lo richiedo. È il tuo ragazzo?»
Era inutile negare.
«Sì» ammise. «Io e Mattia stiamo insieme».
«Da molto?»
«Più di un mese ormai...» mormorò confusa.
«Io l'avevo detto a tuo padre che c'era qualcosa... sei diversa ultimamente... sono felice per te!».
Fece un passo in avanti e abbracciò la figlia, lasciandola basita.
«Credevo fossi arrabbiata».
«In effetti lo sono» disse la madre, districando l'abbraccio. «Parleremo stasera di quello che hai fatto stanotte. Ora vai a scuola» disse, imponendosi un tono severo.
Poco prima di aprire la porta, la ragazza venne fermata di nuovo.
«Ci sarà anche Mattia a scuola?»
«Certo... come tutti i giorni» rispose confusa.
Giorgia annuì pensierosa e raggiunse la cucina, immersa nei suoi pensieri.


Inspiegabilmente, arrivò puntuale alla lezione.
Non aveva incontrato Mattia, e questo un po' le pesava.
Quella mattina aveva avuto un risveglio strano.
Era stato dolce, perché la bocca morbida del moro l'aveva strappata delicatamente dal sonno profondo. E lei, nonostante fosse ancora mezza addormentata, aveva ricambiato i piccoli e rapidi baci a fiordi labbra.
In quell'istante aveva sentito di essere legata a lui in maniera indissolubile; una sensazione di appartenenza che non aveva mai provato prima di allora.
Quell'idillio era durato pochi minuti; quando Mattia le aveva sussurrato l'orario, era schizzata in piedi, incurante di essere nuda, e aveva cominciato a cercare i suoi vestiti sparsi sul pavimento.
Si era bloccata al centro della stanza, rossa in viso, con la fastidiosa sensazione di essere osservata. In effetti era così: il moro la fissava con lo sguardo di un leone di fronte alla carcassa di una zebra particolarmente robusta.
Trattenendosi, lui aveva raccolto le sue mutandine dal parquet e gliele aveva lanciate con un sorrisino, mentre lei cercava disperatamente di far finta di nulla.
Una volta vestiti entrambi, si erano fermati ad osservare il letto di Mattia.
Alcune macchie color cremisi spezzavano il candore del lenzuolo. Paola le aveva osservate assorta.
Le braccia di lui l'avevano avvolta da dietro.
«Va tutto bene?» le aveva chiesto.
Paola aveva annuito, mentre un sorriso era nato rapidamente sul suo volto.
La lezione passò in fretta, e lei la passò disegnando 'M' piene di ghirigori sulla pagina bianca del quaderno.
Quando la campanella squillò, si alzò dalla sedia e si lanciò fuori dall'aula; non vedeva l'ora di vederlo.
Non dovette aspettare a lungo: Mattia la aspettava davanti alla classe di biologia, un sorriso a increspargli le labbra.
Si sentì una bambina impaziente quando si tuffò tra la sue braccia aperte, beandosi del calore dell'abbraccio.
«Ciao» ridacchiò lui.
«Ciao».
Era il loro piccolo rito quello. Paola sorrise tra sé e sé.
«Com'è andata con i tuoi genitori?» si preoccupò lui.
Lei alzò le spalle, insicura. «A dire la verità non lo so» ammise sbuffando. «Si fidano abbastanza di me da sapere che stanotte non sono andata a Las Vegas a sposarmi... ma mia madre si comporta in modo strano... sai, stamattina le ho detto di noi».
Lo vide sgranare leggermente gli occhi, mentre un largo sorriso gli illuminava il volto.
«Davvero?»
Lei annuì, entusiasta. «Sì».
Mattia non si trattenne e la baciò con trasporto, finché un professore, passando di lì, non tossicchiò infastidito.
«Stronzo frustrato» bofonchiò il moro, staccandosi a malincuore da lei.
Paola ridacchiò e si guardò intorno.
«Tesoro, dobbiamo andare in classe».
Lui la fissò con un sopracciglio inarcato.
«D'accordo, amore».


«Esci?»
La voce contrariata di sua madre le giunse alle orecchie forte e chiara.
«Sì, c'è qualche problema?»
La signora Marotta osservò la figlia con crescente imbarazzo.
«Ecco sì, un problema ci sarebbe».
Paola sperò di aver sentito male.
Si voltò a fronteggiare la madre, cercando di mascherare l'ansia.
«E sarebbe?»
Giorgia prese a torturarsi le dita.
«Sarò sincera, Paola» disse seria. «A me questo Mattia non piace. Affatto».
La ragazza sentì ogni energia sparire dal suo corpo; tutta la sua allegria era scomparsa, e si sentì sgonfiata come un palloncino. Svuotata da ogni sorta di emozione.
Fissò la donna, apatica.
«E perché no?»
La donna respirò gravemente. Si passò una mano tra i capelli e continuò: «Da quando frequenti lui e questi Lo Presti... non sei più tu. Esci spesso, trascuri tuo padre e me, e i voti a scuola non sono più così brillanti».
Paola non poteva credere alle sue orecchie.
«I miei voti non sono brillanti? Mamma, la mia media è tra le più alte di quelle del mio anno!» esclamò incredula. «E non è affatto vero che esco sempre e vi trascuro. Ho diciotto anni, cosa ti aspetti? Che vada in ufficio con papà e venga con te a fare la spesa tutti i giorni? Ho una vita anch'io, mamma» disse risentita.
La signora Marotta inarcò appena un sopracciglio.
«Non ho detto questo. Tra venire con noi ovunque e non considerarci minimamente c'è una bella differenza». Quando vide che la figlia stava per ribattere, alzò una mano per zittirla. «Basta discutere, stasera non esci».
Se ne andò in fretta, senza osservare Paola che apriva e chiudeva la bocca senza emettere un suono.
La ragazza, frustrata, imboccò le scale e raggiunse il piano superiore, per poi chiudersi in camera e gettarsi a peso morto sul letto.
Prese il cellulare dalla borsetta e cercò uno dei suoi numeri preferiti in rubrica.


Sabrina era divisa in due: non sapeva se essere irritata per il comportamento della madre di Paola, o essere euforica per la parte del racconto alla quale l'amica aveva dato meno importanza. Ovviamente scelse la seconda opzione.
«Sì, sì, tua madre è decisamente impazzita... ma ferma il cavallo, ragazza!» esclamò la mora, sistemandosi meglio sulla poltrona verde chiaro.
Un'infermiera che passava di lì le chiese a gesti se aveva bisogno di qualcosa. Lei scosse il capo.
«Cosa c'è?» chiese Paola dall'altra parte della cornetta.
«Sbaglio o hai glissato pesantemente sulla parte più succosa del racconto?»
Accadde esattamente ciò che si aspettava: l'amica farfugliò qualcosa di incomprensibile, che suonava molto imbarazzato.
«Hai passato la notte a casa di Bellegrandi?» chiese Sabrina spietata.
L'altra rimase in un silenzio eloquente.
«Ah!» esclamò la mora, facendo voltare una coppia di vecchiette che passeggiava nel corridoio.
«Lo sapevo! Ditemi che avete scopato come conigli, ti prego» la supplicò, sforzandosi di non gridare.
Il 'sì' di Paola arrivò timido e insicuro, seguito da una serie di borbottii oltraggiati per la scelta di linguaggio.
«Raccontami tutto, ragazzaccia».
Quando ebbero finito di raccontarsi le rispettive giornate e le varie notizie, Sabrina chiuse la comunicazione.
Era abbastanza triste starsene lì su quella poltrona, senza nessuno con cui parlare, senza una televisione.
L'ospedale alle nove di sera era una delle cose più desolanti al mondo.
Si guardò intorno depressa, senza sapere cosa fare.
Almeno le altre sere poteva guardare qualche programma demenziale; ma l'antenna aveva smesso di vivere, e l'intero ospedale era senza tv.
Sbuffando, armeggiò qualche minuto con il cellulare, navigando in internet e scaricando foto di modelli a torso nudo.
Trasalì quando due mani si posizionarono sui suoi occhi.
«Indovina chi è!»
Chiunque stesse tentando di mascherare la voce, stava facendo un pessimo lavoro. Le bastarono pochi istanti per risalire al timbro.
«Davide, non sei bravo a imitare le voci» ridacchiò, togliendosi le mani dell'amico dagli occhi.
Si voltò in tempo per vedere il giovane, Cristian e Giorgio ridere allegramente.
«Gliel'ho detto io che doveva lasciar perdere» sorrise il fratello, avvicinandosi a lei e scompigliandole i capelli. Incredibilmente non ci fu nessuna imprecazione, solo risate.
E a lei andava bene così.

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