Capitolo 19

430 28 5
                                    

Paola uscì dalla stanza e si scontrò con il bruno, che sembrava fosse rimasto fermo lì da un sacco di tempo.
«Gabriele» disse sorpresa.
«Posso entrare?»
Lei annuì. «Lei... sta piangendo» lo avvisò.
Toccò a lui annuire.
«In bocca al lupo» mormorò lei prima di allontanarsi.
Deglutì a vuoto, annuendo e fissando la vernice azzurrina che ricopriva la porta di plastica dura.
L'aprì, cercando immediatamente con lo sguardo la mora.
La trovò sdraiata sul letto, lo sguardo vacuo.
Quando lo vide, si irrigidì.
«Si bussa» disse dura.
Lui la ignorò, chiudendosi la porta alle spalle e precipitandosi verso il letto. «Come stai?»
«Cosa vuoi?» chiese lei stancamente.
«Sapere come stai».
«Mi hanno infilato una specie di aspirapolvere nell'utero, per tirare via un bambino di sette settimane. Come pensi che stia?»
Il bruno deglutì a vuoto un paio di volte. Di nuovo.
«Mi dispiace, Sabri. Sul serio. Se l'avessi saputo...»
«Cosa? Non mi avresti lasciata?»
«Io ti ho lasciata perché non volevo litigare con Cristian-»
«Non dirmi stronzate, Gabriele!» ringhiò lei. Subito dopo il viso le si contorse in una smorfia di dolore.
Lui le fu subito vicino, muovendo le mani in aria. «Cos'hai? Dove ti fa male?» chiese, ansioso.
«Niente» sputò lei tra i denti. «È passato».
Passarono alcuni istanti in silenzio, durante i quali Gabriele la osservava attentamente, ricercando segni di malessere.
«Se tu mi avessi detto che eri incinta, ti avrei aiutata».
«Te l'avrei detto, ma hai deciso di andartene».
«Be'». L'aveva preso in contropiede. «Potevi comunque dirmelo. Non ho cambiato pianeta».
Toccò a lei incassare il colpo. «Non ti avrei mai obbligato a stare con una persona che non ami» disse lentamente.
«Non ho mai detto di...» sembrò riprendersi, e si bloccò. «Ci tengo a te, Sabri» disse, fissando il pavimento.
Lei spostò lo sguardo dal bruno, posandolo sulle sue mani che stavano spezzettando il fazzoletto di carta inzuppato di lacrime. «Anche io ci tengo a te». Le tremava la voce.
«Scusa se ti ho lasciata» mormorò. Sembrava un bambino.
Sabrina non riuscì a trattenersi e sorrise debolmente. «Va bene».
Gli occhi del ragazzo la colpirono come un'onda che si infrange sugli scogli. Con una violenza assurda; si sentì penetrare l'anima.
«Perché l'hai fatto?» sussurrò lei.
«Ho avuto paura».
«Di cosa?»
«Di tutto. Di niente. Non saprei dirti».
Lei annuì. «Vorrei riposare ora, scusami. Sono stanca, e mi fa male la pancia».
Lui si alzò in fretta dalla sedia. «Chiamami se hai bisogno di qualcosa. Fammi uno squillo e sono qui».
«Mettiti in coda. Prima ci sono i miei, Cristian e Paola».
Gabriele riuscì a sorridere. Alzò una mano in segno di saluto e si avviò verso la porta.
Non appena si chiuse alle sue spalle, la mora afferrò il telefono sul comodino, e digitò il numero.
Aspettò per uno, due, tre squilli, poi la voce di Gabriele rispose, sorpresa.
«Dimmi, Sabri».
«Ho bisogno di una cosa, Gabri».
Quello si fermò in mezzo al corridoio. «Dimmi» ripeté.
Prese un rapido respiro, prima di iniziare a parlare.
«Ho bisogno di sapere che andrà tutto bene. Ho bisogno di sapere che non sarò sola. Ho bisogno di sapere che ci tieni davvero a me...» una pausa. «Ho bisogno di te, Gabri».
La ragazza si conosceva troppo bene. Lui la conosceva troppo bene. Sapevano tutti e due che non avrebbe mai avuto il coraggio di dirglielo in faccia.
Lui girò i tacchi velocemente, chiudendo la comunicazione.
Si mise a correre, ripercorrendo a perdifiato i pochi metri che lo separavano da lei.
Aprì la porta rapidamente e, lasciandola spalancata, si fiondò sul letto di Sabrina, facendo scontrare le sue labbra con quelle di lei.
La mora non si ribellò, né rimase sorpresa.
Era quello che aspettava da tempo. Settimane, mesi. Un bacio così, lei non l'aveva mai ricevuto.
Un bacio così, lui non l'aveva mai dato.
Le guance di lei erano umide.
Le guance di entrambi erano umide, in un mescolarsi di lacrime.


Mattia era appoggiato al davanzale della sua finestra, la sigaretta tra le labbra.
Prese una boccata lunghissima, poi lasciò che il fumo uscisse di botto dalla bocca.
Un colpo alla porta lo fece voltare di scatto.
«Chi è?»
«Mamma».
Si affrettò a spegnere la sigaretta e a gettarla fuori dalla finestra. Non che Patrizia non lo sapesse; ma le dava un fastidio incredibile vederlo fumare, e lui ne era al corrente.
Lei entrò subito dopo, con un'espressione da 'Mamma del mese' dipinta sul volto.
Si chiuse la porta alle spalle, sedendosi sul letto del figlio.
Lui la imitò.
«Che c'è mamma?»
Lei gli accarezzò un braccio.
«Ti va di parlarne?»
«Mamma, non ho cinque anni. Su Mtv ci fanno persino un programma con le ragazzine incinte. È quasi una cosa figa».
Patrizia si accigliò. «Non è una cosa figa» borbottò.
«Lo so. Per me non è normale. Ma per tanti lo è abbastanza da farci una trasmissione».
Lei sospirò. «Mattia... quello che è successo a Sabrina non è...semplice. La guarigione è lunga. Ci vogliono psicologi per far superare loro il trauma. Dopotutto è un bambino che non nascerà. Non è facile».
«Lo so».
«Solo... statele vicini, okay? Conosco Sabrina Lo Presti fin da quando era una neonata. Mi dispiace tantissimo per quello che le è successo».
«Le staremo vicini. Davvero mamma» la rassicurò lui, serio.
Lei tirò su col naso impercettibilmente, poi abbozzò un sorrisino.
«Tu e Paola... insomma, va tutto bene?»
Lui annuì lentamente, drizzando le orecchie. «Tutto alla grande. Perché?»
«Chiedevo» rispose lei scrollando le spalle con aria noncurante. «Insomma, adesso è un po' che vi frequentate, no? Passate un bel po' di tempo insieme, vero?»
«Paola è ancora vergine» tagliò corto lui. «Il suo imene è intatto, dottoressa Bellegrandi».
Patrizia scoppiò a ridere nervosamente. «Non volevo sapere i fatti vostri, ma-»
«Quando succederà lei sarà pronta e io sarò attrezzato per l'occasione. Mamma, non sono idiota».
Lei sorrise affettuosamente. «Ah, non vedo l'ora che tuo padre torni da Londra. Avrebbe dovuto chiedertele lui queste cose».
Toccò a lui sorriderle. «Ti manca?»
Annuì. «So che è partito solo da un mese, ma non vedo l'ora che finiscano di costruire quel maledetto palazzo così lui e tuo zio potranno tornare qui» sbuffò.
«Manca poco mamma».
Patrizia annuì. «Buonanotte Matti».
«Notte ma'».


«Ti ho portato caramelle alla menta, alla liquirizia, al cioccolato, alla frutta e alle nocciole. Poi qui ci sono delle tavolette di cioccolato. Oh, e qui ci sono alcune riviste» finì di elencare Paola, rovistando dentro alla busta di carta marroncina che aveva tra le braccia.
Quando Sabrina l'afferrò e guardò dentro, spalancò la bocca.
«Alcune? Poli, quante edicole hai saccheggiato?»
L'altra ridacchiò. «Non sapevo cos'avessi voglia di leggere».
«'Tarocchi e oracoli'?» chiese con un sopracciglio inarcato.
«Non sapevo cosa volessi leggere» ribadì l'altra.
Sabrina tirò fuori i pacchi enormi di caramelle, cioccolatini e schifezze varie, entusiasta.
«Non dovevi, Bei Boccoli».
«Sì invece. A cosa servono le amiche se no?»
Sabrina annuì. «Ricordami di finire all'ospedale più spesso».
Paola si fece seria, sedendosi sulla sedia in fianco al letto.
La mora scrutò la sua espressione. «Stai per chiedermi di Gabriele, vero?»
«Non è la prima volta che leggi 'Tarocchi e Oracoli', vero strega
L'altra ridacchiò.
«Mi ha baciata» disse di getto. «Ieri sera mi ha baciata».
Paola attese.
Quando capì che l'amica sembrava intenzionata a finire il primo pacchetto di caramelle anziché parlare, sbuffò.
«E...?»
«'E' cosa?»
«Com'è stato? Cos'hai provato?»
«Oh...»
Sabrina sembrava in difficoltà.
«Non sono mai stata innamorata, Poli. Non so cosa si prova. Ma se è quello che mi sta succedendo... cristo,è  grandioso» mugugnò.
L'altra balzò in piedi e si fiondò ad abbracciarla.
«Ne sei innamorata! Tu... tu ne sei innamorata!» urlò.
La mora era davvero in difficoltà. «Non ho vinto il Nobel, ho solo detto che forse... probabilmente... penso di essere quasi innamorata...»
«Parli già come lui!» sghignazzò Poli, scompigliandole i capelli.
Era riuscita a farla ridere.
Era riuscita a farla parlare, a farle ammettere quel sentimento che si teneva dentro da settimane.
La giornata era perfetta.
«Se dovessi davvero iniziare a parlare come Gabriele Tufi, poni fine alle mie sofferenze con un colpo di fucile in mezzo agli occhi, okay? Te lo chiedo da amica».
Un bussare leggero alla porta anticipò la risposta di Paola.
«Avanti».
Entrambe rimasero interdette quando una ragazza aprì la porta ed entrò nella stanza.
I lunghi capelli neri erano raccolti in una coda arruffata e gli occhi molto viola e molto blu si guardavano intorno, alla ricerca di qualcuno.
«Sabrina» mormorò la ragazza, avvicinandosi al letto.
La mora rimase immobile per qualche secondo.
«Nikki... che ci fai qui?»
Nikki era una di quelle ragazze che ti fanno sentire come un ippopotamo in gonnella arenato sul fondo di una piscina.
Assurdamente perfetta, con quei capelli lucenti, quegli occhi enormi e quel sorriso rassicurante.
«Sono venuta a vedere come stai».
«Lo vedo. Ma... insomma, come fai a sapere che sono stata male?»
«Me l'ha detto Francesca».
Si fissarono per qualche istante, e Paola ebbe quasi la sensazione di essere di troppo.
Come se le avesse letto nel pensiero, Sabrina si voltò verso di lei e poi di nuovo verso la mora.
«Poli, Nikki... Nikki, Poli» presentò, con un gesto annoiato della mano.
Nikki si sporse in avanti e tese la mano a Paola, che l'afferrò decisa.
«Devi essere la nuova ragazza di Mattia».
«Lei è la prima ragazza di Mattia» la corresse Sabrina. «O almeno, la prima degna di nota».
L'interessata rimase in silenzio, lievemente in imbarazzo.
La mora alzò le mani in segno di resa. «Non sono qui per sondare il terreno a mia sorella. Alessia è abbastanza grande da occuparsi da sola delle sue pene d'amore. Sempre che ne abbia mai avute».
Rimasero tutte e tre in silenzio, mentre la nuova arrivata fissava il pavimento.
«Mio fratello sa che sei qui?»
Quella scosse lentamente il capo. «No. Ho chiesto a Francesca di non dire niente a nessuno».
«Che ti ha detto Francesca?»
«La verità».
Sabrina non parve contenta; irrigidì la mascella e incrociò le braccia, contrariata.
«Dovrebbe imparare a farsi i cazzi suoi».
Nikki rimase sorpresa. «Secondo te mi sarei bevuta la stronzata del coma etilico?»
Non ottenendo risposta si piazzò davanti al letto.
«Perché ce l'hai con me, Sabri?»
Paola capì di essere davvero di troppo. Afferrò la borsa e uscì discretamente dalla camera, lasciando loro un po' di privacy. Non sapeva da quanto tempo non si vedessero; non sapeva nemmeno che tipo di rapporto ci fosse tra loro. Non voleva immischiarsi.
«Non sono arrabbiata con te» ribatté la mora, fissando ostinatamente i tubicini che le sfioravano il braccio e che terminavano in due aghi inseriti nelle mani.
«Sabrina, guardami».
Si ritrovò ad obbedire; alzò lo sguardo, incontrando quello incredibilmente brillante della giovane.
«Mi hai lasciata sola, Nikki. Te ne sei andata».
«Sono andata al college. Non vedo cosa ci sia di strano-»
«Cristian ha aspettato un anno...»
«Lo so!» esclamò la mora. Sembrava che Sabrina avesse toccato un nervo scoperto. «So cos'ha fatto Cristian. Ma io voglio andare a lavorare in Inghilerra, il più presto possibile. Non voglio aspettare».
«Non vuoi aspettarlo».
Nikki si immobilizzò. «Perché diavolo continui a tirare in ballo Cristian? Stiamo parlando di me e te!»
«Io e te eravamo amiche. Avevi promesso che mi avresti scritto, e non l'hai fatto».
«Te l'avevo promesso prima che Cristian mi lasciasse».
«Quindi rompere con Cristian significa rompere anche con me?»
«Sabrina...».
La mora sembrava esausta. Come se avesse corso per decine e decine di kilometri senza mai fermarsi.
«Io ero a pezzi quando Cristian mi ha lasciata. Tutte le mie certezze erano crollate. Sono passati tre mesi, e non ne sono ancora uscita».
«Perché glielo hai permesso?»
«Cos'avrei dovuto fare? Tramortirlo e legarlo a casa mia? Lui ha voluto tagliare i ponti, non l'ho deciso io».
Sabrina continuava a non capire.
«Ma io non ho capito perché ti ha lasciata» insisté.
Nikki sbuffò. «Perché io stavo andando al college e lui no. Non voleva una relazione a distanza... non si fidava di me, probabilmen-»
«Mio fratello è un coglione. Un idiota. Uno stupido stronzo. Io gli mozzo il pisello, io gli stacco la testa a morsi... io... io...ah» sospirò, appoggiando di nuovo la schiena contro i due cuscini. Continuò ad inveire sotto voce, mentre l'altra la guardava timorosa.
«Tu non lo sapevi?»
«Certo che no. Quel demente ha pensato bene di nascondermi il motivo. Perché sapeva che altrimenti sarebbe entrato nel coro di voci bianche della città. Stupido imbecille» grugnì contrariata.
Passò un altro paio di minuti a insultarlo pesantemente, inventandosi epiteti poco carini, per poi fissare l'orologio appeso al muro azzurrino.
«Oh, ma tra poco dovrebbe arrivare. Da stasera in casa Lo Presti ci sarà un solo pisello» bofonchiò.
La giovane di fronte a lei sgranò gli occhi.
«Cristian sta venendo qui?» chiese allarmata.
Sabrina scrollò le spalle. «Sì. Perché?»
«Niente. Io... devo andare» farfugliò quella; si avvicinò all'amica e le stampò un bacio sulla fronte. Poi raggiunse in fretta la porta.
«Non sei obbligata ad andartene perché sta arrivando mio fratello».
«Scusa Sabri, non mi va proprio di vederlo».
L'altra annuì. «Non salutarmi Alessia».
«D'accordo» ridacchiò Nikki.

L'amore è quaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora