Capitolo 17

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Lunedì mattina arrivò con una velocità angosciante.
Naturalmente Paola era in perfetto orario, lo zaino su una sola spalla, i capelli raccolti in uno chignon improvvisato e le guance arrossate dall'aria fresca del mattino.
Camminò tranquillamente lungo tutto il tragitto, e quando arrivò davanti ascuola non riuscì a non sorridere.
«Sabrina!» esclamò felice.
Era una settimana che la bionda non si faceva vedere a scuola prima dell'apertura. Sembrava essersi ripresa. Era truccata, i vestiti non erano sgualciti e le stava persino rivolgendo un sorriso. Solo le occhiaie rovinavano la sua immagine.
«Ciao Bei Boccoli» disse stancamente.
«Come stai?»
Quella scrollò le spalle. «Bene».
«Stai ancora male per Gabriele?»
Sabrina strabuzzò gli occhi.
«Abbassa la voce» sibilò l'altra. «Io non sono mai stata male perquell'imbecille».
Poli inarcò un sopracciglio. «Ah no? E perché in questi giorni seisparita così allora?»
«Non stavo molto bene, okay?»
«Farò finta di crederci, ma sappi che non sai dire le bugie».
La mora fece un gesto noncurante con la mano. «Come va con Mattia?»
La giovane non riuscì a non sorridere, ripensando alla mattina precedente. «Sta andando alla grande. Ieri mattina sono andata a casa sua... per la seconda volta».
Sabrina si animò. «Davvero? E che avete fatto? Ti prego, dimmi che ci avetedato dentro come conigli» sospirò.
«No, Sabri» disse l'altra alzando gli occhi al cielo. Era felice che la sua amica fosse tornata quella di un tempo. Più o meno.
«E allora cos'avete fatto? Preliminari?»
Paola arrossì. «Direi di si. Ma con i vestiti addosso».
La mora fece una smorfia. «Preliminari dei preliminari. Be', sempre meglio di niente».
«E sua madre mi ha detto che sono la prima ragazza che invita a casa sua».
L'amica annuì. «Sì. Quando gli serviva un letto per stare con qualcuna, si imboscava a casa nostra o a casa di Giorgio. Non voleva mischiare la sua vita sessuale con quella famigliare. Così mi diceva Cristian».
Paola annuì e si guardò intorno. Aveva voglia di vederlo.
«Stai guardando dalla parte sbagliata» ridacchiò Sabrina. «Mattia è là».
Seguì le indicazioni della ragazza ed individuò il moro, appoggiato al muro della scuola, una sigaretta tra le labbra.
Tornò a guardare l'amica, un'espressione di scuse dipinta sulvolto.
«Vai da lui, scema» sghignazzò la mora. «Però poi mi dici tutto» disse, facendole l'occhiolino.
L'altra annuì frettolosamente e non perse tempo, avviandosi a passo spedito verso Mattia.
Lui la vide quando ormai erano a pochi metri di distanza; quello che fece procurò una crepa al cuore di Paola.
Gli occhi verdi non la stavano osservando meravigliati, come erano soliti fare ultimamente; le labbra carnose non erano stirate inun sorriso. La mascella era serrata.
La fissò, freddo, per poi staccarsi dalla parete e avviarsi nella direzione opposta rispetto alla ragazza, allontanandosi da lei.
Rimase congelata al suo posto, incredula e ferita.
Perché?
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
Ma non avrebbe pianto, non lì davanti a tutti.
Quella situazione le ricordava fin troppo il suo litigio con Vanessa, due settimane prima.
Tirò su col naso e ritornò da Sabrina, che aveva fissato la scena impassibile.
Quando Paola giunse davanti a lei, si passò una mano tra i capelli. «Credo sia una cosa che hanno in comune, i ragazzi. Dev'essere una speciedi gene della stronzaggine. Mi dispiace».
L'altra non fiatò. Non aveva intenzione di angosciare Sabrina con i suoi problemi, visto che anche lei non se la passava bene con Gabriele.
La campanella suonò, assordante come al solito, eppure alle orecchie di Poli risultò ovattata. Sospirò mestamente, mentre veniva trascinatadalla mandria di studenti all'interno della scuola.

«Gabriele!»
Il bruno, sentendosi chiamare a gran voce, si immobilizzò nel corridoio, voltandosi.
Paola gli corse incontro, cercando di fare più in fretta che poteva.
«Ciao» le disse quello, riprendendo a camminare verso l'aula di inglese con la ragazza al suo fianco.
«Ciao. Come stai?»
«Alla grande». L'affermazione del ragazzo traboccava di sarcasmo, che lei ignorò. «E tu?»
«Male». Non aspettò che il giovane gli chiedesse spiegazioni e continuò: «Sai che cos'ha Mattia? Ieri siamo stati benissimo insieme, e stamattina non mi ha salutata. Addirittura mi evita» disse mordicchiandosi il labbro. Cercò di non far tremare la voce mentre parlava.
«No, mi spiace. Non so cos'abbia. Non lo vedo da sabato».
Poli rimase delusa. Con chi poteva parlarne?
«Ma perché non glielo chiedi tu? Non è il tipo da tenersi tutto dentro, non con le persone a cui tiene, almeno. Se gli dai l'occasione di parlare, sono sicuro che ti dirà tutto. Ma non farlo qui, in corridoio... piuttosto trascinalo fuori durante la pausa pranzo».
La giovane annuì, prendendo nota del consiglio.
«Grazie Gabri». Non poteva non chiedergli nulla. «Hai sentito Sabrina?»
Lui scosse il capo. «Perché?»
Ecco, ora si stava arrabbiando. Allora i maschi erano davvero idioti.
«Perché? Gabriele, l'hai lasciata!»
«Io non ho lasciato nessuno. Non stavamo insieme, chiaro? C'era sesso. Solo del gran sesso».
«Sì, ma lei è distrutta ora».
Forse non avrebbe dovuto dirlo. Forse avrebbe dovuto stare zitta e farsi gli affari suoi.
Il bruno la guardò, un'espressione indecifrabile sul volto. «Sabrina sta male?»
Lei annuí, pentendosi di aver aperto bocca. «Non dirmi che non te ne eri mai accorto» mormorò.
Lui scosse piano la testa. «Non parliamo da un po'».
«Basta guardarla per capire, non serve parlarle».
«Mi stai dicendo che non so osservare?»
«Ti sto dicendo che non vuoi osservare».
Il ragazzo sospirò. «Non so che fare».
«Facciamo così: io parlo a Mattia, tu a Sabrina. D'accordo?»
Il giovane la fissò, per niente convinto. «Non ti assicuro niente» borbottò.
«Be', è un inizio» sorrise lei.
«Scusa, devo andare ad inglese».
Lo guardò mentre si allontanava lentamente nel corridoio, la testa bassa e un libro in mano.

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